Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 32933 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 32933 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 23/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a Catania il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 13/12/2024 della Corte d’appello di Brescia udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO COGNOME; udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME, che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito, per l’imputato , l’AVV_NOTAIO, quale sostituto processuale del difensore di fiducia AVV_NOTAIO, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento impugnato la Corte d’appello di Brescia ha confermato la sentenza di primo grado che, in sede di rito abbreviato, aveva condannato il ricorrente alla pena di anni uno di reclusione per il delitto di cui all’art. 474, secondo comma, cod. pen.
Mediante separata ordinanza, la Corte territoriale ha disposto, ai sensi dell’art. 130 cod. proc. pen., la correzione dell’errore materiale costituito dalla mancata applicazione della pena accessoria prevista dall’art. 475 cod. pen.
L’imputato r icorre per cassazione con unico atto contro gli indicati provvedimenti della Corte d’Appello di Brescia, affidandosi a quattro motivi di impugnazione, di seguito ripercorsi, entro i limiti strettamente necessari per la decisione.
2.1.Con il primo deduce violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) , cod. proc. pen., in relazione all’art. 443 dello stesso codice , rispetto ai limiti del potere impugnatorio del Pubblico Ministero.
Assume, in particolare, che il Pubblico Ministero non era legittimato a proporre gravame contro la pronuncia di assoluzione per il reato di cui all’art. 648 cod. pen. e che, di conseguenza, l’impugnazione avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile anche nella parte in cui era stata richiesta nei suoi confronti l’applicazione delle pene accessorie contemplate dall’ art. 475 cod. pen.
2.2. Mediante il secondo motivo lamenta, ai sensi d ell’art. 606, comma 1, lett. b) e c) , cod. proc. pen., con riferimento all’art. 130 del medesimo codice e all’art. 475 cod. pen. , violazione della legge processuale penale con riguardo alla correzione dell’errore materiale che non avrebbe potuto essere effettuata rispetto alla pena accessoria, vieppù nel caso in esame, stante la previsione, ad opera dell’art. 36, secondo comma, cod. pen. , della graduazione, tra un minimo di quindici e un massimo di trenta giorni, della predetta pena accessoria in forza di parametri di congruità.
2.3. Con il terzo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) , cod. proc. pen., in relazione all’art. 474 cod. pen., violazione della legge penale e manifesta illogicità della motivazione quanto alla sussistenza degli elementi, oggettivo e soggettivo, della fattispecie di reato contestata.
Lamenta, al riguardo, assenza di prova, mediante idonea perizia, dell’effettiva contraffazione della merce sequestrata, non potendosi ritenere la stessa integrata, come avvenuto, solo in forza dell’invio alla polizia giudiziaria di fotografie a società distributrici dei marchi.
Soggiunge, inoltre, che non era stato considerato che la merce era stata acquistata in stock per essere venduta sui banchi dei mercati rionali, e non in boutique, e quindi in essa erano ricompresi capi difettosi, o comunque meno rifiniti, e di collezioni precedenti.
Deduce che, ad ogni modo, sul piano soggettivo non vi sarebbe alcuna prova della sua consapevolezza, considerate le modalità di approvvigionamento sul mercato secondario da vari rivenditori in stock, circa l’effettiva contraffazione della merce sequestrata, atteso che è fatto notorio che vi è un mercato parallelo alimentato dalle stesse case di moda avente ad oggetto merce difettosa e non corrispondente ai canoni standard del marchio e per questo venduta in stock a grossisti a prezzi competitivi.
Sottolinea che, inoltre, aveva acquistato i beni con regolare fattura ed a prezzo non vile.
