Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 3751 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 3751 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 21/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME, nato a Napoli il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 02/02/2023 della Corte d’appello di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
visti i motivi nuovi depostati dall’AVV_NOTAIO, difensore di COGNOME NOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME, la quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
letta la memoria dell’AVV_NOTAIO, difensore di COGNOME NOME, di replica alle conclusioni del Pubblico Ministero e con la quale lo stesso difensore ha insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 02/02/2023, la Corte d’appello di Napoli conferma la sentenza del 12/10/2021 del Tribunale di Napoli Nord di condanna di NOME COGNOME alla pena di un anno e otto mesi di reclusione ed € 1.300,00 di multa per cinque reati di truffa – aggravati dall’avere commesso il fatto ingenerando nelle persone offese il timore di un pericolo immaginario o l’erroneo convincimento di dovere
eseguire un ordine dell’Autorità e unificati dal vincolo della continuazione – di cui ai capi 36), 37), 38), 39) e 42) dell’imputazione.
Tali cinque truffe erano state commesse ai danni di alcuni inserzionisti di annunci (per servizi di ripetizioni scolastiche o di baby-sitting o altro) su s internet (quali Subito.it, AAAAnnunci.it , e altri), i quali venivano contattati per telefono dalla coimputata NOME COGNOME che, presentandosi come dipendente dei predetti siti o del «Ministero della Repubblica», aveva fatto loro credere di avere commesso, nel pubblicare i suddetti annunci, degli illeciti, i quali avrebbero potuto essere “risolti” mediante il pagamento di una somma di denaro, che le vittime, così indotte in errore, avevano versato sulla carta Postepay n. NUMERO_CARTA intestata al COGNOME.
Avverso l’indicata sentenza del 02/02/2023 della Corte d’appello di Napoli, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore, NOME COGNOME, affidato a due motivi.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., con riferimento al combinato disposto degli artt. 125, comma 3, 192, 530, 533 e 546, comma 1, lett. e), dello stesso codice, e all’art. 640, secondo comma, n. 2), cod. pen., l’«inosservanza e/o erronea applicazione della normativa concernente la valutazione della prova dei testi in merito al delitto in imputazione e comunque mancanza, contraddittorietà o, comunque, manifesta illogicità della motivazione adottata sul punto, oltreché travisamento della prova desumibile da specifici atti del processo».
Il ricorrente lamenta che la Corte d’appello di Napoli si sarebbe limitata a ribadire quando era stato affermato dalla sentenza di primo grado, senza considerare le doglianze che erano state avanzate nel sproprio atto di appello, rendendo una motivazione apparente e fondata su mere congetture, in contrasto con le regole di valutazione della prova dettate dall’art. 192, commi 1 e 2, cod. proc. pen., con la regola di giudizio dell’«al di là di ogni ragionevole dubbio» prevista dall’art. 533 cod. proc. pen. (la quale deve essere letta insieme con le menzionate regole di valutazione della prova) – atteso che la sentenza impugnata «lascia viva la sussistenza di ipotesi alternative connotate da concreto riscontro nelle risultanze processuali e per nulla estranee all’ordine naturale della cose e della normale razionalità umana» – e travisando la prova «per omissione e per eccesso», per avere «pretermesso dalla sua decisione di vagliare sia l’indagine su alcune circostanze indiziarie sconfessanti quelle dell’accusa e attribuito ad informazioni neutre un valore indiziante di primaria importanza, ed anche nella parte in cui ha eclissato tutta la parte dell’atto d’appello dedicata alla errat valutazione dell’accusa».
Il ricorrente deduce che la Corte d’appello di Napoli avrebbe applicato in modo erroneo il procedimento di valutazione delle dichiarazioni del testimone maresciallo NOME COGNOME, non considerando che l’esistenza di un fatto non potrebbe «essere provat solo dalla dichiarazione di un teste, pur essendo qualificato come nella specie per il suo ruolo di P.G., a meno che questi siano acquisiti riscontri estrinseci ed individualizzanti».
