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Marchio CE contraffatto: frode in commercio

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 37165/2024, ha stabilito che la vendita di prodotti con un marchio CE contraffatto non integra il delitto di commercio di prodotti con segni falsi (art. 474 c.p.), bensì quello di frode in commercio (art. 515 c.p.). La Corte ha chiarito che il marchio CE non è un segno distintivo del prodotto, ma un’attestazione di conformità a standard di sicurezza. Di conseguenza, ha riqualificato il reato e ha annullato la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello per la sola rideterminazione della pena, dichiarando irrevocabile l’accertamento di responsabilità anche per il connesso reato di ricettazione.

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Pubblicato il 22 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Marchio CE Contraffatto: La Cassazione Chiarisce, è Frode in Commercio

La Corte di Cassazione, con una recente e importante sentenza, ha fornito un chiarimento fondamentale sulla qualificazione giuridica della vendita di prodotti recanti un marchio CE contraffatto. Contrariamente a quanto spesso si ritiene, tale condotta non costituisce il reato di introduzione e commercio di prodotti con marchi falsi, ma rientra nella fattispecie di frode in commercio. Analizziamo insieme i dettagli di questa decisione e le sue implicazioni pratiche.

Il caso: la vendita di elettronica con marcatura CE non autentica

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguardava un commerciante condannato in appello per i reati di cui agli artt. 474 (Introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi) and 648 (Ricettazione) del codice penale. L’accusa era quella di aver detenuto per la vendita e ricevuto prodotti elettronici con un “marchio CE contraffatto”.

La difesa ha presentato ricorso per Cassazione, sostenendo principalmente due punti: in primo luogo, che la condotta dovesse essere inquadrata non nell’art. 474 c.p., ma nella meno grave fattispecie di frode in commercio (art. 515 c.p.); in secondo luogo, che mancassero le prove per il reato di ricettazione.

La distinzione chiave: Marchio vs. Attestazione di conformità

Il cuore della decisione della Corte risiede nella natura giuridica del marchio “CE”. I giudici hanno ribadito un principio già consolidato in giurisprudenza: il marchio CE non è un marchio in senso proprio. Un marchio, come definito dal codice civile e dalle leggi speciali, ha la funzione di distinguere un prodotto o servizio da quello di altri concorrenti. È un segno distintivo che garantisce l’origine imprenditoriale di un bene.

La marcatura CE, invece, ha una funzione completamente diversa. Essa è un’attestazione amministrativa che garantisce al consumatore la conformità del prodotto a tutti gli standard di qualità e sicurezza previsti dalle normative dell’Unione Europea. Non serve a distinguere il prodotto di un’azienda da quello di un’altra, ma ad assicurare che quel bene possa circolare liberamente nel mercato unico europeo perché rispetta determinati requisiti di sicurezza, salute e tutela ambientale.

La qualificazione giuridica del marchio CE contraffatto

Proprio in virtù di questa distinzione, la Corte ha stabilito che l’uso indebito del marchio CE non può integrare il reato di cui all’art. 474 c.p. Questa norma punisce chi commercia prodotti con marchi o segni distintivi contraffatti, tutelando la fede pubblica e la proprietà industriale. Poiché la marcatura CE non è un marchio di questo tipo, la sua contraffazione non lede questi beni giuridici.

La condotta, invece, inganna l’acquirente sulla conformità del prodotto a standard essenziali di sicurezza, inducendolo in errore su una qualità fondamentale del bene. Questo comportamento rientra perfettamente nella definizione di frode nell’esercizio del commercio, prevista dall’art. 515 c.p., che punisce chi consegna all’acquirente una cosa per qualità diversa da quella dichiarata.

La decisione sul reato di ricettazione

Per quanto riguarda il secondo motivo di ricorso, relativo al reato di ricettazione, la Corte lo ha ritenuto inammissibile. I giudici hanno sottolineato che la valutazione delle prove sulla consapevolezza dell’imputato di ricevere merce di provenienza illecita è un giudizio di merito, non sindacabile in sede di legittimità se la motivazione del giudice d’appello è logica e non contraddittoria. Nel caso di specie, la Corte territoriale aveva adeguatamente argomentato che l’imputato aveva ricevuto i beni, provento del reato di frode in commercio, al fine di trarne profitto, confermando così la sua responsabilità.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto il primo motivo del ricorso, procedendo alla riqualificazione del reato dal più grave delitto ex art. 474 c.p. a quello di frode in commercio ex art. 515 c.p. I giudici hanno spiegato che “la ragione di tutela del marchio consiste nella capacità di questo di distinguere un prodotto dall’altro”, mentre “la funzione del marchio ‘CE’ è quella di tutelare interessi pubblici, come la salute e la sicurezza degli utilizzatori”. Di conseguenza, la marcatura CE è un “puro marchio amministrativo”. La riqualificazione, ha precisato la Corte, non ha leso il diritto di difesa, poiché il tema era stato ampiamente dibattuto nel corso del processo.

Le conclusioni: implicazioni per i commercianti

La sentenza ha conseguenze pratiche significative. In primo luogo, stabilisce con chiarezza il corretto inquadramento giuridico per la vendita di beni con marchio CE contraffatto, riconducendola alla frode in commercio. Questo può comportare un trattamento sanzionatorio diverso e potenzialmente meno severo rispetto a quello previsto per la contraffazione di marchi commerciali. In secondo luogo, la Corte ha annullato la sentenza con rinvio ad un’altra sezione della Corte d’Appello, ma solo per la rideterminazione della pena in base alla nuova qualifica. L’accertamento della responsabilità penale dell’imputato è stato dichiarato irrevocabile, confermando che la condotta rimane un illecito penalmente rilevante, seppur sotto una diversa fattispecie.

Vendere un prodotto con un marchio CE contraffatto costituisce il reato di commercio di prodotti con marchi falsi (art. 474 c.p.)?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che questa condotta non integra il reato previsto dall’art. 474 c.p., bensì quello di frode nell’esercizio del commercio (art. 515 c.p.).

Perché il marchio CE non è considerato un “marchio” ai sensi dell’art. 474 del codice penale?
Perché la sua funzione non è quella di distinguere un prodotto da un altro (funzione tipica del marchio commerciale), ma quella di attestare la conformità del prodotto agli standard di qualità e sicurezza previsti dalla normativa dell’Unione Europea. È un’attestazione amministrativa, non un segno distintivo.

Cosa ha deciso la Corte riguardo all’accusa di ricettazione (art. 648 c.p.)?
La Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso su questo punto, confermando la responsabilità dell’imputato. Ha ritenuto che la Corte d’Appello avesse adeguatamente motivato la consapevolezza dell’imputato di ricevere beni provenienti da un reato (la frode in commercio stessa) per trarne profitto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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