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Memoria difensiva DASPO: il ricorso è inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un tifoso contro la convalida di un DASPO di cinque anni. Il ricorrente sosteneva che il Giudice per le Indagini Preliminari (G.I.P.) non avesse considerato la sua memoria difensiva DASPO, depositata tempestivamente. La Corte ha stabilito che, sebbene non menzionata esplicitamente, la memoria era stata di fatto valutata, poiché le argomentazioni del G.I.P. sulla pericolosità della condotta (lancio di un fumogeno) rispondevano implicitamente ai punti sollevati dalla difesa. Il ricorso è stato quindi rigettato per manifesta infondatezza.

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Pubblicato il 13 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

DASPO e Omessa Valutazione della Memoria Difensiva: la Cassazione Fa Chiarezza

L’applicazione di un DASPO rappresenta una significativa limitazione della libertà personale. Ma cosa succede se il giudice, nel convalidare la misura, sembra ignorare gli argomenti presentati dalla difesa? Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sentenza n. 31816/2024) affronta proprio il tema della memoria difensiva DASPO, stabilendo principi importanti sulla sua valutazione e sui limiti del ricorso.

I Fatti del Caso

Un tifoso, durante una trasferta per assistere a una partita della sua squadra, veniva identificato come responsabile dell’accensione e del lancio di un artifizio pirotecnico (fumogeno) verso le gradinate del settore ospiti. A seguito di questo episodio, il Questore emetteva nei suoi confronti un provvedimento di DASPO della durata di cinque anni, comprensivo dell’obbligo di presentazione a un comando di polizia in occasione delle competizioni sportive della sua squadra.

Il provvedimento veniva convalidato dal Giudice per le Indagini Preliminari (G.I.P.) del Tribunale competente. La difesa del tifoso, prima della convalida, aveva depositato tempestivamente una memoria difensiva tramite PEC, contestando l’assenza di una reale turbativa dell’ordine pubblico e la genericità delle accuse.

Ritenendo che il G.I.P. avesse completamente omesso di valutare tale memoria, il tifoso proponeva ricorso per cassazione, lamentando un vizio di motivazione e una violazione del diritto di difesa.

La Valutazione della Memoria Difensiva DASPO secondo la Cassazione

Il ricorrente basava il suo primo motivo di ricorso sull’omessa motivazione del G.I.P. in merito agli argomenti sollevati nella memoria difensiva. La difesa sosteneva che il mancato esame delle proprie tesi rendesse l’ordinanza di convalida nulla.

La Corte di Cassazione, tuttavia, ha respinto questa argomentazione. I giudici supremi hanno chiarito che, sebbene la memoria fosse stata depositata correttamente e in tempo utile (circa due ore prima della decisione del G.I.P.), non si poteva parlare di una vera e propria omissione. L’ordinanza di convalida, pur non citando esplicitamente la memoria difensiva, affrontava e risolveva le questioni centrali sollevate dalla difesa.

In particolare, il G.I.P. aveva ricostruito dettagliatamente la condotta, basandosi sulle immagini di videosorveglianza e sulle note della Questura, e aveva valutato la pericolosità intrinseca del gesto: l’accensione e il lancio di un fumogeno all’interno di uno stadio, in un settore affollato, costituiscono di per sé un fatto idoneo a creare pericolo e a turbare l’ordine pubblico. Di conseguenza, la Corte ha ritenuto che il G.I.P. avesse fornito una risposta implicita ma sufficiente alle contestazioni difensive.

Le Motivazioni della Corte

La Corte ha specificato che l’omessa valutazione di una memoria difensiva può costituire un vizio di motivazione solo se si dimostra che gli argomenti in essa contenuti erano decisivi e rilevanti per la ricostruzione dei fatti. Nel caso di specie, la difesa si era limitata a riproporre le stesse argomentazioni della memoria senza spiegare perché queste avrebbero dovuto portare a una diversa conclusione. La motivazione del G.I.P., seppur sintetica, è stata giudicata congrua e logicamente coerente.

Inoltre, la Corte ha affrontato il secondo motivo di ricorso, relativo alla presunta sproporzione della sanzione. Anche su questo punto, la Cassazione ha ritenuto la decisione del G.I.P. corretta. La durata di cinque anni, minimo previsto per i soggetti recidivi nel DASPO, è stata considerata adeguata in ragione della gravità dei fatti, della pericolosità del soggetto (desunta anche da precedenti) e del contesto in cui l’azione si è svolta. Il giudice della convalida ha correttamente bilanciato la gravità della condotta con la misura preventiva applicata, commisurandola al minimo di legge previsto per i casi di recidiva.

Conclusioni

La sentenza in esame ribadisce un principio fondamentale: per contestare con successo un provvedimento per omessa valutazione di una memoria difensiva, non basta affermare che il giudice non l’abbia letta. È onere della parte ricorrente dimostrare che gli argomenti pretermessi erano essenziali e decisivi e che, se fossero stati considerati, avrebbero portato a un esito diverso. Una motivazione che, pur senza menzionare l’atto difensivo, risponde nel merito alle questioni sollevate è da considerarsi valida. Il diritto di difesa è garantito dalla possibilità di presentare le proprie ragioni, ma l’esito del giudizio dipende dalla fondatezza e dalla decisività di tali ragioni, non dalla mera menzione formale dell’atto che le contiene.

Cosa succede se un giudice non menziona esplicitamente una memoria difensiva nella sua decisione?
Secondo la sentenza, la mancata menzione esplicita non comporta automaticamente la nullità della decisione. Se il giudice, nella sua motivazione, affronta e risolve le questioni centrali sollevate nella memoria, si considera che abbia effettuato una valutazione implicita ma sufficiente.

È sufficiente depositare una memoria difensiva per contestare efficacemente un DASPO?
No, non è sufficiente. È onere della difesa non solo presentare argomenti, ma anche dimostrare, in fase di impugnazione, che tali argomenti erano decisivi e rilevanti. Se la parte si limita a riproporre le stesse tesi senza spiegarne la portata decisiva, il ricorso può essere dichiarato inammissibile per genericità.

La durata del DASPO viene decisa automaticamente in caso di recidiva?
No. Anche se la legge prevede una durata minima (cinque anni) per i soggetti già destinatari di un precedente DASPO, il giudice della convalida deve sempre effettuare una valutazione concreta sulla congruità e proporzionalità della misura, motivando la sua decisione in base alla gravità dei fatti, alla pericolosità del soggetto e alle circostanze specifiche del caso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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