Il ricorrente contesta la valorizzazione, da parte della Corte d’appello di Napoli, del fatto che egli avrebbe effettuato prelevamenti con la carta a lui intestata e, «con riguardo a un ulteriore episodio di truffa non oggetto di contestazione, era stato immortalato ad effettuare un prelievo di denaro all’interno dell’ufficio postale»», rappresentando, a tale proposito: a) che quest’ultimo episodio, da un lato, riguardava una truffa diversa da quelle di cui alle imputazioni, e, dall’altro lato, nel relativo fotogramma, «viene indicat una persona diversa dal COGNOME COGNOME ad effettuare l’operazione di prelievo del denaro provento della truffa allo sportello dell’ufficio postale, mentre il COGNOME viene rilevato in fila, in attesa», con la conseguenza che «la circostanza non ha valore probatorio COGNOME genera incertezze e lascia aperto il campo a diverse ipotesi valutative»; b) i prelievi relativi alle truffe di cui alle imputazion potevano essere fatti risalire al COGNOME COGNOME la persona che era stata immortalata mentre li effettuava era stata identificata nella coimputata NOME COGNOME, che, come era stato indicato nell’atto di appello, egli non aveva mai conosciuto, come pure gli altri coimputati (a eccezione di due di essi, conosciuti in quanto compaesani), che nessun indizio aveva potuto ricondurre al COGNOME; c) il dato che il COGNOME avesse attivato la carta Postepay a lui intestata, fornendo la propria utenza telefonica, lo stesso giorno della prima truffa, «resta non decisivo e lascia il campo alle più svariate ipotesi»; d) la rilevanza, ai fini dell’affermazio di responsabilità, dell’effettuazione dei prelievi, risultava smentita dal fatto che giudici del merito avevano assolto la coimputata COGNOME nonostante fosse anch’essa titolare di una carta Postepay sulla quale confluivano i proventi delle truffe, accogliendo l’ipotesi che la carta fosse nella disponibilità di altri; e valorizzazione, da parte della Corte d’appello di Napoli, del fatto che egli avesse bloccato la carta Postepay dopo la commissione delle truffe «in virtù della ragionevole previsione che le persone offese avrebbero sporto denuncia per quanto subito», oltre a essere basata su una congettura, si dovrebbe ritenere del tutto priva di fondamento logico in quanto non chiarisce come il COGNOME, se fosse stato a conoscenza delle truffe, avrebbe evitato di essere denunciato dalle vittime bloccando la carta dopo che le truffe erano già state commesse. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il ricorrente denuncia poi l’«errore di diritto» che sarebbe stato commesso dalla Corte d’appello di Napoli nella valutazione delle dichiarazioni del testimone
maresciallo COGNOME, le quali non lascerebbero «emergere dati chiari e incontrovertibili», rappresentando, in proposito, che: a) l’affermazione del testimone che il COGNOME aveva effettuato i prelievi presso la sala Bingo di Aversa e gli ATM «non è sorretta da alcun riscontro oggettivo, in quanto tali operazioni non è stato in alcun modo accertato che venissero effettuate dal COGNOME, mentre tale circostanza si dà per scontata, ancorché si dice che il COGNOME fosse stato immortalato nelle riprese delle telecamere dell’ufficio postale, quantunque, come innanzi detto, tali frame provino l’esatto contrario e cioè che l’operazione allo sportello era stata effettuata da un soggetto diverso, come chiaramente indicato nel rapporto della p.g., ed ancorché, tra l’altro, tale episodio non riguarda ipotesi di truffa oggetto del giudizio»; b) l’affermazione secondo cui i prelievi agl sportelli sarebbero stati consentiti al solo titolare della carta Postepay era stata ritenuta valida per il COGNOME mentre era «stata sconfessata dallo stesso tribunale che ha mandato assolta la coimputata COGNOME dalla cui carta venivano altrettanto effettuati i prelievi proventi delle truffe» ed era altresì smentita dal fatto che da ulteriori immagini che erano state acquisite risultava che i prelievi presso gli sportelli ATM venivano effettuati da NOME COGNOME; c) egli, in realtà, non aveva la disponibilità della carta Postepay COGNOME, come aveva riferito nel corso del giudizio, l’aveva data all’amico NOME COGNOME «per rendergli un favore», circostanza che avrebbe trovato riscontro anche nelle dichiarazioni