Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 13795 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 13795 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/12/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME nato a NAPOLI il 20/05/1991 NOME nato a NAPOLI il 21/06/1987 COGNOME nato a COGNOME il 23/04/1989 COGNOME NOME nato a ACQUAVIVA DELLE FONTI il 31/10/1985 COGNOME NOME nato a LECCO il 03/09/1993 COGNOME NOME nato a BOLOGNA il 12/02/1975 COGNOME NOME nato a AVELLINO il 26/11/1986 COGNOME NOME nato a ANCONA il 13/08/1989 COGNOME NOME nato a MONCALIERI il 10/05/1990 COGNOME NOME nato a LATISANA il 08/05/1991 NOME nato a BRESSANONE il 28/11/1986 NOME nato a SIENA il 19/11/1987
avverso la sentenza del 13/02/2024 del TRIBUNALE di BOLOGNA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale COGNOME
COGNOME che, all’udienza del 26 novembre 2024, ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo C), ascritto al solo COGNOME e il rigetto, nel resto, del ricorso di COGNOME e in toto degli altri ricorsi;
udito il difensore avv. NOME COGNOME che ha concluso, nell’interesse di tutti gl imputati, per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi;
disposto il rinvio per la deliberazione, ai sensi dell’art. 615 cod. proc. pen., all’udien del 12 dicembre 2024;
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME venivano condannati a pene pecuniarie, con sentenza emessa in data 13 febbraio 2024 dal Tribunale di Bologna in composizione monocratica, perché ritenuti responsabili:
tutti, del reato di cui all’art. 18 R.d. 18 giugno 1931, n. 773 (capo A), per aver promosso, in concorso tra loro, una manifestazione di protesta non autorizzata dal Questore tenutasi davanti alla Casa Circondariale “NOME COGNOME” di Bologna in solidarietà ai detenuti, in costanza dei divieti di circolazione connessi alla pandemia (fatto del 16 aprile 2020);
COGNOME e COGNOME, anche del reato di cui agli artt. 110, 703 cod. pen., per aver acceso e lanciato dei petardi verso la rete di recinzione della suddetta Casa Circondariale “NOME COGNOME” nel corso della manifestazione sub A);
COGNOME, anche del reato di cui all’art. 678 cod. pen., per aver detenuto e portato in luogo pubblico materie esplodenti consistite in 5 bombe-carta.
Avverso la suddetta sentenza hanno proposto atto di appello gli imputati COGNOME, COGNOME e COGNOME, difesi dall’avv. NOME COGNOME affidato ai seguenti motivi.
2.1. Con il primo motivo, si eccepiscono: mancanza degli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 18 R.d. 18 giugno 1931, n. 773; mancanza di prova sul ruolo di promotori; mancanza di offensività del reato di cui all’art. 703 cod. pen., per la posizione del COGNOME.
Si rimprovera al primo giudice di essere incorso in un travisamento del fatto, perché, a fronte di una prova testimoniale attestante la presenza di sole 12 persone nei pressi del carcere, aveva affermato l’esistenza di una vera e propria manifestazione in atto.
Si evidenzia, in particolare, che il teste COGNOME aveva parlato di una manifestazione durata non più di 10-15 minuti.
L’unico megafono di cui disponevano gli astanti (privi di striscioni), sottoposto a sequestro, era stato restituito all’avente diritto dal Tribunale del riesame.
Quanto al difetto di prova del ruolo di promotori in capo agli appellanti, la difesa rileva che le risultanze processuali portavano a ritenere dimostrata la presenza degli imputati nella stradina laterale adiacente al carcere, ma non a ritenere un loro coinvolgimento nell’iniziativa e nell’organizzazione della manifestazione loro ascritta, neppure emerso dalle fonti aperte consultate dagli inquirenti.
Tra l’altro, si sottolinea che in sentenza non risulta mai utilizzato il termine “promotore/i”.
Quanto al COGNOME si contesta la ravvisata integrazione del reato di cui all’art. 703 cod. pen., in quanto i petardi non erano stati lanciati contro gli agenti o altre persone, ma contro il muro di cinta dell’istituto penitenziario da una stradina laterale e non sulla pubblica via, a notevole distanza da tutte le persone presenti, operanti e altri, nessuno dei quali aveva subito danno o ha risentito, in alcun modo, dello scoppio.
