Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 35 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 35 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: IMPERIALI COGNOME
Data Udienza: 08/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato il 16/04/1965
avverso la sentenza del 15/11/2023 della RAGIONE_SOCIALE di CATANIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procurato NOME COGNOME che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso lette le conclusioni scritte depositate in data 7/10/2024 dal difensore, avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento della sentenza impugnata;
Ricorso trattato con contraddittorio scritto ai sensi dell’art. 23 co. 8 D.L. n.137/2020 successivo art. 8 D.L. 198/2022.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 4/2/2022 il Tribunale di Catania assolveva In Shuie dai reati d artt. 81 cpv., 648 e 474 comma 2 cod. pen. (capo A) ed all’art. 517 cod. pen. (capo B) perché il fatto non sussiste.
Le imputazioni avevano tratto origine da una perquisizione nel negozio della predetta, con conseguente sequestro di 1.565 articoli di pelletteria recanti marchi presumibilmente contraffatti (capo A) e 4.787 cinture destinate alla vendita che portavano ad imputare il reato di cui all’art. 517 cod. pen. sul presupposto che le stesse avessero nomi e segni nazionali (bandiera italiana o scritta italiana) atti ad indurre in inganno il compratore s reale origine dei prodotti.
Il Tribunale rilevava che, quanto al reato dì cui all’art. 517 cod. pen., le cin sequestrate, pur riportando bandiere e segni italiani o nomi italiani, recavano tutt espressamente in etichetta e sul cartellino la dicitura “made in China” o “made in PRAGIONE_SOCIALE“, ritenuta sufficiente ad evitare qualsiasi equivoco sulla loro provenienza.
Quanto al delitto di cui all’art. 474 cod. pen., reato presupposto anche della ricettazione rilevava che era stata effettuata perizia solo su quattro fotografie di borse “che ricordano il marchio “RAGIONE_SOCIALE“, cioè il disegno scozzese che contraddistingue molti prodotti del celebre marchio britannico”, e tuttavia mancava sui prodotti sequestrati il segno denominativo “RAGIONE_SOCIALE“, tale da indurre il consumatore a collegare il prodotto al titolare del marchio, e stesso “RAGIONE_SOCIALE“, a sua volta, appartenendo alla categoria dei tartan scozzesi, ad avviso del Tribunale era di per sé inidoneo a creare un collegamento univoco con la casa di moda, anche perché mancava il logo costituito dal “Cavaliere in arancione”, né le borse portavano alcun cartellino riferito al marchio predetto.
Premesso che il verbale di sequestro non risultava corredato da alcuna fotografia, per quanto riguarda i quattro prodotti di cui alle fotografie sottoposte a perizia, pertanto Tribunale riteneva inesistente la contraffazione di alcun marchio, in quanto “la falsità deg articoli” doveva ritenersi riconoscibile ictu oculi da chiunque. Il Tribunale riteneva, pertan “esclusa la contraffazione dei prodotti” e con essa, quale reato presupposto, anche il reato di ricettazione.
Decidendo sull’appello proposto dall’ufficio del pubblico ministero e dalla parte RAGIONE_SOCIALE con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Catania ha parzialm riformato la sentenza di primo grado riconoscendo la penale responsabilità della Jin S ordine al reato dì cui agli artt. 474 e 648 cod. pen., limitatamente ai capi ed acc marchio figurativo riconducibile alla società RAGIONE_SOCIALE condannando la predetta all ritenuta di giustizia ed al risarcimento dei danni in favore della parte civile predetta.
Premesso che la Jin non era stata in grado di produrre alcuna documentazione fiscale e nessuno scritto autorizzativo, proveniente dalle griffe coinvolte, che giustificasse la detenzion dei prodotti sequestrati, rilevava infatti la Corte che le foto ritraenti la merce sequest
sebbene non allegate al verbale di sequestro, erano comunque allegate alla relazione di consulenza tecnica in atti e, premessa la riconosciuta possibilità di ricorrere all’ausili per verificare la contraffazione del marchio, anche se dipendenti dalle ditte interessate riteneva irrilevante la compresenza o meno del marchio figurativo RAGIONE_SOCIALE sul prodotto, ai fini della sussistenza del reato, essendo il segno figurativo “RAGIONE_SOCIALE” da solo in grado di svolgere la funzione di marchio, trattandosi non già un generico “tartan”, bensì uno specifico segno scozzese che identifica RAGIONE_SOCIALE, che contraddistingue la casa in parola anche in assenza dell’indicazione di tale nominativo.
