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Merce contraffatta: la Cassazione conferma condanna

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un commerciante condannato per la vendita di merce contraffatta. La sentenza sottolinea come l’acquisto di grandi quantità di prodotti da siti web cinesi sia un chiaro indicatore della consapevolezza dell’illecito, confermando che la prova della contraffazione può basarsi su plurimi elementi indiziari, anche in assenza di una perizia tecnica formale. La Corte ha inoltre respinto la richiesta di attenuanti generiche, ribadendo che la sola incensuratezza non è più sufficiente.

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Pubblicato il 29 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Merce contraffatta: la Cassazione conferma la condanna e chiarisce gli indizi di colpevolezza

La vendita di merce contraffatta è un reato che mina l’economia e inganna i consumatori. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito importanti principi sulla prova della contraffazione e sulla consapevolezza del venditore, anche quando quest’ultimo si difende sostenendo di aver acquistato i prodotti in stock e a basso costo. Analizziamo questa decisione per comprendere meglio i confini della legalità nel commercio di prodotti di marca.

I fatti del caso: la vendita di falsi al mercato rionale

Il caso riguarda un commerciante condannato in primo grado e in appello alla pena di un anno di reclusione per il reato previsto dall’art. 474 del codice penale, ovvero l’introduzione e il commercio di prodotti con marchi falsi. L’imputato vendeva sul proprio banco al mercato capi di abbigliamento e accessori di noti marchi di lusso che, a seguito di un controllo della Guardia di Finanza, erano risultati contraffatti.

La difesa dell’imputato si basava su due argomenti principali:
1. L’elemento oggettivo: Mancava una prova certa, come una perizia tecnica, che attestasse l’effettiva contraffazione della merce.
2. L’elemento soggettivo: L’imputato sosteneva di non essere consapevole della falsità dei prodotti, avendoli acquistati ‘a stock’ da mercati secondari, dove è comune trovare merce difettosa o di collezioni passate a prezzi vantaggiosi.

Le ragioni del ricorso e il giudizio sulla merce contraffatta

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione lamentando diverse violazioni di legge. Tra i motivi principali, ha contestato la legittimità dell’appello del Pubblico Ministero, l’illegittimità della correzione di un errore materiale che aveva introdotto una pena accessoria e, soprattutto, la mancanza di prove sulla sussistenza del reato. Inoltre, si doleva del mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso interamente inammissibile, fornendo chiarimenti cruciali su ciascuno dei punti sollevati.

Le motivazioni

La Suprema Corte ha smontato punto per punto le argomentazioni difensive. In primo luogo, ha respinto le censure di carattere procedurale, chiarendo che il ricorso contro l’ordinanza di correzione dell’errore materiale era stato presentato fuori termine e che l’appello originario del PM era legittimo.

Nel merito, la Corte ha dato particolare rilievo al terzo motivo di ricorso, quello relativo alla prova del reato. I giudici hanno sottolineato che la Corte d’Appello aveva correttamente motivato la sussistenza della contraffazione sulla base di una serie di elementi convergenti:
* Difformità evidenti: I capi presentavano anomalie come certificati di autenticità ‘seriali’ applicati a prodotti diversi, mancanza di codici di controllo e la presenza di due cartellini con indicazioni di origine differenti sullo stesso articolo.
* Fonte di approvvigionamento: L’acquisto di accessori da siti internet della Repubblica Cinese era stato considerato un forte indizio.
* Conferma degli esperti: I titolari dei marchi avevano comunicato che tutti i prodotti esaminati erano effettivamente contraffatti, evidenziando problemi non solo qualitativi ma anche di originalità delle etichette.

Sull’elemento soggettivo, ovvero la consapevolezza dell’imputato, la Cassazione ha avallato il ragionamento dei giudici di merito: l’acquisto ‘a stock’ di un massiccio numero di prodotti falsificati da siti internet cinesi rappresenta una modalità di approvvigionamento del tutto incompatibile con i canali di commercializzazione ordinari dei marchi di lusso. Questa circostanza, da sola, è sufficiente a dimostrare che il venditore non poteva non sapere della natura illecita della merce.

Infine, la Corte ha ritenuto infondate anche le lamentele sul mancato riconoscimento delle attenuanti generiche. Ha ricordato che, a seguito della riforma del 2008, il solo stato di incensuratezza non è più sufficiente, essendo necessaria la presenza di elementi di segno positivo. Nel caso di specie, la decisione era stata legittimamente motivata con riferimento ai precedenti di polizia dell’imputato e alla sua condotta processuale non collaborativa.

Le conclusioni

La sentenza in esame rappresenta un’importante conferma dei principi che regolano il contrasto alla vendita di merce contraffatta. Emerge con chiarezza che la prova del reato non richiede necessariamente una perizia formale, ma può essere desunta da un insieme di indizi gravi, precisi e concordanti. Soprattutto, viene ribadito un principio di responsabilità per i commercianti: le modalità di acquisto anomale, come l’approvvigionamento massivo da canali non ufficiali e a prezzi irrisori, non costituiscono una scusante, ma al contrario un forte indizio della piena consapevolezza dell’illecito.

Acquistare merce in stock da rivenditori non ufficiali esclude la consapevolezza della contraffazione?
No, al contrario. La Corte ha ritenuto che l’acquisto di un massiccio quantitativo di prodotti da siti internet cinesi sia un forte indizio della consapevolezza della loro natura contraffatta, essendo una modalità incompatibile con i canali di distribuzione ufficiali dei marchi di lusso.

La semplice assenza di una perizia tecnica dettagliata impedisce di provare che la merce è contraffatta?
No. Nel caso di specie, la prova della contraffazione è stata raggiunta attraverso una serie di elementi indiziari, come la comunicazione degli esperti dei marchi, la presenza di certificati ‘seriali’, etichette con origini diverse sullo stesso capo e l’acquisto di accessori da siti noti per la vendita di falsi.

Avere la fedina penale pulita è sufficiente per ottenere le attenuanti generiche?
No. A seguito delle riforme legislative, lo stato di incensuratezza non è più di per sé sufficiente per ottenere la diminuzione della pena. Il giudice deve valutare la presenza di elementi positivi; in questo caso, la Corte ha confermato la decisione di negare le attenuanti basandosi sui precedenti di polizia dell’imputato e sulla sua condotta processuale non collaborativa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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