2.2. Con il secondo motivo, si denuncia l’erronea affermazione di responsabilità per il reato di cui all’art. 678 cod. pen. nei confronti di COGNOME
L’istruttoria aveva escluso trattarsi di bombe carta od ordigni, trattandosi, viceversa, di più semplici “petardi”, del peso di plurime decine di grammi complessivi.
Ci si trovava, dunque, al di qua della soglia dei 5 kg netti, individuati dalla Corte di legittimità come limite consentito’ per la detenzione di materie esplodenti senza licenza (si citano Sez. 1, n. 110/2003, COGNOME, Rv. 223065; Sez. 1, n. 18575/2011, COGNOME, Rv. 250170).
2.3. Con il terzo motivo, si lamenta la mancata applicazione della causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis cod. pen.
Il danno eccezionalmente modesto, la condotta non abituale né sistematica e la personalità degli imputati avrebbero giustificato la qualificazione del fatto come di particolare tenuità.
2.4. Con il quarto motivo, si contesta il diniego delle circostanze attenuanti generiche, l’eccessiva entità della pena e la mancata concessione della sospensione condizionale della pena.
A fronte di un fatto connotato da minima offensività (assembramento di poche persone, pressoché estemporaneo, della durata di una decina di minuti, senza problemi di ordine pubblico) e tenuto conto dell’incensuratezza degli imputati, avrebbero potuto concedersi le generiche e si sarebbe potuta infliggere una pena nei minimi edittali, così come si sarebbe potuto concedere il beneficio della sospensione.
Gli atti di appello proposti, l’uno nell’interesse di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME ed NOME COGNOME (avv. NOME COGNOME), l’altro nell’interesse di NOME COGNOME e NOME COGNOME (avv. NOME COGNOME, deducono gli stessi quattro motivi già esposti in relazione alla prima impugnazione.
Ha proposto, infine, appello NOME COGNOME (avv. NOME COGNOME, affidato a tre motivi, nella sostanza sovrapponibili al primo, al terzo e al quarto degli altri atti gravame.
La Corte di appello di Bologna, in persona del Presidente estensore, richiamato l’orientamento espresso da Sez. 3, n. 20573 del 13/03/2024, Rv. 286360 01, ritenute inappellabili, ai sensi dell’art. 593, comma 3, cod. proc. pen., le sentenze di condanna per le quali è stata applicata la sola pena dell’ammenda, visto l’art. 568, comma 5, cod. proc. pen., ha disposto la trasmissione degli atti a questa Corte.
Con memoria scritta, poi ribadita in sede di trattazione orale, il Procuratore generale di questa Corte ha concluso per l’annullamento senza rinvio della sentenza
impugnata, limitatamente al capo C) (ascritto al solo COGNOME), e per il rigetto, nel resto, del ricorso di COGNOME e in toto degli altri ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Deve, in primo luogo, condividersi la soluzione ermeneutica praticata dalla Corte di merito nel reputare inappellabili, ai sensi dell’art. 593, comma 3, cod. proc. pen., le sentenze di condanna alla sola pena dell’ammenda.
1.1. Va premesso, al riguardo, che l’art. 593 cod. proc. pen., nel disciplinare i casi di appello, al comma 3 statuisce, per quanto qui rileva, che «sono in ogni caso inappellabili le sentenze di condanna per le quali è stata applicata la sola pena dell’ammenda o la pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità».
L’attuale formulazione della norma è stata introdotta dall’art. 34 d.lgs. 20 ottobre 2022 n. 150 (c.d. Riforma Cartabia) che, al testo precedente, dopo le parole «pena pecuniaria» ha aggiunto l’inciso «o la pena sostituiva del lavoro di pubblica utilità».
Il testo previgente era stato, a sua volta, interpolato dall’art 2, comma 1, lett. a), d.lgs. 6 febbraio 2018, n. 11, il quale aveva inserito fra le parole «sono inappellabili» l’espressione «in ogni caso», ad esprimere in termini di assolutezza e tassatività l’inappellabilità delle sentenze di condanna alla sola pena della ammenda (Sez. 3, n. 47031 del 14/09/2022, Sobrio, Rv. 283825 – 01, in motivazione).
1.2. Va, peraltro, osservato che, anche prima dell’entrata in vigore della c.d. Riforma Cartabia, l’interpretazione dell’art. 593, comma 3, cod. proc. pen., nella parte in cui indica come inappellabili le sentenze di condanna «per le quali è stata applicata la sola pena dell’ammenda», non è stata sempre univoca, essendosi posto l’interrogativo se essa riguardasse le condanne per reati che prevedono la sola pena dell’ammenda quale sanzione edittale o anche le condanne nelle quali l’ammenda risulta applicata a seguito di fatti contingenti, come, ad esempio, la concessione di attenuanti ad effetto speciale ovvero la sostituzione della pena detentiva ovvero, ancora, un mero errore del giudicante.