2.4. Con il quarto motivo lamenta, innanzi tutto, il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, a dispetto della propria incensuratezza, nonché che la Corte territoriale ha ritenuto ostativi al riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131 -bis cod. pen. l’esistenza di precedenti di polizia.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo è manifestamente infondato per l’assorbente ragione che, a differenza di quanto prospettato dalla difesa dell’imputato, il Pubblico Ministero, come risulta dall’esame del fascicolo, aveva originariamente proposto ricorso per cassazione contro la pronuncia del giudice di primo grado, ricorso che è stato convertito in appello ex art. 580 cod. proc. pen.
Per ragioni di priorità logica, occorre esaminare, poi, il terzo motivo di ricorso.
Tale motivo è inammissibile in quanto reitera censure già dedotte in appello alle quali è stata fornita una congrua risposta dalla decisione impugnata, con le cui argomentazioni, tuttavia, il ricorrente omette di confrontarsi (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822).
La sentenza impugnata ha in particolare sottolineato che dalla contestazione della notizia di reato della Guardia di Finanza emergono una serie di difformità dei capi esposti dal ricorrente sul proprio banco di vendita, comprensiva dell’apposizione di certificati di autenticità ‘seriali’ a prodotti diversi, dalla mancanza di codici di controllo anticontraffazione, dall’apposizione sullo stesso capo di due cartellini aventi indicazione di origine del prodotto diverse, dall’acquisto di accessori su siti internet della Repubblica Cinese. Inoltre, la Corte d’Appello ha posto in rilievo che gli esperti dei marchi coinvolti avevano comunicato, come da successiva nota della Guardia di Finanza, che tutti i prodotti che erano stati loro sottoposti erano effettivamente contraffatti segnalando non solo questioni qualitative ma anche un problema di originalità delle etichette e dello stesso marchio.
La decisione censurata ha aggiunto, inoltre, che non emergevano i generici difetti di qualità della merce dedotti dall’imputato in sede di gravame né che la merce era stata acquistata ‘a stock’ da soggetti titolari dei relativi diritti di commercializzazione.
Ancora, sul piano dell’elemento soggettivo del reato, la stessa sentenza impugnata ha evidenziato che la consapevolezza della contraffazione da parte dell’NOME è ritraibile proprio dalle modalità di acquisto ‘a stock’ della merce da siti internet cinesi, caratterizzati da un numero massivo di prodotti falsificati indicativo di una modalità di approvvigionamento incompatibile con le modalità ordinarie di commercializzazione della merce relativa ai marchi di lusso.
Rispetto ad una motivazione così articolata, con la quale il ricorrente non si confronta, le censure palesano la loro evidente genericità nei termini già indicati.
Sempre per ragioni di priorità logica, deve essere anteposto l’esame del quarto motivo di ricorso al secondo.
Anche tale motivo è inammissibile, innanzi tutto, in quanto generico, poiché dalla lettura dello stesso sembra che l’unica ragione ostativa al riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131 -bis cod. pen. sia stata ravvisata dalla Cor te territoriale nell’esistenza di precedenti di polizia a carico dell’imputato . In realtà, le argomentazioni della sentenza impugnata si fondano, altresì, sul rilevante quantitativo e sulla rilevante tipologia della merce esposta in vendita, dati indicativi della gravità del fatto, argomentazioni con le quali, nuovamente, la difesa del ricorrente non si confronta, incorrendo nel vizio di genericità della censura (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, cit.).
Sotto un secondo aspetto, quanto al denegato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, il motivo si presenta manifestamente infondato al lume della stessa formulazione dell’art. 62 -bis cod. pen. Invero, come più volte ribadito nella giurisprudenza di questa Corte, il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell’art. 62bis , disposta con il d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non è più sufficiente il solo stato di incensuratezza dell’imputato (tra le molte, Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, COGNOME, Rv. 283489; Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, COGNOME, Rv. 270986). E, del resto, vi è che la decisione impugnata non si è limitata a denegare al ricorrente la concessione delle circostanze attenuanti generiche per l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, facendo congruamente riferimento tanto a i precedenti di polizia dell’imputato quanto alla condotta dello stesso nel corso del processo, durante il quale era assente e non prestava alcun apporto collaborativo.
