Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 29736 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 29736 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/06/2024
SENTENZA
Sul ricorso presentato da NOME COGNOME NOME, nato in Perù il DATA_NASCITA
avverso la sentenza della Corte di appello di Roma del 11/07/2023.
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso. Udito, per il ricorrente, l’AVV_NOTAIO in sostituzione dell’AVV_NOTAIO, ch riporta al ricorso, chiedendone l’accoglimento, e insiste sulla questione preliminare.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 12/07/2023 la Corte di appello di Roma, in riforma della sentenza del Tribunale di Velletri del 22/06/2015, riduceva la pena applicata a NOME COGNOME e confermava la pena inflitta agli altri imputati.
COGNOME, in particolare, era stato condannato in primo grado alla pena di anni 12 di reclusione (capo Z) per il delitto di cui agli articoli 73-80 d.P.R. 309/1990.
Avverso il provvedimento ricorre l’imputato.
Preliminarmente, chiede al Collegio di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’articolo 581, comma 1-quater, cod. proc. pen., per violazione degli articoli 3, 24, 27 e 111 Cost., in riferimento alla previsione normativa dell’inammissibilità dell’impugnazione pe mancanza dello specifico mandato ad impugnare.
In caso questo Collegio non intendesse dar corso a tale richiesta, chiede che la questione venga rimessa alle Sezioni Unite per contrasto con le pronunce della Corte EDU indicate nel ricorso, nonché con alcune pronunce della Corte di cassazione (n. 53523 del 28/06/2023), le quali hanno ritenuto che la disposizione in esame non trovi applicazione al ricorso per cassazione.
Evidenzia il ricorrente la violazione del principio di parità tra le parti (affermata da C Costituzionale n. 26/2007) ad opera della disposizione introdotta con l’articolo 581, comma 1quater, cod. proc. pen., in ordine alla possibilità di impugnare (che non trova corrispondenti limiti in capo al pubblico ministero e alla parte civile)
Sottolinea inoltre come il diritto a far esaminare la pronuncia da un giudice di secondo grado deriva dall’articolo 14, par. 5, del Patto internazionale sui diritti civili e politici di Stras 1984 (Corte Cost. n. 34/2020).
Evidenzia poi la contraddizione della disposizione della cui conformità a costituzione si dubita con l’articolo 571 cod. proc. pen., che attribuisce un autonomo potere di impugnazione a colui che rivestiva la qualifica di difensore dell’imputato «al momento del deposito del provvedimento», nonché con l’articolo 613 cod. proc. pen., secondo cui, in mancanza di nomina, il difensore è colui «che ha assistito la parte nell’ultimo giudizio».
Quindi, in caso di deposito del ricorso da parte di difensore legittimato dalla legge, t ricorso sarebbe comunque ammissibile anche in caso di difetto di specifico mandato ad impugnare.
Ritiene in conclusione inammissibile la prevalenza di istanze di deflazione del carico giudiziario rispetto al diritto di difesa dell’imputato.
Inoltre, il passaggio in giudicato della sentenza pronunciata a carico dell’imputato “inattiv determinerebbe anche un vulnus al principio della ragionevole durata del processo. In proposito, la Corte Costituzionale ha chiarito (sentenza 111/2022) che non possono essere posti in bilanciamento la durata del processo e il diritto di difesa, in quanto ciò che la Costituzione richi è il “giusto processo”, che non può conseguirsi con il sacrificio di diritti costituzionali.
Altro profilo di disarmonia è costituito dalla disparità di trattamento tra imputato “assent e imputato “presente”, non essendo chiaro il motivo per cui la decisione del difensore di impugnare autonomamente la sentenza di appello dovrebbe /nei due casi, essere soggetta ad un diverso regime.
La stessa Corte Costituzionale, del resto, ha sottolineato come all’imputato assente debbono essere assicurate le stesse garanzia dell’imputato presente (sent. 317/2009).
Alle medesime censure di incostituzionalità si espone la norma che impone il rilascio di nuova elezione di domicilio.
2.1.. Ciò premesso, con il primo motivo il ricorrente lamenta inosservanza o erronea applicazione della legge processuale in relazione all’articolo 161 c.p.p., con conseguente nullità ai sensi dell’articolo 178, comma 1, lettera c), c.p.p., rilevabile anche d’ufficio ai dell’articolo 604 del codice di rito della notifica della citazione a giudizio davanti alla d’appello ex articolo 601 e della sentenza emessa dalla Corte d’appello in data 11 luglio 2023, per omessa vocatio in ius, affetta da nullità assoluta ed insanabile ai sensi dell’articolo 179 comma uno del codice di procedura penale.
La sentenza di primo grado ha rilevato che il ricorrente era residente ed elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO; lo stesso, dopo la verifica della regolarità de rispettive notifiche, era stato dichiarato contumace.
