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Marchio contraffatto: quando il ricorso è inammissibile

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato condannato per la vendita di prodotti con marchio contraffatto. La Corte ribadisce che il reato sussiste anche in caso di contraffazione palese, poiché a essere tutelata è la fede pubblica. Vengono inoltre respinte le censure sulla valutazione delle prove, considerate questioni di merito non riesaminabili in sede di legittimità.

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Pubblicato il 15 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Marchio Contraffatto: La Cassazione Conferma la Condanna e Spiega i Limiti del Ricorso

La vendita di prodotti con un marchio contraffatto è un reato che pone questioni giuridiche complesse, spesso oggetto di dibattito nelle aule di tribunale. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha ribadito alcuni principi fondamentali in materia, chiarendo perché la contraffazione palese non esclude la punibilità e quali sono i limiti di un ricorso presentato davanti alla Suprema Corte. Questa decisione offre spunti cruciali per comprendere la tutela offerta ai marchi e alla fede pubblica.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un soggetto condannato nei primi due gradi di giudizio per aver detenuto e venduto prodotti recanti un marchio contraffatto. La Corte d’Appello di Palermo aveva confermato la sua responsabilità penale. L’imputato ha quindi deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, affidando il suo ricorso a diversi motivi volti a smontare l’impianto accusatorio e la decisione dei giudici di merito.

I Motivi del Ricorso e le Obiezioni dell’Imputato

La difesa ha articolato il ricorso su quattro punti principali, cercando di scardinare la condanna sotto diversi profili:

1. La contraffazione grossolana: Il ricorrente sosteneva che la falsificazione dei marchi fosse così palese e di bassa qualità da non poter ingannare nessun acquirente. Secondo questa tesi, l’evidente falsità renderebbe il reato ‘impossibile’, venendo meno il pericolo di inganno.
2. L’inattendibilità della prova testimoniale: Veniva contestata la deposizione di un ispettore dell’azienda titolare del marchio, considerata un ‘apprezzamento personale’ e non una testimonianza oggettiva sui fatti.
3. La valutazione del merito: La difesa criticava il modo in cui i giudici di primo e secondo grado avevano valutato le prove a disposizione, chiedendo di fatto una nuova interpretazione delle stesse.
4. L’applicazione di una norma più favorevole: Si contestava il mancato riconoscimento di un’attenuante prevista per il reato di ricettazione, a causa del consistente quantitativo di merce sequestrata.

L’Analisi della Corte: Perché il Marchio Contraffatto è Sempre un Reato

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo tutte le argomentazioni difensive. La decisione si fonda su principi consolidati della giurisprudenza penale. Sul primo punto, i giudici hanno ribadito che il reato di cui all’art. 474 del codice penale non tutela il singolo acquirente dall’inganno, bensì la fede pubblica. L’oggetto della tutela è la fiducia collettiva nei marchi come segni distintivi che garantiscono l’origine e la qualità dei prodotti. Di conseguenza, il reato si configura come un ‘reato di pericolo’, per il quale non è necessario che l’inganno si realizzi effettivamente. Anche una contraffazione palese mette in pericolo la pubblica fede e danneggia il titolare del marchio, integrando quindi il delitto.

La Valutazione delle Prove: Un Confine Invalicabile per la Cassazione

Per quanto riguarda la critica alla testimonianza dell’ispettore e, più in generale, alla valutazione delle prove, la Corte ha ricordato il proprio ruolo. Il giudizio di Cassazione è un giudizio di ‘legittimità’, non di ‘merito’. Ciò significa che la Corte non può riesaminare i fatti o sostituire la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici dei gradi precedenti. Le censure che mirano a ottenere una diversa lettura del materiale probatorio sono, per definizione, inammissibili. Inoltre, la testimonianza di una persona qualificata, come un tecnico dell’azienda, che riferisce fatti caduti sotto la sua diretta percezione nell’ambito della sua specifica competenza, è considerata pienamente valida, in quanto la sua valutazione tecnica è inscindibile dal fatto stesso.

