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Marchio contraffatto: Cassazione su ricettazione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 22097/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per ricettazione e commercio di prodotti con marchio contraffatto. La Corte ha ribadito che la vendita di merce falsa è reato anche se la contraffazione è palese, in quanto viene lesa la fede pubblica. Inoltre, ha confermato che i reati di ricettazione e commercio di prodotti falsi possono coesistere.

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Pubblicato il 24 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Marchio Contraffatto: Anche se Palese, Resta Reato

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, torna a pronunciarsi su un tema di grande attualità: il commercio di prodotti con un marchio contraffatto. La decisione chiarisce due principi fondamentali: la vendita di merce falsa è sempre reato, anche quando l’imitazione è palese, e tale condotta può concorrere con il più grave delitto di ricettazione. Questa pronuncia offre spunti cruciali per comprendere la tutela penale accordata ai marchi e alla fiducia dei consumatori.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un soggetto condannato nei primi due gradi di giudizio per i reati di ricettazione (art. 648 c.p.) e di introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi (art. 474 c.p.). L’imputato aveva contestato la decisione della Corte d’Appello, sostenendo l’illogicità della motivazione e chiedendo una diversa valutazione delle prove processuali. Tra i motivi del ricorso, veniva lamentata la mancata esclusione del reato sulla base della presunta ‘grossolanità’ della contraffazione, che, a suo dire, avrebbe reso impossibile ingannare gli acquirenti.

L’analisi della Corte sul marchio contraffatto

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, cogliendo l’occasione per ribadire il proprio consolidato orientamento in materia. Il punto centrale della decisione riguarda la natura del reato di commercio di prodotti con marchio contraffatto. I giudici hanno specificato che tale reato è un ‘reato di pericolo’.

Questo significa che la legge non punisce solo l’inganno effettivo del singolo acquirente, ma intende proteggere un bene giuridico più ampio: la ‘fede pubblica’. La fede pubblica è la fiducia collettiva che i cittadini ripongono nell’autenticità dei marchi e dei segni distintivi, i quali garantiscono l’origine e la qualità dei prodotti. Di conseguenza, non ha importanza che la contraffazione sia ‘grossolana’ o che le condizioni di vendita (ad esempio, un prezzo irrisorio) possano far sorgere dubbi nell’acquirente. La sola detenzione per la vendita di prodotti falsi è sufficiente a mettere in pericolo tale fiducia e a integrare il reato, tutelando così sia i consumatori in generale che i titolari dei marchi originali.

Concorso tra Ricettazione e Commercio di Prodotti Falsi

Un altro aspetto fondamentale chiarito dalla Corte è la possibilità di concorso tra il delitto di ricettazione e quello di commercio di prodotti con marchio contraffatto. L’imputato può essere condannato per entrambi i reati.

La Corte ha spiegato che le due norme incriminatrici descrivono condotte diverse sia dal punto di vista strutturale che cronologico:

1. Ricettazione (art. 648 c.p.): Punisce l’acquisto o la ricezione di beni di provenienza illecita, al fine di trarne profitto. È un reato contro il patrimonio.
2. Commercio di prodotti falsi (art. 474 c.p.): Punisce la detenzione per la vendita o la messa in circolazione di prodotti con marchi contraffatti. È un reato contro la fede pubblica.

Non essendoci un rapporto di specialità tra le due fattispecie, esse possono coesistere. La prima condotta (ricevere la merce sapendola ‘sporca’) precede logicamente e temporalmente la seconda (metterla in vendita).

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso inammissibile principalmente perché i motivi proposti miravano a una rivalutazione dei fatti, attività preclusa al giudice di legittimità. La Cassazione non può sostituire la propria valutazione a quella dei giudici di merito, ma solo verificare la correttezza logico-giuridica del loro ragionamento. Nel caso di specie, la motivazione della Corte d’Appello è stata giudicata esente da vizi logici e corretta nell’applicazione dei principi giuridici.

Inoltre, la Corte ha respinto le doglianze procedurali, come la richiesta di rinnovazione dell’istruttoria, affermando che non sussistevano i presupposti di legge (art. 603 c.p.p.) e che si trattava di una mera riproposizione di questioni già esaminate e rigettate in appello.

Conclusioni

L’ordinanza in esame consolida principi giuridici di grande importanza pratica. In primo luogo, rafforza la tutela contro la contraffazione, chiarendo che la punibilità non dipende dalla capacità del falso di ingannare il singolo consumatore, ma dalla sua idoneità a ledere la fiducia del mercato. In secondo luogo, conferma la ‘doppia’ responsabilità penale per chi non solo commercia prodotti falsi, ma li acquista essendo consapevole della loro provenienza illecita. La decisione serve da monito severo contro ogni anello della filiera del falso, dalla produzione alla vendita al dettaglio.

Vendere un prodotto con un marchio contraffatto in modo palese è reato?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, il reato sussiste anche in caso di contraffazione ‘grossolana’ (cioè palese), perché la norma non tutela solo il singolo acquirente dall’inganno, ma la fede pubblica, ovvero la fiducia collettiva nell’autenticità dei marchi.

Una persona può essere condannata sia per ricettazione che per commercio di prodotti falsi per gli stessi beni?
Sì. La Corte ha confermato che i due reati possono concorrere. La ricettazione riguarda il momento in cui si entra in possesso della merce sapendola di provenienza illecita, mentre il commercio di prodotti falsi riguarda la successiva detenzione per la vendita. Si tratta di due condotte distinte sotto il profilo strutturale e cronologico.

La Corte di Cassazione può riesaminare le prove e i fatti di un processo?
No. La Corte di Cassazione è un giudice di legittimità, non di merito. Il suo compito non è rivalutare le prove o ricostruire i fatti, ma verificare che i giudici dei gradi precedenti abbiano applicato correttamente la legge e abbiano motivato la loro decisione in modo logico e non contraddittorio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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