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Marchio contraffatto: quando un motivo è reato?

La Corte di Cassazione conferma la condanna di una negoziante per commercio di prodotti con marchio contraffatto. La sentenza stabilisce che la riproduzione di un motivo figurativo distintivo, come un celebre tartan, costituisce reato anche in assenza del nome del brand o di altri loghi. La Corte ha ritenuto irrilevante che il falso fosse riconoscibile, poiché il reato protegge la fede pubblica e non solo il singolo acquirente, dichiarando inammissibile il ricorso.

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Pubblicato il 9 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Marchio contraffatto: quando un motivo è reato?

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, ha affrontato un caso cruciale in materia di marchio contraffatto, stabilendo principi importanti sulla tutela dei segni distintivi figurativi. La domanda al centro della controversia era se la semplice riproduzione di un motivo iconico, come un famoso disegno a quadri, potesse integrare il reato di contraffazione anche in assenza del nome o del logo del brand. La risposta della Suprema Corte è stata affermativa, consolidando un orientamento a tutela della fede pubblica.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine da una perquisizione effettuata in un negozio, durante la quale venivano sequestrati numerosi articoli di pelletteria, tra cui borse e cinture. Alcuni di questi prodotti riportavano un motivo a quadri (tartan) che richiamava in modo evidente quello di una nota casa di moda di lusso.

In primo grado, il Tribunale aveva assolto la negoziante. Secondo i giudici, non si poteva parlare di contraffazione perché sui prodotti mancavano elementi essenziali come il nome del marchio e il suo logo iconico (il “Cavaliere”). Il semplice motivo a quadri, assimilato a un generico tartan scozzese, era stato ritenuto inidoneo a creare un collegamento univoco con la casa di moda.

La Procura e la parte civile (la casa di moda titolare del marchio) hanno però impugnato la decisione. La Corte d’Appello ha ribaltato la sentenza di primo grado, condannando la negoziante per i reati di commercio di prodotti con marchio contraffatto e ricettazione. Secondo la Corte territoriale, quel specifico motivo a quadri non era un tartan generico, ma un segno distintivo forte, capace da solo di identificare il brand e di svolgere la funzione di marchio.

Il Ricorso in Cassazione e i motivi di impugnazione

La difesa della negoziante ha quindi proposto ricorso per cassazione, basandosi su quattro motivi principali:
1. La presunta inattendibilità delle prove fotografiche, non allegate al verbale di sequestro.
2. La mancata motivazione sulla valenza probatoria della consulenza di parte.
3. La violazione del principio della “motivazione rafforzata”, necessario per ribaltare una sentenza di assoluzione.
4. L’insussistenza dell’elemento soggettivo, dato che la non ingannevolezza dei prodotti era già stata valutata in altre sedi giudiziarie.

Le Motivazioni della Cassazione sul marchio contraffatto

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza, confermando in toto la decisione della Corte d’Appello. Le motivazioni sono di grande interesse per chiunque operi nel settore del commercio.

Un Motivo è un Marchio

Il punto centrale della decisione è che un segno figurativo, come il celebre motivo a quadri, può essere un “marchio forte” a tutti gli effetti. Non è un comune tartan liberamente riproducibile, ma uno specifico segno scozzese che identifica in modo inequivocabile la casa di moda. Di conseguenza, la sua riproduzione integra il reato di cui all’art. 474 c.p., anche senza il nome del brand o altri loghi. La tutela del marchio contraffatto si estende quindi al singolo elemento distintivo, se questo è sufficientemente noto da essere riconducibile all’azienda.

La Tutela della Fede Pubblica e il Reato di Pericolo

La Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: il reato di commercio di prodotti con marchio contraffatto è un “reato di pericolo”. Questo significa che non tutela solo l’acquirente finale, ma la fede pubblica, intesa come l’affidamento generale dei cittadini nei marchi quali segni di autenticità e qualità.

Pertanto, è irrilevante che la contraffazione sia “grossolana” o facilmente riconoscibile dall’acquirente al momento della vendita. Il reato sussiste perché il prodotto, una volta immesso in circolazione, potrebbe ingannare altri soggetti in momenti successivi. La presenza di etichette “Made in China” è stata anch’essa giudicata irrilevante, in quanto elementi esterni al prodotto e facilmente rimovibili.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche

La sentenza consolida un’interpretazione rigorosa della normativa a tutela dei marchi. L’insegnamento principale è che la contraffazione non si limita alla riproduzione del nome o del logo, ma si estende a qualsiasi elemento figurativo che abbia acquisito una capacità distintiva autonoma. I commercianti devono prestare la massima attenzione non solo ai loghi palesemente falsi, ma anche a prodotti che imitano motivi, design e pattern iconici, poiché la loro vendita può configurare i gravi reati di commercio di prodotti con marchio contraffatto e ricettazione. La tutela della fede pubblica prevale sulla potenziale consapevolezza del singolo acquirente, ampliando notevolmente il perimetro della responsabilità penale.

La riproduzione di un motivo a quadri (tartan), senza il nome del marchio, può essere considerata contraffazione?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, se un motivo figurativo è uno specifico segno registrato e distintivo di un brand (“marchio forte”), la sua sola riproduzione è sufficiente a integrare il reato di contraffazione, anche in assenza del nome o di altri loghi.

Se un falso è così evidente da essere riconoscibile dall’acquirente, si commette comunque il reato di commercio di prodotti con marchio contraffatto?
Sì, il reato sussiste comunque. La legge non protegge solo l’acquirente al momento della vendita, ma la “fede pubblica” in generale. Il prodotto, anche se riconosciuto come falso da chi lo compra, potrebbe ingannare altre persone nella sua successiva circolazione.

La presenza di un’etichetta ‘Made in China’ su un prodotto con un marchio contraffatto esclude il reato?
No. La Corte ha stabilito che tali etichette sono irrilevanti perché non sono parte integrante del bene, possono essere facilmente apposte o rimosse in qualsiasi momento e non sono visibili nella successiva circolazione del prodotto, non eliminando quindi la sua capacità ingannatoria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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