1.2.1. Parte della giurisprudenza di legittimità ha chiarito che l’art. 593, comma 3, cod. proc. pen., nel prevedere l’inappellabilità delle sentenze di condanna relative a contravvenzioni per le quali è stata applicata la sola ammenda, ha inteso riferirsi alle contravvenzioni astrattamente punibili con la sola pena pecuniaria o con pena alternativa e non anche alle contravvenzioni astrattamente punibili con pena congiunta; e ciò anche se sia stata in concreto irrogata la sola pena dell’ammenda per applicazione della pena pecuniaria in sostituzione di quella detentiva (tra le altre, Sez. 1, n. 44602 del 15/07/2022, Rv. 283746, in motivazione).
È, stato, dunque, ritenuto ammissibile l’appello avverso la sentenza di condanna per contravvenzione, ove sia stata applicata, ex art. 53 legge 24 novembre 1981, n. 689, la sola pena dell’ammenda come sanzione sostitutiva dell’arr to; ciò in
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ragione della revocabilità della sostituzione ex artt. 72 e 59 della citata legge n. 689 del 1981 (nel testo vigente prima della entrata in vigore della cd. Riforma Cartabia), rispetto alla quale il sacrificio del secondo grado nel merito non è stato ritenuto costituzionalmente ammissibile (Sez. 3, n. 14738 del 11/02/2016, COGNOME, Rv. 266833 01; Sez. 1, n. 10735 del 05/03/2009, Provvidenti, 3 Rv. 242879; Sez. 1, n. 6885 del 05/05/1995, Pepe, Rv. 201720; Sez. 3, n. 1855 del 30/09/1993, dep. 1994, Reposi, Rv. 197552 – 01).
Tale orientamento è stato ribadito (Sez. 4, ord. n. 11375 del 30/01/2024, Rv. 286018 – 01) anche dopo l’entrata in vigore della cd. Riforma Cartabia, atteso che il testo dell’art. 593, comma 3, cod. proc. pen. attualmente vigente, è stato modificato solo per la previsione dell’inappellabilità delle sentenze di condanna per le quali è stata applicata, oltre che la sola pena dell’ammenda, anche la pena sostituiva del lavoro di pubblica utilità, introdotta dall’art. 1 lett. a), d.lgs. n. 150 del 2022, attraverso l’inserimento nel codice penale dell’art. 20-bis.
1.2.2. Altro indirizzo interpretativo, invece (Sez. 1, n. 26308 del 23/03/2023, non mass.; Sez. 3, n. 47031 del 14/09/2022, Rv. 283825 – 01; Sez. 1, n. 31878 del 03/12/2021, dep. 2022, Rv. 283391 – 01; Sez. 1, n. 13403 del 30/04/2020, non mass.; Sez. 4, n. 15041 del 07/03/2014, Rv. 261564) ha affermato il principio dell’inappellabilità di una condanna per contravvenzione quando sia stata applicata, in concreto, la sola pena dell’ammenda, proprio perché ritenuta interpretazione maggiormente aderente alla lettera dell’art. 593, comma 3, cod. proc. pen.
Tale norma, secondo detto indirizzo, laddove stabilisce, nella seconda parte del comma 3, l’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento «relative a reati puniti con la sola pena pecuniaria o con pena alternativa» (a seguito della riforma introdotta dal d.lgs. n. 150 del 10/10/2022; il testo precedente, in vigore dal 6 marzo 2018 al 29 dicembre 2022, in quanto modificato dal d.lgs. n. 11 del 6 febbraio 2018, stabiliva l’inappellabilità di quelle «relative a contravvenzioni punite con la sola pena dell’ammenda o con pena alternativa»), rende palese la precisa volontà del legislatore di rendere inappellabili, nel caso delle sentenze di proscioglimento, solo quelle relative a reati individuati in base alla loro pena edittale; si sostiene, di conseguenza, che se il legislatore avesse voluto stabilire un’analoga limitazione per le sentenze di condanna, avrebbe potuto usare la medesima dizione.