le motivazioni

Le motivazioni della Corte di Cassazione sono state chiare e perentorie. In primo luogo, è stato ribadito il principio secondo cui l’articolo 474 del codice penale tutela in via principale e diretta la fede pubblica. Quest’ultima è intesa come l’affidamento generale dei cittadini nei marchi e nei segni distintivi che identificano le opere dell’ingegno e i prodotti industriali. La norma non ha lo scopo di proteggere la libera determinazione dell’acquirente. Per questo motivo, il delitto è un reato di pericolo, e la sua configurazione non richiede la realizzazione effettiva dell’inganno. L’ipotesi di ‘reato impossibile’ per grossolanità della contraffazione viene quindi esclusa, poiché la circolazione di prodotti falsi, anche se riconoscibili, mina comunque la fiducia nel sistema dei marchi.

In secondo luogo, la Corte ha affrontato la questione della prova testimoniale. Il divieto per un testimone di esprimere apprezzamenti personali non si applica quando a deporre è una persona particolarmente qualificata (come un perito di parte) che riferisce su fatti inerenti alla sua specifica attività. In questi casi, la valutazione tecnica del testimone è talmente connessa al fatto osservato da diventare inscindibile da esso. La deposizione dell’ispettore dell’azienda titolare del marchio, basata su un accertamento tecnico, è stata quindi ritenuta correttamente acquisita e valutata.

Infine, i giudici hanno sottolineato che le censure relative alla valutazione e all’apprezzamento delle prove attengono interamente al merito e non possono trovare spazio nel giudizio di legittimità, a meno che non emerga un vizio logico evidente nel percorso argomentativo della sentenza impugnata. È preclusa alla Cassazione una ‘rilettura’ degli elementi di fatto o l’adozione di diversi parametri di valutazione, come richiesto dal ricorrente.

le conclusioni

L’ordinanza si conclude con la dichiarazione di inammissibilità del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende. La decisione conferma un orientamento giurisprudenziale rigoroso in materia di marchio contraffatto, con importanti implicazioni pratiche. Anzitutto, chi commercializza prodotti falsi non può sperare di andare impunito sostenendo che la contraffazione era ‘evidente’. La tutela penale è ampia e prescinde dall’effettivo inganno del consumatore. In secondo luogo, viene ribadito un principio fondamentale del processo penale: la Corte di Cassazione non è un terzo grado di giudizio dove si possono ridiscutere i fatti. I ricorsi devono concentrarsi su questioni di diritto e sulla corretta applicazione delle norme, senza tentare di ottenere una nuova e più favorevole valutazione delle prove già esaminate dai giudici di merito.

La vendita di un prodotto con un marchio palesemente falso costituisce reato?
Sì. Secondo la Corte, il reato di detenzione per la vendita di prodotti con marchio contraffatto tutela la fede pubblica, ovvero la fiducia collettiva nei marchi, e non il singolo acquirente. Pertanto, il reato sussiste anche se la contraffazione è grossolana e facilmente riconoscibile, poiché la circolazione di tali prodotti mina comunque questa fiducia.

La testimonianza di un esperto dell’azienda proprietaria del marchio è considerata una prova valida?
Sì. La Corte ha stabilito che la deposizione di una persona particolarmente qualificata, come un ispettore dell’azienda titolare del marchio, che riferisce su fatti tecnici rientranti nella sua competenza, è pienamente valida. In questi casi, la valutazione tecnica è considerata inscindibile dal fatto stesso e non un mero apprezzamento personale.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare le prove di un processo?
No. La Corte di Cassazione ha ribadito che il suo ruolo è quello di giudice di legittimità, ovvero di controllare la corretta applicazione della legge, non di riesaminare i fatti o le prove. Le censure che mirano a una diversa valutazione del materiale probatorio sono considerate questioni di merito e, pertanto, vengono dichiarate inammissibili.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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