Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 23267 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 23267 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato il 02/10/1982
avverso la sentenza del 22/11/2024 della CORTE APPELLO di MESSINA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso presentato nell’interesse di NOME COGNOME
considerato che il primo motivo di ricorso, con il quale si deduce l’istantaneità della consumazione del reato, risulta aspecifico, in quanto non illustre le ricadute eventualmente favorevoli che discenderebbe dall’accoglimento della deduzione difensiva che, peraltro, non specifica quale sarebbe il momento costitutivo del reato eventualmente da prendere in considerazione;
considerato che risulta apodittica e meramente assertiva la deduzione sulla consapevolezza da parte dell’imputato della manipolabilità del bene, mentre ai fini della configurazione dell’art. 474 cod. pen. non è necessario che la manipolazione sia stata effettuata da chi abbia posto in vendita il bene contraffatto;
considerato, quanto alla grossolanità del falso che «integra il delitto di cui all’art. 474 cod. pen. la detenzione per la vendita di prodotti recanti marchio contraffatto, senza che abbia rilievo la configurabilità della contraffazione grossolana, considerato che l’art. 474 cod. pen. tutela, in via principale e diretta, non già la libera determinazione dell’acquirente, ma la fede pubblica, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi e segni distintivi che individuano le opere dell’ingegno ed i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione anche a tutela del titolare del marchio; si tratta, pertanto, di un reato di pericolo per la cui configurazione non occorre la realizzazione dell’inganno, non ricorrendo, quindi, l’ipotesi del reato impossibile qualora la grossolanità della contraffazione e le condizioni di vendita siano tali da escludere la possibilità che gli acquirenti siano tratti in inganno» (Sez. 2, n. 16807 del 11/01/2019, Assane, Rv. 275814 – 01);
considerato che risulta manifestamente infondata la deduzione secondo cui il reato non sarebbe configurabile atteso che la Corte di giustizia europea ha annullato la registrazione del marchio RAGIONE_SOCIALE, atteso che (a prescindere dai reali contenuti della decisione menzionata nel ricorso) deve ribadirsi che «ai fini della configurabilità del delitto di cui all’art. 474 cod. pen., allorché si tratti di marchio di larghissimo uso ed incontestata utilizzazione, pur non essendo richiesta la prova della registrazione, è comunque indispensabile la previa acquisizione di elementi attestanti la rinomanza del marchio e la notoria sua riferibilità alla casa produttrice ed alla tipologia di prodotti che contraddistingue, tale da giustificarne la tutela, con conseguente onere, per l’incolpato, di fornire la prova contraria. (Fattispecie relativa al sequestro probatorio di capi d’abbigliamento recanti loghi e scritte imitative di marchi internazionali non registrati in Italia)» (Sez. 2, n. 46882 del 03/12/2021, Huang, Rv. 282404 – 01). Nel caso di specie, la corte di appello ha
spiegato come i loghi apposti sulle scarpe RAGIONE_SOCIALE siano diffusi nel tempo e nello spazio da decenni e a livello internazionale, tali da essere di immediata riconoscibilità (cfr. pag. 4, dove si osserva che l’apposizione di una chiusura posticcia dei fori non esclude la riconoscibilità);
considerato che i motivi relativi all’affermazione della responsabilità e alla riconoscibilità della causa di esclusione della punibilità ex art. 131 bis cod. pen. sono privi dei requisiti di specificità previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 581 cod. proc. pen. e non è consentito in questa sede;
che, invero, la mancanza di specificità dei motivi deve essere apprezzata non solo intrinsecamente, ovverosia per la genericità e indeterminatezza delle ragioni di fatto e diritto a sostegno della censura, ma anche estrinsecamente, per l’apparenza degli stessi allorquando, non essendovi correlazione tra la complessità delle ragioni argomentate nella decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione e/o risolvendosi nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, omettano di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso;
che, inoltre, le doglianze difensive tendono a prefigurare una rivalutazione delle fonti probatorie e/o un’alternativa ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice del merito, estranee al sindacato del presente giudizio ed avulse da pertinente individuazione di specifici e decisivi travisamenti di emergenze processuali valorizzate dai giudicanti;
che, in particolare, non sono consentite tutte le doglianze che censurano la persuasività, l’adeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento;
che, nella specie, i giudici del merito hanno ampiamente esplicitato, con argomentazioni esenti da criticità giustificative, le ragioni del loro convincimento circa l’affermazione della responsabilità per il delitto di ricettazione (pag. 4 e 5, dove si affronta il tema del dolo della ricettazione) e in punto di riconoscibilità della causa di esclusione della punibilità (pag. 5) con motivazione compiuta, logica e non contraddittoria e, in quanto tale, non sindacabile in questa sede;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso, il 6 maggio 2025.