Al contrario, la modifica apportata dal d.lgs. n. 11 del 6 febbraio 2018, introducendo l’inciso «in ogni caso», avrebbe reso ancora più chiara la voluntas legis nel senso di stabilire l’inappellabilità delle sentenze di condanna per le quali è stata applicata, in concreto, la sola pena dell’ammenda, in quanto tale regime viene affermato come operante qualunque sia il motivo dell’applicazione di tale sanzione.
1.3. Quest’ultimo orientamento, che si lascia preferire e cui il Collegio intende aderire, è stato di recente affermato da Sez. 3, n. 20573 del 13/03/2024, COGNOME, Rv. 286360 – 01 e da Sez. 1, n. 33605 del 09/05/2024, COGNOME, non mass. (contra, z.
4, ord. n. 11375 del 30/01/2024, COGNOME, Rv. 286018), alle cui persuasive argomentazioni, in parte già sintetizzate, si intende fare riferimento.
Va ribadito in questa sede che, con la modifica dell’art. 593, comma 3, cod. proc. pen. ad opera dell’art. 2 comma 1, lett. a), d. igs. n. 11 del 2018, che ha inserito fra le parole «sono inappellabili» l’espressione, dal tenore letterale insuperabile, «in ogni caso» – tema non adeguatamente approfondito dalla richiamata decisione, di segno contrario, della Sezione Quarta n. 11375 del 2024 – il legislatore ha inteso evidentemente soddisfare proprio le esigenze deflattive dell’impugnazione in appello, tale essendo la chiara ratio legis.
Nell’estendere, con la riformulazione dell’art. 593, comma 3, cod. proc. pen., il regime di inappellabilità alle sentenze di condanna per le quali è stata applicata la pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, il d.lgs. n. 150 del 2022 è necessariamente partito dal presupposto (implicito) che fossero già inappellabili le sentenze di condanna all’arresto sostituito con l’ammenda.
Ed invero, sarebbe tacciabile di irrazionalità la novella, se intesa nel senso di prevedere, rispetto alle contravvenzioni, la sola impugnazione con ricorso per cassazione a fronte di condanna al lavoro di pubblica utilità (che è pena limitativa della libertà personale, convertibile, se trasgredita, in pena detentiva), lasciando il doppio grado di merito quando è inflitta la pena pecuniaria sostitutiva (che non limita la libertà personale e che, anche se inadempiuta, non si converte mai in detentiva), tenuto conto, fra l’altro, che con la disposizione da ultimo introdotta il giudice viene sollecitat a scegliere, quando è possibile, la sanzione meno afflittiva con un beneficio per l’imputato che ha già come contropartita la preclusione di un grado di impugnazione.
1.4. Nel caso di specie, tutti gli imputati sono stati condannati alla pena pecuniaria dell’ammenda, essendo convertita la componente di pena detentiva ai sensi degli artt. 53 e ss. I. 24 novembre 1981, n. 169: la sentenza, quindi, alla luce delle esposte considerazioni sulla interpretazione dell’art. 593, comma 3, cod. proc. pen., non poteva essere appellabile, ma solo ricorribile per cassazione.
Venendo all’esame dei motivi di ricorso, devono reputarsi fondati quelli che deducono carenza di motivazione in relazione alla integrazione del reato di cui al capo A) della rubrica.
2.1. Giova ricordare, in premessa, che, ai fini del reato di cui all’ad 18 R.d. 18 giugno 1931, n. 773 (T.U.L.P.S.), costituisce riunione qualsiasi convegno di più persone caratterizzato da una sua precisa individualità, determinabile attraverso una esatta collocazione nel tempo e nello spazio, oltre che dal suo specifico oggetto; in ciò la riunione si differenzia dall’assembramento, in cui ognuno è mosso da motivi autonomi (Sez. 3, n. 8473 del 13/10/1972, Polito, Rv. 122723 – 01).
(Sez. 1, n. 14850 del 04/07/1977, COGNOME, Rv. 137318 – 01). Nella predetta nozione rientra anche un corteo improvvisato o un raggruppamento GLYPH di GLYPH persone GLYPH sollecitato GLYPH da GLYPH un GLYPH appello GLYPH estemporaneo
Deve trattarsi di riunione pubblica, ossia di riunione, che, per il luogo in cui è stata tenuta o per il numero degli intervenuti, o per Io scopo o l’oggetto di essa abbia carattere di riunione non privata e che, per il suo oggetto o per circostanze relative al tempo, alle persone o al luogo dello svolgimento, abbia attitudine, secondo un criterio di normale prevedibilità, a determinare disordini (Sez. 1, n. 1913 del 06/11/1981, dep. 1982, Eramo, Rv. 152445 – 01).
