Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 5400 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 5400 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a VOLLA il 25/01/1973
avverso la sentenza del 06/06/2024 della CORTE APPELLO di CAMPOBASSO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO
– che, con l’impugnata sentenza, la Corte di Appello di Campobasso ha parzialmente riformato la sentenza di condanna pronunciata, anche agli effetti civili, nei confronti di NOME per il delitto di cui agli artt. 110 e 474, comma 1, cod. pen. (fatto commesso in Macchia d’Isernia il 20 luglio 2016), dichiarando non doversi procedere nei confronti dell’imputato per essere il reato ascrittogli estinto per intervenuta prescrizione, con conferma nel resto;
– che l’atto di impugnativa consta di cinque motivi;
CONSIDERATO IN DIRITTO
– che il primo motivo, che denuncia la violazione degli artt. 157, 158, 160 e 161 cod. pen. è manifestamente infondato, posto che la prescrizione del reato rubricato, anche tenuto conto della sospensione del relativo corso per giorni 120, è intervenuta in data 19 maggio 2024, quindi, successivamente alla sentenza di primo grado, con la quale l’imputato, in ragione dell’affermazione di responsabilità per il delitto ascrittogli, era stato condannato al pagament di una provvisionale nei confronti della parte civile costituita, di modo che, correttamente, l Corte d’Appello, in ossequio al principio di diritto secondo cui la sentenza d’appello che confermi le statuizioni civili disposte con la sentenza di condanna è illegittima solo se la prescrizione d reato sia maturata prima di quest’ultima (Sez. U, n. 10086 del 13/07/1998, Rv. 211191), pur rilevata l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione, non ha revocato il pagamento della provvisionale disposta a favore della parte civile (vedasi pagg. 5 e 6 della sentenza impugnata);
– che il secondo motivo, che denuncia la violazione dell’art. 474 cod. pen. e il vizio d motivazione, è manifestamente infondato, posto che, secondo la giurisprudenza di questa Corte «Integra il delitto di cui all’art. 474 cod. pen. la detenzione per la vendita di prodotti recanti marchio contraffatto; né, a tal fine, ha rilievo la configurabilità della cosiddetta contraffazi grossolana, considerato che l’art. 474 cod. pen. tutela, in via principale e diretta, non già libera determinazione dell’acquirente, ma la pubblica fede, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi o segni distintivi, che individuano le opere dell’ingegno e i prodotti industriali e garantiscono la circolazione; si tratta, pertanto, di un reato di pericolo, per la cui configurazi non occorre la realizzazione dell’inganno e nemmeno ricorre l’ipotesi del reato impossibile qualora la grossolanità della contraffazione e le condizioni di vendita siano tali da escludere l possibilità che gli acquirenti siano tratti in inganno» (Sez. 2, n. 20944 del 04/05/2012, Rv. 252836; conformi, Sez. 2, n. 16807 del 11/01/2019, Rv. 275814; Sez. 5, n. 5260 del 11/12/2013, dep. 2014, Rv. 258722) (vedasi pag. 7 della sentenza impugnata);
– che il terzo motivo, con il quale ci si duole, sotto l’egida della violazione degli artt. e 195, comma 3, cod. proc. pen. e del vizio di motivazione, della mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello onde escutere COGNOME, teste di riferimento del tes qualificato COGNOME Vincenzo, che sarebbe stato in grado di riferire circostanze decisive per la ricostruzione del fatto, è generico, perché non indica quali sarebbero state le suddette circostanze e non ne illustra la decisività, tenuto conto che la Corte territoriale, valutata testimonianza dell’Ufficiale di P.G. Di Monaco in connessione con la prova documentale rappresentata dagli screenshot della pagina Faceebok della società dell’imputato, che aveva pubblicizzato l’autovettura della quale era stato contraffatto il marchio, ha ritenuto, in manier non manifestamente illogica, e, quindi, non sindacabile in questa sede (Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995, dep. 1996, Rv. 203764), che la prova dichiarativa da assumere fosse superflua (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Rv. 266820);
– che il quarto motivo, che denuncia la violazione dell’art. 234 cod. proc. pen., è manifestamente infondato, posto che, secondo la pacifica giurisprudenza di legittimità «È legittima l’acquisizione come documento di una pagina di un “social network” mediante la realizzazione di una fotografia istantanea dello schermo (“screenshot”) di un dispositivo elettronico sul quale la stessa è visibile» (Sez. 5, n. 12062 del 05/02/2021, Rv. 280758), non
essendovi alcuna illegittimità nella realizzazione di una fotografia dello schermo di un supporto informatico sul quale compaiano messaggi di testo, allo scopo di acquisirne la documentazione, non essendo imposto dalla legge alcun adempimento specifico per il compimento di tale attività, che consiste, sostanzialmente, nella realizzazione di una fotografia e che si caratterizza solamente per il suo oggetto, costituito, appunto, da uno schermo sul quale siano leggibili messaggi di testo, non essendovi alcuna differenza tra una tale fotografia e quella di qualsiasi altro oggetto, con la conseguente legittimità della sua acquisizione (Sez. 3, n. 8332 del 06/11/2019, Rv. 278635);
che il quinto motivo, che censura il ritenuto concorso dell’imputato nel reato rubricato, è generico e non consentito in questa sede, giacché, tramite argomentazioni interamente versate fatto e, comunque, prive di effettivo e critico confronto con le ragioni poste a sostegno dell decisione impugnata, mira a sollecitare una rivalutazione delle prove poste a fondamento del giudizio di responsabilità, siccome formulato da entrambi i giudici di merito nelle loro conformi decisioni, in assenza di specifica allegazione di individuati, inopinabili e decisivi fraintendime delle prove medesime, capaci, cioè, ictu ocu/i di scardinare la tenuta dell’impianto motivazionale della sentenza impugnata, che non risulta inficiato da illogicità di macroscopica evidenza (vedasi pagg. 7 e 8 della sentenza impugnata);
che la ritenuta inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende;
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 15 gennaio 2025
Il Consigliere estensore