Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 5218 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 5218 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 08/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato a COGNOME il 21/07/1984 avverso l’ordinanza del 11/10/2023 del TRIBUNALE di Bolzano visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso udita la relazione del Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha
chiesto il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME ha domandato l’applicazione dell’istituto della continuazione in sede esecutiva, con riferimento ai reati giudicati mediante le seguenti sentenze ex art. 444 cod. proc. pen.: a) sentenza del Tribunale di Bolzano del 16 gennaio 2012, per il reato di cui all’art. 624-bis cod. pen., commesso il 28 marzo 2011 in Appiano sulla INDIRIZZO Vino (BZ), con applicazione della pena di mesi sei di reclusione ed euro duecento di multa (convertita la pena detentiva in mesi sei di libertà controllata) e concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena; b) sentenza del Tribunale di Bolzano del 12 febbraio 2013, per il reato di cui all’art. 624-bis cod. pen., commesso il 26 maggio 2012 in Cermes (BZ), con applicazione della pena di mesi otto di reclusione ed euro trecento di multa, concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena; c) sentenza del Tribunale di Bolzano del 17 dicembre 2013, per il reato di cui agli artt. 56 e 624-bis cod. pen., commesso 1’11 dicembre 2011 in Terlano (BZ), con applicazione della pena di mesi quattro di reclusione ed euro trecento di multa (sostituita la pena detentiva in libertà controllata). L’istanza, formulata ai sensi dell’art. 188 disp. att. cod. proc. pen., conteneva anche la richiesta di sostituzione della pena detentiva nella sanzione della detenzione domiciliare o, in subordine, di concessione del beneficio della sospensione condizionale.
1.1. Il Giudice dell’esecuzione ha disatteso l’istanza, ritenendo la impossibilità di procedere all’applicazione della invocata pena sostitutiva, ritenendo che tale potere fosse riservato esclusivamente al giudice della cognizione, nonché rilevando l’inammissibilità della domanda di concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.
1.2. La Corte di Cassazione – con sentenza del 13/03/2024 – ha annullato tale decisione, stigmatizzando la mancata valutazione dell’accordo formatosi ex art. 188 disp. att’ cod. proc. pena e ritenendo rivestire tale vulnus della motivazione un carattere assorbente, rispetto alle ulteriori questioni prospettate.
1.3. Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Bolzano in composizione monocratica – in funzione di giudice dell’esecuzione – ha nuovamente rigettato l’istanza, fondando la decisione sulla considerazione della insussistenza di idonei elementi, dai quali poter fondatamente desumere la sussistenza di una preventiva ideazione unitaria, fra i reati di cui alle succitate sentenze ex art. 444 cod. proc. pen., con conseguente impossibilità di accogliere l’accordo ex art. 188 disp. att. cod. proc. pen.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME con atto a firma dell’avv. NOME COGNOME deducendo due motivi di ricorso, a mezzo dei quali prospetta: 1)
inosservanza o erronea applicazione degli artt. 20-bis e 81 cod. pen., nonché 671 cod. proc. pen., 53 e 56 legge 24 novembre 1981, n 689; 2) manifesta illogicità della motivazione, vizio deducibile ex art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo di ricorso, il difensore si duole del fatto che il giudice dell’esecuzione sia pervenuto al diniego della continuazione, nonostante la presenza di plurimi indicatori di segno positivo, quali l’omogeneità dei reati perpetrati, le identiche modalità di esecuzione, la breve distanza temporale e, infine, la sussistenza di un fine unitario; da tali elementi il Tribunale avrebbe dovuto necessariamente trarre, secondo la difesa, la prova della sussistenza di un medesimo disegno criminoso.
2.2. Con il secondo motivo, invece, la difesa scrivente lamenta la giustificazione logico-giuridica fornita dal giudice dell’esecuzione, in merito alla mancata concessione della continuazione e della sostituzione della pena detentiva, come risultante dal cumulo, con sanzione sostitutiva; il ricorrente avanza tale doglianza facendo leva sull’accordo, in punto di sostituzione con la misura della detenzione domiciliare, raggiunto in executivis con il Pubblico ministero.
Il Procuratore generale ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Giova premettere che l’iter procedurale descritto in parte narrativa prevede alternativamente – in capo al Giudice – la possibilità di recepire l’accordo intervenuto fra le parti, ovvero di procedere comunque alla unificazione dei reati (secondo quanto richiesto dall’interessato e pur in presenza di un dissenso espresso dal Pubblico ministero), o, infine, di respingere la richiesta, laddove ravvisi la insussistenza dei presupposti della continuazione (si veda Sez. 1, n. 41312 del 18/06/2015, Genco, Rv. 264890 – 01, la quale ha chiarito che con riferimento al tema della continuazione in sede esecutiva, inerente ai reati oggetto di più sentenze di applicazione della pena ex art. 444 cod. proc. pen. pur in presenza di una concorde richiesta delle parti, il giudice dell’esecuzione conserva il potere di apprezzamento, in ordine alla sussistenza dei requisiti previsti sia dall’art. 188 disp. att. cod. proc. pen., sia dall’art. 81 cod. pen., compresa l’identità del disegno criminoso, preesistente rispetto alla commissione
delle singole violazioni, potendo – in caso non ne ravvisi la ricorrenza disattendere la domanda).