La riunione è in luogo pubblico, ove essa si tenga in luogo (ad esempio piazza, strada) su cui ogni persona può liberamente transitare e trattenersi senza che occorra in via normale il permesso dell’autorità (Sez. U, n. 8 del 00/00/1951, COGNOME, Rv. 097110 – 01).
Definita la nozione di pubblica riunione, va aggiunto che l’obbligo di dare alle autorità preavviso delle riunioni in luogo pubblico, di cui all’art. 17 Cost., non implic una preventiva autorizzazione da parte dell’Autorità di pubblica sicurezza, ma impone ai promotori di darne avviso al Questore almeno tre giorni prima e questi ha il potere di vietarla per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica, o di ordine pubblico, di moralità o di sanità pubblica (arg. dal combinato disposto degli artt. 17 ult. comma della Costituzione e 18, comma quarto, Testo Unico Legge P.S.). Dunque, è il potere di veto quello che la legge attribuisce al Questore e nell’esercitarlo gli imposto di indicare i “comprovati motivi”, cioè dare rigorosa ragione, con corretta e coerente motivazione dell’atto amministrativo che tale divieto contiene, proprio perché esso determina la compressione (possono essere prescritte modalità di tempo e di luogo) o addirittura il sacrificio del diritto costituzionalmente riconosciuto (la riunio può essere vietata: Sez. 1, n. 6812 del 28/04/1994, COGNOME e altri, Rv. 198117 – 01).
2.2. Tanto premesso, si osserva che del reato di omesso previo avviso al Questore, di cui all’art. 18 T.U.L.P.S., rispondono solo i “promotori”, dopo che la Corte costituzionale, con un duplice intervento, ha dichiarato l’illegittimità costituzional dell’articolo citato, secondo periodo, nella parte in cui prevede l’incriminazione contravvenzionale di coloro che prendono la parola in riunione in luogo pubblico essendo a conoscenza della omissione del preavviso previsto nel primo comma.
2.2.1. La giurisprudenza di legittimità ha, costantemente, definito come promotore di una riunione in luogo pubblico o di un corteo per le pubbliche vie, per distinguerlo dal mero partecipe, non soltanto chi progetta, indice, promuove e organizza la manifestazione, ma anche chi collabora alla realizzazione pratica e al buon esito della stessa, partecipando alla fase preparatoria (Sez. 1, n. 35493 del 17/11/2020, COGNOME, Rv. 280200 – 01; Sez. 1, n. 42448 del 21/10/2009, COGNOME, Rv. 245561 – 01; Sez. 1, n. 7883 del 08/06/1995, Messina ed altri, Rv. 202118 – 01; Sez. 1, n. 763 del 30/11/1977, dep. 1978, COGNOME, Rv. 137720 – 01; Sez. 6, n. 9140 del 07/07/1975, Mura, Rv. 130889 – 01).
Nelle richiamate decisioni è stato, di volta in volta, ritenuto promotore:
un soggetto riconosciuto quale “leader” del gruppo, che aveva intrattenuto un’interlocuzione con le forze dell’ordine, non casualmente rivoltesi a lui per ottenere informazioni sui motivi e sulle condizioni di regolarità dell’adunata;
il soggetto che durante il corteo, aveva, con il megafono, “gridato le ragioni della manifestazione”, impartito ai partecipanti le istruzioni, preso i contatti con gl agenti operanti sul posto per concordare il successivo svolgimento, e rilasciato interviste in nome del gruppo ai giornalisti presenti;
colui che esercitava la funzione di guida e di attuazione di un cosiddetto servizio d’ordine;
colui che si trovava alla guida di un corteo ed incitava a manifestare sollecitando, con vari slogans da lui trasmessi per microfono, la corale partecipazione dei giovani al corteo non autorizzato.
2.3. Venendo alla sentenza in esame, ritiene il Collegio che in essa non si rinvengano spunti argomentativi capaci di distinguere, tra i dodici imputati del reato contravvenzionale sub A), colui/colei o coloro i quali avrebbero incarnato il ruolo di promotore/promotori, l’unico ruolo, cioè, che’ può essere sanzionato penalmente.
Disvela, in primo luogo, il vuoto motivazionale sul punto la significativa circostanza, adeguatamente messa in luce nei ricorsi, del mancato utilizzo, in sentenza, dello stesso termine “promotore/promotori”.