Infine, rilevava che la presenza di un cartellino made in China, o simile, su alcuni prodott sequestrati non esclude l’elemento oggettivo del reato, giacché i cartellini non fanno parte del bene e possono esservi apposti o levati in ogni momento.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte territoriale, affidandolo a quattro motivi di impugnazione:
3.1. violazione dell’art. 606 co. 1 lett. e) cod. proc. pen., anche in relazione all’art. 192 cod. proc. pen. per essere stata ritenuta irrilevante la mancanza di fotografie allegate a verbale di sequestro, nonostante la mancata descrizione dei beni sequestrati: difetterebbe qualsiasi prova che le sole quattro fotografie allegate alla consulenza dei tecnici della part civile riproducano proprio gli oggetti sequestrati, tanto più che nel verbale di sequestro non faceva alcuna menzione dell’essere stata eseguita una campionatura fotografica.
3.2. violazione dell’art. 606 co. 1 lett. e) cod. proc. pen., anche in relazione all’art. 192 cod. proc. pen. per la mancata motivazione in relazione alla valenza probatoria delle valutazioni dei consulenti di parte civile.
3.3. violazione dell’art. 606 co. 1 lett. e) cod. proc. pen., anche in relazione all’art cod. proc. pen., per essere stato violato il principio in base al quale l’overtourning in appe della sentenza assolutoria in primo grado richiede una “motivazione rafforzata” tale da rendere evidente l’errore della sentenza assolutoria e non il mero dissenso sulle valutazioni del primo giudice, ciò in relazione vari elementi, quali le affermazioni del primo giudice in ordine: all’assenza del segno Burberry e del logo costituito dal Cavaliere arancione; b) alla riproduzione del RAGIONE_SOCIALE, che il primo giudice assume essere un tartan scozzese inidoneo a creare collegamento con la casa inglese; c) al rilievo che le uniche foto in at rivelerebbero solo una vaga somiglianza con i prodotti originali; d) alla non corrispondenza di colori e modelli tali da renderli non confondibili con gi originali.
3.4. violazione dell’art. 606 co. 1 lett. e) cod. proc. pen., in relazione all’affe sussistenza del presupposto che la ricorrente, in quanto negoziante, dovesse essere consapevole dell’idoneità ingannatoria di quanto riprodotto dagli articoli sequestrati, pu ritenuti inidonei all’inganno da parte del Tribunale del riesame prima e del Giudice di primo grado poi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile, per la manifesta infondatezza dei motivi addotti, anche quando non attengono esclusivamente merito della decisione impugnata, in quanto volti a sollecitare una diversa lettura degli elementi di prova posti a fondamento della decisione impugnata.
La sentenza della Corte territoriale ha dato adeguatamente conto, infatti, delle ragioni che hanno indotto a riconoscere piena affidabilità alla consulenza effettuata sulla base di quattro fotografie dagli esperti indicati, trattandosi di fotografie che, sebbene non allegate verbale di sequestro redatto dalla polizia piudiziaria, comunque erano state dalla stessa polizia giudiziaria inviate, a campione, ai consulenti della casa di moda interessata, e da questi allegate alla consulenza (pagg. 6 e 7 della sentenza), sicché senza vizi logici si è ritenuto no potersi dubitare che si trattava di fotografie ritraenti campioni dei prodotti sequestrati.
Manifestamente infondato è anche il secondo motivo di ricorso, avendo la Corte territoriale dato conto dell’affidabilità delle valutazioni dei consulenti della società RAGIONE_SOCIALE, da un lato rilevando come questi abbiano riconosciuto la contraffazione solo con riferimento ad alcuni prodotti escludendola in relazione agli altri, e dall’altro osservando che prassi consolidata quella di far visionare “a soggetti esperti delle immagini fotografic rappresentative di campioni di prodotto”, in coerenza, del resto, con la consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimità che riconosce come ammissibili le valutazioni di carattere tecnico espresse da esperti alle dipendenze della persona offesa.
In tema di prova testimoniale, infatti, il divieto di apprezzamenti personali non oper qualora il testimone sia persona particolarmente qualificata che riferisca su fatti caduti sotto sua diretta percezione sensoriale ed inerenti alla sua abituale e specifica attività giacché, in caso, l’apprezzamento diventa inscindibile dal fatto (così Sez. 2, n. 4128 del 09/10/2019, Rv. 278086, in una fattispecie in tema di detenzione per la vendita di prodotti con marchio contraffatto, in cui la Corte ha ritenuto correttamente acquisita e valutata dal giudice di mer la deposizione di un ispettore dell’azienda titolare del marchio, all’esito dell’accertamento natura tecnica effettuato. Conf. Sez. 5, n. 42634 del 29/09/2004, Rv. 230330).