2.1. Va anche ricordato come l’art. 81, secondo comma, cod. pen. postuli la riferibilità dei fatti giudicati ad un “medesimo” (dunque originario) disegno criminoso. Siffatta unicità di disegno, egualmente necessario per il riconoscimento della continuazione in fase di cognizione e in fase esecutiva, non si identifica «con il programma di vita delinquenziale del reo, che esprime, invece, l’opzione del reo a favore della commissione di un numero non predeterminato di reati, che, seppure dello stesso tipo, non sono identificabili a priori nelle loro principali coordinate, rivelando una generale propensione alla devianza, che si concretizza, di volta in volta, in relazione alle varie occasioni ed opportunità esistenziali» (Sez. 1, n. 15955 del 08/01/2016, Eloumari, Rv. 266615). Occorre per il riconoscimento della continuazione, quindi, «una approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori, quali l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spazio-temporale, le singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita, e del fatto che, al momento della commissione del primo reato, í successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici suindicati se i successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea » (Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270074).
La nozione di continuazione delineata nell’art. 81, secondo comma, cod. pen., richiede che i fatti siano riferibili ad un «medesimo» (dunque originario) disegno criminoso. Siffatta unicità di disegno implica che l’agente abbia una iniziale programmazione e deliberazione di compiere una pluralità di reati, che possono essere anche non dettagliatamente ab origine progettati e organizzati, purché risultino almeno in linea generale previsti, in funzione di “adattamento” alle eventualità del caso, come mezzo per il conseguimento di un unico fine, parimenti prefissato e sufficientemente specifico. Deve, dunque, escludersi che una tale programmazione possa essere desunta sulla sola base dell’analogia dei singoli reati o del contesto in cui sono maturati, ovvero ancora della spinta a delinquere, tanto più se genericamente economica, non potendo confondersi il fine specifico, ovverosia il movente-scopo che individua una programmazione e deliberazione unitaria, con la tendenza stabilmente operante in un soggetto a risolvere i propri problemi esistenziali commettendo reati (cfr. Sez. 1, n. 12905 del 17/03/2010, COGNOME, Rv. 246838). Infine, l’inciso «anche in tempi diversi» contenuto nell’art. 81, comma secondo, cod. pen., non consente di negare ogni rilevanza all’aspetto del tempo di commissione dei reati: come la vicinanza temporale non costituisce di per sé «indizio necessario» dell’esistenza del
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medesimo disegno criminoso, così la notevole distanza di tempo ben può essere, anche se non è inevitabile che lo sia, indizio negativo. Le difficoltà di programmazione e deliberazione a lunga scadenza e le crescenti probabilità di mutamenti che, con il passare del tempo, richiedono una nuova risoluzione antidoverosa, comportano che le possibilità di ravvisare la sussistenza della continuazione normalmente «si riducono fino ad annullarsi in proporzione inversa all’aumento del distacco temporale tra i singoli episodi criminosi».
2.2. Coerentemente con i principi di diritto sin qui esposti, il giudice dell’esecuzione ha correttamente affermato l’insufficienza del richiamo alla similarità, riscontrabile fra i vari fatti di reato, sottolineando invece, quali elementi di ritenuta valenza sfavorevole, all’accoglimento della richiesta:
come la commissione dei vari furti sia stata il frutto di decisioni estemporanee, assunte dalla condannata in presenza di occasioni ritenute propizie;
come il disagio socio-economico non possa assurgere a elemento unificatore, sotto il profilo ideativo e programmatico, delle condotte successivamente poste in essere;
come le varie condotte accertate siano espressione di una scelta di vita improntata alla delinquenza, piuttosto che essere frutto di un singolo sforzo volitivo.
2.3. A fronte di una struttura motivazionale che è congruente, logica e priva del pur minimo spunto di contraddittorietà, l’impugnazione spende solo argomentazioni assertive e improntate alla mera confutazione, oltre che versate in fatto e tendenti ad ottenere, sostanzialmente, una rilettura degli elementi di valutazione e conoscenza già valutati.
Alla luce delle considerazioni che precedono, si impone il rigetto del ricorso; segue ex lege la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, 08 gennaio 2025.