Il processo contumaciale è stato sostituito dalla disciplina dell’assenza dalla legge numero 67/2014, la quale tuttavia, all’articolo 15-bis, prevedeva che le disposizioni sul processo in absentia si sarebbero applicate anche ai procedimenti già in corso alla data di entrata in vigore della legge/a condizione che non fosse stato pronunciato il dispositivo della sentenza di primo grado.
L’istituto della contumacia era incorso in numerose censure da parte della Corte EDU in quanto non in grado di assicurare la conoscenza del processo all’imputato.
La Corte di appello avrebbe dovuto verificare se il COGNOME si fosse “volontariamente sottratto” alla celebrazione del processo. Essa, tuttavia, ha disatteso tale previsione ritenend corretta la vocatio in jus effettuata dal primo giudice, dichiarando l’assenza del COGNOME in assenza dei presupposti stabiliti dalla legge Cartabia e procedendo alla notifica del decreto di citazione giudizio presso il difensore ai sensi dell’articolo 161 c.p.p..
Non affronta quindi il tema della conoscenza in capo al NOME del giudizio di appello in alcun passo della motivazione, che risulta pertanto assente.
2.2. Con il secondo motivo lamenta violazione dell’articolo 73 del d.P.R. 309/1990, anche con riferimento al canone dell – o tre ogni ragionevole dubbio”.
La sentenza fonda il giudizio di responsabilità sui contatti intrattenuti tra l’odierno ricor e i coimputati, in totale assenza di elementi di riscontro oggettivi e concreti in ordine disponibilità e cessione di sostanza stupefacente.
In particolare, in riferimento all’episodio del 27 settembre 2004, il coinvolgimento del COGNOME deriverebbe automaticamente dal suo ruolo di stretto collaboratore del COGNOME, all’epoca dei fatti sottoposto agli arresti domiciliari e principale artefice della fornitura dei 10 kg.di coc
Tale tesi sarebbe corroborata dalla contemporanea presenza del ricorrente e di tale COGNOME NOME, dapprima nella stessa vettura diretta all’hotel Regina Margherita e poi al pranzo dal “McDonald’s” sito nei pressi della fermata della metropolitana “Lucio Sestio” di Roma, sebbene il servizio di appostamento non abbia confermato alcuna attività illegale da parte del ricorrente
La sentenza travisa inoltre completamente la piattaforma probatoria, laddove afferma che il COGNOME avrebbe assistito allo scambio di stupefacente laddove lo stesso al contrario non è stato mai fermato o arrestato.
Tali vizi della sentenza di primo grado erano stati sollevati anche con l’atto di appello ma -LI’. motivazione fornita dalla Corte territoriale no GLYPH uperato i dubbi e le censure sollevate.
La Corte di appello non ha neppure ritenutoi circoscrivere la condotta dell’odierno ricorrente alla mera connivenza non punibile.
Altro vizio di motivazione concerne l’episodio dell’8 novembre 2004, in relazione al quale non si comprende come l’odierno ricorrente abbia agevolato l’occultamento di due panetti di cocaina ad opera dei coniugi COGNOME NOME e NOME COGNOME.
2.3. Con il terzo motivo, lamenta applicazione dell’articolo 80, comma 2, del d.P.R. 309/1990, anche per vizio e difetto di motivazione. GLYPH e» CODICE_FISCALE
La Corte di appello, ritenendo di attribuire anche al €01aego COGNOME la disponibilità di tutto stupefacente sequestrato, omette totalmente di confrontarsi con il secondo motivo di appello, il quale aveva censurato la mancanza di motivazione in ordine alla sussistenza dell’aggravante dell’ingente quantitativo. Ed infatti, il limite quantitativo pari a 2.000 volte il valore mass valore solo in negativo, per cui tale superamento non esonera il giudice dell’obbligo di motivare, evidenziando la sussistenza di elementi ulteriori rispetto al dato meramente quantitativo, obbligo di motivazione cui la Corte di appello si è sottratta.
2.4. Con il quarto motivo lamenta inosservanza o erronea o mancata applicazione dell’articolo 62-bis del codice penale, anche sotto il profilo di mancanza o vizio di motivazion avendo la Corte escluso rilevanza al dato della incensuratezza che invece all’epoca dei fatti era ancora un elemento valutabile anche in via esclusiva. In tal modo la Corte di appello ha violato il principio della irretroattività della legge penale sfavorevole.
In data 16 aprile 2024, l’AVV_NOTAIO faceva pervenire rinuncia alla trattazione orale, ma all’odierna udienza l’AVV_NOTAIO, in sua sostituzione, concludeva riportandosi al ricorso e chiedendone l’accoglimento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Il Collegio intende esaminare in via preliminare, anche per la sua eventuale valenza assorbente sui motivi di ricorso, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 581 comma quater cod. proc. pen., posta dal difensore prima dell’esposizione delle doglianze.
La giurisprudenza di legittimità che si sta formando in relazione all’interpretazione de contenuto dell’art. 581 comma 1 -ter e 1 -quater cod. proc. pen., come introdotti dal d. Igs. n.