Infine, alcuna rilevanza può assumere rispetto a quanto osservato il riconoscimento all’imputato della sospensione condizionale della pena, atteso che, come sottolineato da tempo risalente nella giurisprudenza di legittimità, mentre la concessione delle attenuanti generiche ha per presupposto la sussistenza di una qualsiasi circostanza, diversa da quelle specificamente previste, che giustifichi una diminuzione della pena, la concessione del beneficio della sospensione condizionale postula la presunzione, da parte del giudice, che l’imputato si astenga dal commettere ulteriori reati. Presunzione, questa, che, pur dovendo essere ricavata dagli indici indicati nell ‘ art 133 cod. pen. ai fini della determinazione della pena, non può discendere che da un giudizio autonomo, e pertanto del tutto indipendente, sia da quello che viene effettuato per stabilire, nell’ambito della misura edittale, l’entità della pena da infliggere, sia e a maggior ragione da quello che viene compiuto, al di fuori del dettato dell’art 133, per accertare se ricorrano oppure no le attenuanti generiche. Proprio l’autonomia dei due benefici, che hanno diversa natura intrinseca e presupposti operativi, esclude che applicato l’uno si debba per conseguenza logica o giuridica applicare l’altro (Sez. 6, n. 1363 del 10/11/1970, dep. 1971, Veloccia, Rv. 116939).
4. Il secondo motivo è inammissibile.
Vi è infatti che, come del resto assunto a fondamento delle sue censure dall’NOME, l’ordinanza di correzione dell’errore materiale è stata pronunciata in un momento successivo alla sentenza impugnata e dunque, a differenza delle ordinanze rese nel corso del dibattimento, ha un regime impugnatorio autonomo rispetto alla sentenza impugnata (cfr., ex aliis , Sez. 3, n. 13006 del 18/12/2014, dep. 2015, Mazza, Rv. 262995).
Infatti, l’ordinanza di correzione dell’errore materiale, una volta adottata, non è liberamente rivedibile dal giudice che l’ha pronunciata, restando viceversa assoggettata a ricorso ordinario per cassazione, ai sensi del comma 7 dell’art. 127, cod. proc. pen., nel termine di quindici giorni stabilito dall’art. 585, comma 1, lett. a), dello stesso codice, anche nel caso in cui si ritenga l’abnormità della correzione (Sez. 1, n. 11238 del 21/02/2020 , Marchi’, Rv. 278852).
Ne deriva che, se è vero che i due provvedimenti possono essere oggetto di ricorso per cassazione con unico atto, tuttavia deve essere vagliato per ciascuno di essi il rispetto del termine per impugnare.
Ora, l’ordinanza di correzione dell’errore materiale sulla quale si appuntano le censure svolte dall’imputato con il quarto motivo risulta comunicata al difensore dello stesso in data 10 febbraio 2025, da cui decorrono i quindici giorni previsti dall’art. 585 cod. proc. pen. per proporre ricorso per cassazione.
Detto termine era dunque inesorabilmente spirato alla data dell’11 marzo 2025 di proposizione della presente impugnazione.
Peraltro, l’inammissibilità del motivo di ricorso contro l’ordinanza di correzione dell’errore materiale avrebbe potuto essere superata mediante il rilievo d’ufficio del relativo vizio da parte di questa Corte nella sola ipotesi di comminazione di una pena illegale (Sez. U, n. 38809 del 31/03/2022, Miraglia, Rv. 283689): sennonché, nella fattispecie in esame, la pena accessoria irrogata all’imputato rientra nella cornice edittale di cui all’art. 36, secondo comma, cod. pen.
Alla dichiarazione di inammissibilità segue la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen., al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, atteso che l’evidente inammissibilità dei motivi di impugnazione, non consente di ritenere il ricorrente medesimo immune da colpa nella determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilità (cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così è deciso, 23 settembre 2025
Il AVV_NOTAIO Estensore Il Presidente NOME COGNOME