Non vengono, poi, descritti, dal giudice di merito, in capo a determinati partecipi, i comportamenti che la giurisprudenza ha descritto come concretamente e univocamente sintomatici del ruolo di promotore, di cui sopra si è tratteggiato un elenco, sia pure senza pretesa di esaustività.
Sebbene, in un passaggio della decisione impugnata, si affermi che due partecipanti si alternavano al megafono, ponendo in essere, quindi, una condotta che avrebbe potuto giustificarne il ruolo di promotori (con funzione di guide dei cori), il medesimo brano omette di indicare le rispettive generalità dei soggetti per poter addivenire alla loro identificazione.
Posto che non può, logicamente, attribuirsi, in modo indistinto e generico, il ruolo di promotore a tutti i partecipanti alla manifestazione non autorizzata, pena lo stravolgimento del reato di cui all’art. 18 T.U.L.P.S., la sentenza impugnata va, in parte qua, annullata, nei confronti di tutti gli imputati, con rinvio al Tribunale di Bologna, i diversa persona fisica (art. 623, lett. d), cod. proc. pen.), che provvederà a colmare le lacune motivazionali rilevate in ordine al capo A).
In ordine al reato di cui all’art. 678 cod. pen., contestato al solo COGNOME sub C), la sentenza va annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.
3.1. È pacifico, secondo la costante lezione di legittimità, che non integra la contravvenzione prevista dall’art. 678 cod. pen. la detenzione di materiale esplodente, senza autorizzazione della competente autorità, nel caso in cui il quantitativo delle polveri esplodenti non superi i cinque chilogrammi (Sez. 1, n. 12767 del, 6/02/2021,
Salvi, Rv. 280857 – 01; Sez. 1, n. 11176 del 13/02/2015, COGNOME, Rv. 262828 – 01; Sez. 1, n. 18575 del 25/03/2011, COGNOME, Rv. 250170 – 01; Sez. 1, n. 110 del 21/11/2002, dep. 2003, COGNOME, Rv. 223065 – 01).
3.2. Occorre ricordare, in base alla distinzione operata dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, che rientrano nella categoria delle “materie esplodenti”, utilizzate per fuochi di artificio, quelle sostanze prive di potenzialità micidiale sia per struttura chimica, sia per le modalità di fabbricazione, mentre vanno annoverate nella categoria degli “esplosivi” quelle sostanze caratterizzate da elevata potenzialità, che per la loro micidialità sono idonee a provocare una esplosione con rilevante effetto distruttivo (da ultimo Sez. 1, n. 12767 del 2021, cit.).
Tale distinzione trova un supporto anche nella interpretazione letterale dell’art. 678 cod. pen. e dell’art. 10 I. 14 ottobre 1974, n. 497, atteso che la prima norma usa i termini “materie esplodenti”, mentre la seconda norma usa il termine “esplosivi”, di guisa che deve ritenersi applicabile la I. n. 497 del 1974 ogniqualvolta la detenzione illegale riguardi materie le quali, per la loro quantità e qualità, possano provocare effetti distruttivi devastanti sugli uomini e sulle cose.
3.3. Non sempre, tuttavia, la detenzione di “materiale esplodente” è penalmente sanzionata.
3.3.1. Al riguardo, occorre fare riferimento alla disciplina prevista dagli artt. 38 T.U.L.P.S., 82 e 97 R.d. 6 maggio 1940, n. 635 (Regolamento di esecuzione del T.U.L.P.S.), nonché dalla direttiva 2007/23/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 maggio 2007 relativa all’immissione sul mercato di articoli pirotecnici.
A mente dell’art. 38 T.U.L.P.S. chiunque detenga “materie esplodenti” deve farne denuncia, entro le 72 ore successive, all’ufficio locale di pubblica sicurezza o, quando questo manchi, al locale comando dell’Arma dei Carabinieri.
Il primo comma dell’art. 97 del Regolamento del T.U.L.P.S., tuttavia, fissa un’eccezione a detta regola stabilendo che «possono tenersi in deposito o trasportarsi nello Stato senza licenza, esplosivi della prima categoria in quantità non superiore a cinque chilogrammi di peso netto, od artifici in quantità non superiore a chilogrammi venticinque di peso lordo, escluso l’imballaggio, ovvero un numero di millecinquecento cartucce da fucile da caccia caricate a polvere, nonché duecento cartucce cariche per pistola o rivoltella, ed un numero illimitato di bossoli innescati e di micce di sicurezza. Possono essere acquistati, trasportati ed impiegati senza licenza, nonché detenuti senza obbligo della denuncia di cui all’articolo 38 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, i prodotti esplodenti della categoria 5), gruppo D), fino a 5 kg. netti e della categoria 5), gruppo E), in quantità illimitata».
