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Medesimo disegno criminoso: quando non si applica?

La Corte di Cassazione annulla un’ordinanza che riconosceva il medesimo disegno criminoso tra due rapine commesse a 19 mesi di distanza. La Corte ha ritenuto illogico il ragionamento del giudice di merito, basato su un lasso di tempo non breve e su una prova di tossicodipendenza travisata. La sentenza ribadisce che un bisogno generico di denaro non basta a configurare un piano unitario, per il quale è necessaria una programmazione anticipata dei reati.

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Pubblicato il 28 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Medesimo disegno criminoso: la Cassazione chiarisce i requisiti

Il concetto di medesimo disegno criminoso, disciplinato dall’articolo 81 del codice penale, è cruciale per la determinazione della pena quando una persona commette più reati. Questo istituto, noto come “continuazione”, permette di applicare un trattamento sanzionatorio più mite, ma la sua applicazione richiede una rigorosa verifica di presupposti specifici. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 34289/2025) offre importanti chiarimenti, annullando una decisione di merito che aveva riconosciuto la continuazione in modo, secondo la Suprema Corte, manifestamente illogico.

I Fatti del Caso: Due Rapine e una Richiesta di Continuazione

Il caso riguarda un individuo condannato per due rapine aggravate, commesse a Corato in due momenti diversi: la prima il 12 febbraio 2018 e la seconda il 20 settembre 2019. In fase di esecuzione, la Corte d’appello di Bari accoglieva l’istanza del condannato, riconoscendo il vincolo della continuazione tra i due reati.

La Corte territoriale motivava la sua decisione sulla base di tre elementi:
1. La breve distanza di tempo tra i due episodi.
2. La commissione dei reati nello stesso luogo e con le stesse modalità.
3. La condizione di tossicodipendenza del soggetto, che lo avrebbe spinto a delinquere per procurarsi il denaro necessario.

Il Ricorso del Procuratore Generale e i Criteri del Medesimo Disegno Criminoso

Il Procuratore generale presso la Corte di appello di Bari ha impugnato l’ordinanza, contestando la logicità della motivazione. In particolare, il ricorrente ha evidenziato come un intervallo di un anno e sette mesi non potesse essere considerato una “breve distanza”. Inoltre, tra i due reati erano intercorsi periodi di detenzione e misure alternative, interrompendo la presunta continuità del piano criminoso.

L’argomento più forte, tuttavia, riguardava la prova della tossicodipendenza. Il certificato agli atti, infatti, attestava una presa in carico del soggetto nel 2013, ma specificava che lo stesso non si era più presentato al servizio dal 2015. Questo documento, quindi, non solo non provava la dipendenza all’epoca dei fatti (2018-2019), ma di fatto la smentiva.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto pienamente il ricorso, ritenendolo fondato e annullando l’ordinanza con rinvio per un nuovo esame. La Suprema Corte ha smontato punto per punto la motivazione del giudice dell’esecuzione.

Innanzitutto, ha definito “manifestamente illogica” la valutazione sulla distanza temporale. Un anno e sette mesi è un arco di tempo considerevole, specialmente per reati come la rapina, che non richiedono necessariamente una pianificazione complessa e a lungo termine.

In secondo luogo, e in modo decisivo, la Corte ha sottolineato che il medesimo disegno criminoso non può essere confuso con una generica spinta a delinquere. Come stabilito dalle Sezioni Unite (sentenza Gargiulo, n. 28659/2017), per riconoscere la continuazione è necessario provare che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero già stati programmati, almeno nelle loro linee essenziali. Un mero bisogno di denaro, anche se legato a una dipendenza, è un proposito troppo scarno e generico per integrare un piano criminoso unitario.

Infine, la Cassazione ha qualificato l’uso del certificato medico come un vero e proprio “travisamento degli atti”. Il giudice di merito ha basato la sua decisione su un elemento di prova che, a un’attenta lettura, diceva l’esatto contrario di quanto gli è stato fatto dire, ovvero che non vi era prova di una continuità terapeutica dopo il 2015.

Conclusioni

La sentenza in esame riafferma con forza i criteri rigorosi per l’applicazione dell’istituto della continuazione. Il riconoscimento del medesimo disegno criminoso non può basarsi su congetture o su elementi generici come la somiglianza delle modalità esecutive o un movente economico. È richiesta una prova concreta di una programmazione unitaria e anticipata dei diversi episodi delittuosi. Questa decisione serve da monito per i giudici di merito a non cadere in motivazioni illogiche o basate su un’errata interpretazione delle prove, garantendo così una corretta applicazione della legge penale sostanziale anche nella delicata fase dell’esecuzione della pena.

Un lungo intervallo di tempo tra due reati esclude automaticamente il medesimo disegno criminoso?
Non lo esclude in modo automatico, ma lo rende molto meno probabile. La Corte di Cassazione ha ritenuto che un anno e sette mesi sia un periodo manifestamente illogico per sostenere la continuazione, specialmente per reati come la rapina che non richiedono una complessa pianificazione. La valutazione dipende dalla natura dei reati e dal contesto.

La tossicodipendenza può essere considerata l’elemento unificante di un medesimo disegno criminoso?
No, di per sé non è sufficiente. La necessità di procurarsi denaro per acquistare stupefacenti è considerata un movente generico, una spinta a delinquere, non un programma criminoso unitario e specifico. È necessario dimostrare che i reati successivi erano stati pianificati, almeno nelle linee essenziali, già al momento della commissione del primo.

Cosa significa “travisamento degli atti” in questo caso?
Significa che il giudice di merito ha fondato la sua decisione su una prova interpretata in modo palesemente errato. Nello specifico, ha ritenuto che un certificato attestasse la tossicodipendenza dell’imputato al momento dei reati (2018-2019), mentre il documento in realtà si riferiva al 2013 e specificava che la persona non si presentava più al servizio dal 2015, indebolendo anziché sostenere la tesi della continuazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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