che erano state rese da NOME COGNOME, secondo il quale non tutti i titolari delle carte coinvolti nel giudizi erano a conoscenza delle truffe; d) la valorizzazione, da parte della Corte d’appello di Napoli, del fatto che egli aveva attivato la carta Postepay si doveva ritenere «ridondante» in quanto egli non aveva mai negato ciò; e) la valorizzazione, da parte della stessa Corte d’appello, del blocco della carta «in virtù della ragionevole previsione che le persone offese avrebbero sporta denuncia per quanto subito» si doveva ritenere illogica atteso che, poiché tale blocco era avvenuto quando i reati di truffa erano già stati consumati, egli, se fosse stato realmente a conoscenza delle truffe, sarebbe stato certamente consapevole di non potere impedire le denunce delle vittime bloccando la carta, la quale fu bloccata, invece, come plausibilmente riferito dall’imputato, per la ragione che, nonostante le sue ripetute richieste, l’COGNOME non gliela restituiva; f) in un altro giudizio (RGNR 3532/2018), relativo ad alcuni reati di truffa commessi con modalità sostanzialmente analoghe, egli era stato assolto COGNOME NOME COGNOME aveva dichiarato di essere stato lui l’autore delle truffe che vedevano coinvolta anche la sorella NOME COGNOME. Il ricorrente evidenzia poi la sussistenza di elementi che deporrebbero nel senso della sua «mancanza di colpevolezza», quali i fatti che: a) a telefonare alle vittime fosse sempre stata NOME COGNOME, con la quale non era risultato alcun rapporto, come pure con gli altri coimputati; b) il COGNOME aveva dichiarato in dibattimento Corte di Cassazione – copia non ufficiale
che non tutti gli intestatari delle carte era una conoscenza del fatto che su di esse venivano convogliati i proventi delle truffe, così corroborando il proprio analogo asserto; c) il fatto, noto ai giudici di merito, che egli fosse sprovvisto di un mezz di trasporto si doveva ritenere incompatibile con gli spostamenti compiuti dall’utilizzatore della carta Postepay per effettuare i prelevamenti; d) l videoriprese ritraevano sempre e soltanto NOME COGNOME a effettuare i prelevamenti presso gli sportelli ATM.
Il ricorrente contesta poi la valenza probatoria dell’elemento costituito dall’intestazione a sé della carta Postepay, in quanto si tratterebbe di un elemento «neutro», di un indizio non grave né preciso, atteso che sarebbero «molteplici le ragioni che possono giustificare il COGNOME un soggetto diverso possa possedere ed utilizzare una carta prepagata intestata ad un altro» e che «neppure, la disamina dei movimenti sulla poste pay risultano essere idonei a dimostrare che l’utilizzo della carta stessa forse nella disponibilità del suo intestatario, COGNOME NOME». Il ricorrente ribadisce che l’affermazione della Corte d’appello di Napoli secondo cui egli sarebbe stato colui che aveva effettuato i prelievi presso la sala bingo di Aversa e gli sportelli RAGIONE_SOCIALE non sarebbe stata corroborata da alcun riscontro oggettivo, nonché quanto già in precedenza dedotto con riguardo al prelevamento concernente l’ulteriore episodio di truffa non oggetto di contestazione nel presente processo.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., con riferimento al combinato disposto degli artt. 62 -bis, 132 e 133 cod. pen., l’«inosservanza e/o erronea applicazione della normativa concernente il giudizio di concessione delle circostanze attenuanti generiche e di determinazione della pena, e comunque mancanza, contraddittorietà o, comunque, manifesta illogicità della motivazione adottata sul punto, oltreché travisamento della prova desumibile da specifici atti del processo».
Il ricorrente contesta anzitutto la mancata concessione, da parte della Corte d’appello di Napoli, delle circostanze attenuanti generiche, con giudizio di prevalenza e nella loro massima estensione, nonostante si dovessero ritenere deporre in senso favorevole a tale concessione le modalità dei fatti, prive di «particolare insidiosità», la scarsa gravità del danno recato alle persone offese, la scarsa intensità del dolo, avendo egli agito «senza poter individuare lo scopo preciso a cui potevano essere dirette», la sua «sostanziale incensuratezza per fatti gravi», nonché «la condotta post delictum tenuta», ivi incluso «il comportamento processuale ».