3.3.2. Le citate categorie sono quelle previste dall’art. 82 Reg. T.U.L.P.S che ne individua cinque: «1) «polveri» e prodotti affini negli effetti esplodenti; 2) «dinamiti» e prodotti affini negli effetti esplodenti; 3) «detonanti» e prodotti affini negli eff esplodenti; 4) «artifici» e prodotti affini negli effetti esplodenti; 5) «munizioni sicurezza e giocattoli pirici».
A sua volta la categoria 5) «munizioni di sicurezza e giocattoli pirici» di cui al comma precedente si articola in più gruppi tra cui, per quel che qui rileva:
gruppo C: 1) giocattoli pirici;
gruppo D: che comprende, sub 4), anche i «manufatti pirotecnici da divertimento, ad effetto di scoppio e/o ad effetto luminoso»;
gruppo E, che comprende: «1) munizioni giocattolo; 2) air bag, pretensionatori per cinture di sicurezza e relativi generatori di gas od attuatori ricompresi nell’allegato I al decreto legislativo 2 gennaio 1997, n. 7 e successive modificazioni e aggiornamenti; 3) bossoli innescati per munizioni per armi di piccolo calibro; 4) inneschi per munizioni per armi di piccolo calibro e per cartucce industriali; 5) manufatti pirotecnici e cartucce per strumenti tecnici e industriali (es.: sparachiodi, per mattazione e cementeria); 6) cartucce a salve ad effetto sonoro per armi di libera vendita».
3.3.3. L’art. 3 della direttiva 2007/23/CE individua nell’ambito degli articoli pirotecnici più gruppi.
Nel gruppo dei fuochi d’artificio (gruppo a) sono ricompresi nella categoria 4 «fuochi d’artificio che presentano un rischio potenziale elevato e che sono destinati ad essere usati esclusivamente da persone con conoscenze specialistiche, comunemente noti quali “fuochi d’artificio professionali”, e il cui livello di rumorosità non è nocivo la salute umana».
3.4. Nell’interpretare le norme appena richiamate, la giurisprudenza di legittimità ha, come già accennato, precisato, ma con esclusivo riferimento alle “polveri” e ai “prodotti affini negli effetti esplodenti”, come categorizzati nell’art. 82 (Sez. 1, n. 28590 del 5/2/2021, Infante, non mass.) e, comunque, non rientranti nella categoria 4 del Gruppo A di cui all’art. 2 della direttiva 2007/23/CE (Sez. 1, n. 46212 del 11/11/2021, De Michele), che «non integra la contravvenzione prevista dall’art. 678 cod. pen. la detenzione di materiale esplodente, senza autorizzazione della competente autorità, allorché il quantitativo delle polveri esplodenti (nella specie petardi confezionati con polvere pirica) non supera i cinque chilogrammi».
3.5. Tenuto conto che Sez. 1, COGNOME, già citata, ha ricondotto le ‘bombecarta’ ai prodotti esplodenti della categoria 5), gruppo D), e che, nella specie, a dispetto della contestazione in tali termini, si è accertato, in base alle analisi degl inquirenti, che le polveri in sequestro erano catalogabili nell’alveo del materiale normalmente impiegato per il confezionamento di fuochi di artificio, per di più a basso potenziale, inferiore a quello del suddetto ordigno (bomba-carta), è logico inferire la inquadrabilità anche di tali polveri nei prodotti esplodenti della categoria 5), gruppo D); dal momento che il teste COGNOME, Commissario della Polizia di Stato, interrogato sulla quantità di sostanza esplodente presente in ciascuno dei reperti esaminati, l’ha indicata in un peso oscillante fra i 30 e i 34 grammi (v. pag. 8 del ricorso redatto dall’avv. COGNOME che riporta il brano virgolettato) e che tale parametro non è stato neppure preso in considerazione dalla sentenza impugnata; posto che, trattandosi di
cinque reperti, il loro peso complessivo non si sarebbe potuto attestare che intorno ai 150-200 grammi, si resta al di qua della soglia penalmente rilevante, stabilita dal legislatore nel peso di cinque chilogrammi: da tanto discende l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per insussistenza del fatto ascritto all’imputato COGNOME al capo C) della rubrica.
Vanno, infine, rigettati i ricorsi di COGNOME e COGNOME in ordine al reato di cui al capo B) (art. 703 cod. pen.).