Anche gli ultimi due motivi di ricorso sono inammissibili per manifesta infondatezza, atteso che la Corte territoriale, procedendo alla riforma della sentenza di primo grado, risulta essersi conformata alla giurisprudenza di questa Corte di legittimità, invocata dalla ricorrente secondo cui il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutar specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma provvedimento impugnato. (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Rv. 231679; Sez. 6, n. 51898 del 11/07/2019, Rv. 278056).
La sentenza impugnata, infatti, ha in primo luogo evidenziato che il segno figurativo “RAGIONE_SOCIALE” era in grado di svolgere anche da solo la funzione di marchio, non trattandosi
di un comune tartan scozzese liberamente riproducibile, “bensì essendo specifico segno scozzese che identifica “RAGIONE_SOCIALE“, capace di collegare i prodotti che contraddistingue alla casa inglese”, anche in assenza del nominativo RAGIONE_SOCIALE, essendo sufficiente per la configurazione del reato di cui all’art. 474 cod. pen. anche la riproduzione di un solo marchio registrato, s esso figurativo o denominativo. Sulla base ditali valutazioni si è, pertanto, ritenuta irrilev anche l’assenza del logo costituito dal “Cavaliere arancione”, anche alla luce della giurisprudenza di questa Corte di legittimità, alla quale risulta essersi conformata la sentenza impugnata, secondo cui integra il delitto di cui all’art. 474 cod. pen. la detenzione per la vendita di prodotti recanti marchio contraffatto, senza che abbia rilievo la configurabilità de contraffazione grossolana, considerato che l’art. 474 cod. pen. tutela, in via principale diretta, non già la libera determinazione dell’acquirente, ma la fede pubblica, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi e segni distintivi che individuano le opere dell’ingegno ed prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione anche a tutela del titolare del marchio; tratta, pertanto, di un reato di pericolo per la cui configurazione non occorre la realizzazio dell’inganno, non ricorrendo, quindi, l’ipotesi del reato impossibile qualora la grossolanità del contraffazione e le condizioni di vendita siano tali da escludere la possibilità che gli acquire siano tratti in inganno. (Sez. 2, n. 16807 del 11/01/2019, Rv. 275814).
Ai fini dell’integrazione dei reati di cui agli artt. 473 e 474 cod. pen., un marchio si int contraffatto quando la confusione con un segno distintivo similare emerga non in via analitica, attraverso il solo esame particolareggiato e la separata valutazione di ogni singolo elemento, ma in via globale e sintetica, con riguardo cioè all’insieme degli elementi salienti, grafi fonetici o visivi, tenendo, altresì, presente che, ove si tratti di un marchio “forte”, illegittime anche le variazioni, sia pure rilevanti ed originali, che lasciano sussistere l’id sostanziale del nucleo ideologico in cui si riassume l’attitudine individuante (Sez. 2, n. 4032 del 07/06/2019, Rv. 277049).
La sentenza impugnata, pertanto, si è esplicitamente conformata alla giurisprudenza di questa Corte di legittimità secondo cui il reato di introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi, previsto dall’art. 474 cod. pen., è volto a tutelare, non la l determinazione dell’acquirente, ma la pubblica fede, intesa come affidamento dei consumatori nei marchi, quali segni distintivi della particolare qualità e originalità dei prodotti mes circolazione; ne consegue che non può parlarsi di reato impossibile per il solo fatto che la grossolanità della contraffazione sia riconoscibile dall’acquirente in ragione delle modalità dell vendita, in quanto l’attitudine della falsificazione ad ingenerare confusione deve essere valutata non con riferimento al momento dell’acquisto, ma in relazione alla visione degli oggetti nella loro successiva utilizzazione (Sez. 2, n. 39863 del 02/10/2001, Rv. 220236) ed ha altresì valorizzato la considerazione, pretermessa dalla sentenza di primo grado, che la presenza di un cartellino cartaceo su alcuni prodotti sequestrati, indicante la provenienza cinese, non è idonea ad escludere l’elemento oggettivo del reato, giacché i cartellini non fanno
parte del bene, possono esservi apposti o levati in ogni momento e non sono visibil successiva circolazione del bene.
Si tratta di argomenti tali da dotare la motivazione della sentenza impugnata d persuasiva superiore rispetto a quella di primo grado, anche perché valorizzati soprattu luce del rilievo che la ricorrente non è stata in grado di produrre alcune documentazione proveniente dalla casa di moda, idonea giustificare la detenzione dei prodotti sequestra
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue, per il disposto dell cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali non versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che si determi equitativamente in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il giorno 8 ottobre 2024
Il Consigliere estensore
Il Presilltnte