Il ricorrente contesta altresì la determinazione della misura della pena, lamentando che essa sarebbe avvenuta «senza tenere in considerazione la prima
parte dell’art. 133 c.p.», relativa alla gravità del reato, la quale, nella speci difetterebbe, atteso anche che le circostanze e le modalità dei fatti deporrebbero nel senso «di non eccessiva gravità dei medesimi».
Il ricorrente ha proposto motivi nuovi, con i quali rappresenta che il Tribunale di Napoli Nord, con la sentenza n. 1140/2023, resa nel già menzionato giudizio RGNR 3532/2018 e passata in giudicato, lo ha assolto dall’imputazione di truffa aggravata, chiarendo, sulla base delle dichiarazioni di NOME COGNOME, che si era autoaccusato delle truffe, che la carta NUMERO_CARTA intestata al COGNOME era nella disponibilità non del COGNOME ma di NOME COGNOME, così come il COGNOME aveva sempre dichiarato nel corso del presente giudizio.
Il ricorrente sottolinea che alcune delle truffe oggetto del presente giudizio sono temporalmente successive rispetto a quelle oggetto del menzionato giudizio assolutorio con la conseguenza che la suddetta carta Postepay, utilizzata dagli autori delle truffe di cui al presente giudizio, non poteva essere nella disponibilità del COGNOME.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Il comma 1-quater dell’art. 581 cod. proc. pen. – comma aggiunto dall’art. 33, comma 1, lett. d), del d.lgs. 10 ottobre 2020, n. 150 – stabilisce che, «el caso di imputato rispetto al quale si è proceduto in assenza, con l’atto d’impugnazione del difensore è depositato, a pena d’inammissibilità, specifico mandato ad impugnare, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza».
A norma dell’art. 89, comma 3, del d.lgs. n. 150 del 2022, tale disposizione si applica alle impugnazioni proposte avverso le sentenze pronunciate in data successiva a quella di entrata in vigore dello stesso decreto (30/12/2022).
La Corte di cassazione ha chiarito che la suddetta nuova causa di inammissibilità dell’impugnazione, in mancanza di indici normativi contrari, si applica anche al ricorso per cassazione, atteso che la menzionata disposizione è collocata tra le norme generali sulle impugnazioni, sicché, nei casi disciplinati dalla norma, avverso la sentenza pronunciata in data successiva al 30 dicembre 2022, occorre, per proporre ricorso per cassazione, lo specifico mandato ivi previsto (Sez. 3, n. 46690 del 09/11/2023, Baum; Sez. Sez. 4, n. 43718 del 11/10/2023, COGNOME NOME, Rv. 285324-02; Sez. 5, n. 39166 del 04/07/2023, N., Rv. 28530501).
Posto che la sentenza qui impugnata è stata pronunciata (il 02/02/2023) successivamente al 30/12/2022, si deve rilevare che, come risulta dal verbale dell’udienza del 02/02/2023, la Corte d’appello di Napoli, in sede di controllo della
regolare costituzione delle parti, riscontrò l’assenza dell’imputato, regolarmente citato, e procedette, quindi, in assenza di esso.
Pertanto, ai sensi del citato comma 1-quater dell’art. 581 cod. proc. pen., con il proposto ricorso per cassazione doveva essere depositato, a pena d’inammissibilità dello stesso ricorso, specifico mandato a impugnare rilasciato dopo la pronuncia della sentenza della Corte d’appello di Napoli.
Orbene, un siffatto mandato non è menzionato nel ricorso, non è stato a esso allegato e, comunque, non è stato rinvenuto agli atti, con la conseguenza che il ricorso è inammissibile.
Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento, nonché, essendo ravvisabili profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 585, comma 4, secondo periodo, cod. proc. pen., l’inammissibilità dell’impugnazione si estende ai motivi nuovi.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 21/12/2023.