Occorre ricordare che l’ipotesi sanzionata dall’art. 703 cod. pen. (accensioni ed esplosioni pericolose) integra un reato di pericolo, in relazione alla possibilità concreta che esplosioni di ordigni in centro abitato, o sulla pubblica via – senza la predisposizione delle cautele che vengono imposte a chi ottiene la prescritta autorizzazione – compromettano l’incolumità delle persone. Da tanto consegue che, poiché anche l’esplosione di un comune petardo a distanza ravvicinata da persone può essere lesivo delle persone stesse, il semplice riferimento a siffatto tipo di ordigno non esclude la sussistenza del reato (Sez. 1, n. 1321 del 18/11/1994, dep. 1995, COGNOME ed altri, Rv. 200232 – 01).
Va precisato che, in tema di accensioni ed esplosioni pericolose, l’ipotesi del fatto commesso in luogo ove vi sia adunanza o concorso di persone (secondo comma) non costituisce figura autonoma di reato, bensì circostanza aggravante, avente natura oggettiva, la cui configurazione presuppone la sussistenza di tutti gli elementi della fattispecie base tipizzati al primo comma (Sez. 1, n. 19621 del 20/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 270111 – 01).
Il giudice di merito ha fatto buon governo degli enunciati principi ritenendo correttamente integrata la fattispecie di reato dalla condotta dei due ricorrenti, consistita nell’accendere e lanciare alcuni petardi in direzione della recinzione della Casa Circondariale bolognese “NOME COGNOME” e in un luogo dov’era in corso un’adunanza di persone, così inverando la concreta possibilità di ledere l’incolumità delle medesime.
Le censure difensive oppongono una rilettura delle emergenze istruttorie non ammissibile nella presente sede di legittimità e devono ritenersi infondate laddove evidenziano, quale elemento a discolpa, che nessuno dei presenti aveva riportato, in concreto, un danno, in quanto detto evento non è necessario a integrare il reato de quo, trattandosi di reato di pericolo.
4.1. Dal complessivo ordito motivazionale si possono, poi, ricavare, per implicito (si vedano le considerazioni sviluppate a sostegno del diniego delle attenuanti generiche), le ragioni che il Tribunale di Bologna ha ritenuto, congruamente, ostative al riconoscimento, sempre con riguardo al capo B) (mentre, con riguardo al capo A, il tema deve considerarsi assorbito dall’annullamento con rinvio), della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., individuabili, soprattutto, nel conte temporale di pandemia, connotato dai divieti più stringenti di circolazione e assembramento (i fatti sono occorsi il 16 aprile del 2020, coincidente con il periodo del
c.d.
‘Iockdown’), e nel carattere comunque pericoloso del materiale esplodente
adoperato dagli imputati.
Le deduzioni difensive, ancora una volta, tendono, assertivamente, a sostenere il contrario.
5. Con riferimento al capo
B), infine, devono considerarsi assorbiti i motivi
afferenti al diniego delle circostanze attenuanti generiche e al beneficio della sospensione condizionale della pena.
In relazione a quest’ultimo, tuttavia, ritiene il Collegio di evidenziare che, nel giudizio di rinvio concernente il capo A) della rubrica, si dovrà evitare, per negare il
beneficio invocato, di fare riferimento in modo generico, come ha fatto il Tribunale di
Bologna, a “episodi delittuosi specifici” che non sono stati neppure descritti.
6. In conclusione, sciogliendo la riserva assunta all’udienza del 26 novembre
2024, va annullata senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di NOME
COGNOME in ordine al reato di cui al capo C) perché il fatto non sussiste.
La medesima sentenza va, inoltre, annullata nei confronti di tutti gli imputati in ordine al reato di cui al capo A), con rinvio per nuovo giudizio sul predetto capo al
Tribunale di Bologna in diversa persona fisica.
I ricorsi di COGNOME e COGNOME in ordine al reato di cui al capo B) vanno, infine, rigettati.
P.Q.M.
Sciogliendo la riserva assunta all’udienza del 26 novembre 2024, annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME in ordine al reato di cui al capo C) perché il fatto non sussiste.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di tutti gli imputati in ordine al reato di cui al capo A), con rinvio per nuovo giudizio sul predetto capo al Tribunale di Bologna in diversa persona fisica.
Rigetta i ricorsi di COGNOME e COGNOME in ordine al reato di cui al capo B). Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2024
Il Consigliere estensore
Il Presiden te