150 del 2022, si è espressa – in termini di assoluta prevalenza – nel senso che quest’ultima previsione si applica anche al processo di legittimità.
In riferimento all’articolo 581, comma 1-quater si è in particolare ritenuto che la norma rientra tra le disposizioni generali relative alle impugnazioni, valevoli, in mancanza di in normativi di segno contrario, anche per il ricorso per cassazione (Sez. 4, n. 7201 del 23/01/2024, NOME, n.m.; Sez. 6, n. 6264 del 10/01/2024, NOME, n.m.; Sez. 2, n. 47927 del 20/10/2023, COGNOME, Rv. 285525 – 01; Sez. 2, n. 47327 del 03/11/2023, NOME, Rv. 285444 – 01; Sez. 5, n. 39166 del 4/07/2023, COGNOME, Rv. 285305; Sez. 6, n. 41309 del 20/09/2023, S., Rv. 285353; Sez. 4, n. 43718 del 11/10/2023, Rv. 285324 – 02; Sez. 2, n. 47327 del 03/11/2023, Rv. 285444 – 01; Sez. 3, n. 46690 del 09/11/2023, Rv. 285342 – 01; Sez. 4, n. 43718 del 11/10/2023, COGNOME COGNOME, Rv. 285324-02; Sez. 6, n. 41309 del 20/09/2023, S., Rv. 285353-01; Sez. 2, n. 40824 del 13/09/2023, COGNOME, Rv. 285256-02; Sez. 5, n. 39166 del 04/07/2023, N., Rv. 285305-01).
La più recente giurisprudenza ritiene, inoltre, anche corretta la declaratoria de plano della causa di inammissibilità (Sez. 2, Ord. n. 4800 del 15/01/2024, Rv. 285927 – 01)
2.1. La applicabilità al giudizio di cassazione della norma in parola riposa su due ordini d ragioni, la prima di ordine sistematico, la seconda di ordine teleologico.
Quanto al primo aspetto, il Collegio rammenta come le Sezioni Unite della Corte (Sez. U. n. 8825 de127/10/2016, dep. 2017, Galtellì, Rv. 268822, richiamate dalla citata Sez. 4, n. 43718 del 11/10/2023, COGNOME, Rv. 285324) hanno rimarcato come gli artt. 581 e 591 cod. proc. pen., che disciplinano i requisiti formali e sostanziali cui deve sottostare l’atto introduttivo giudizio di impugnazione, si collochino entrambi nel Titolo I (“Disposizioni generali”) del Libro (“Impugnazioni”) e siano, perciò, certamente applicabili sia all’appello che al ricorso p cassazione.
In senso contrario, una giurisprudenza minoritaria (Sez. 1, n. 9426 del 18/01/2024, Oko, n.m.; Sez. 1, n. 43523 del 28/06/2023, Cop, Rv. 285396 – 01; Sez. 2, n. 40824 del 13/09/2023, COGNOME, Rv. 285256; Sez. 1, n. 43523 del 28/06/2023, Cop, Rv. 285396: Sez. 4, n. 22140 del 03/05/2023, En Naji Kamal, Rv. 284645), evidenzia invece la strumentalità tanto della dichiarazione o elezione di domicilio quanto del mandato ad impugnare rispetto alla «notificazione del decreto di citazione a giudizio», adempimento estraneo al giudizio di cassazione, nel quale la fissazione di udienza è, ordinariamente, comunicata al procuratore AVV_NOTAIO ed ai difensori, e non anche alle parti personalmente, mediante un mero avviso.
In secondo luogo, l’indirizzo largamente maggioritario di questa Corte ritiene che la disposizione di cui al comma 1-quater meriti una diversa considerazione rispetto a quella prevista dall’articolo 581, comma 1-ter, essendo, in tutta evidenza, stata introdotta al fine specifico di limitare l’impugnazione alle ipotesi di un “consapevole esercizio”.
Sul punto, Sez. 6, n. 2323 del 07/12/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285891 – 01 (conformi: Sez. 1, n. 20543 del 30/01/2024, COGNOME, n.m.; Sez. 7, Ord. n. 20424 del 08/05/2024,
COGNOME, n.m.; Sez. 7, Ord. n. 20382 del 08/05/2024, COGNOME, n.m.; Sez. 4, n. 20337 del 10/04/2024, COGNOME, n.m.; Sez. 2, n. 20161 del 18/04/2024, COGNOME, n.m.; Sez. 2, n. 47927 del 20/10/2023, Rv. 285525 – 01; n. 47327 del 03/11/2023, Rv. 285444-01), ha proceduto ad operare una pregevole ricostruzione delle modifiche strutturali operate dalla “Riforma Cartabia” al regime delle impugnazioni, evidenziando che l’interpretazione caldeggiata dal ricorrente (quella della inapplicabilità dell’articolo 581, comma 1-quater, al giudizio di cassazione) si pone in netta antitesi con la ratio dell’intervento riformatore, volto a ridurre al massimo le impugnazioni “inconsapevoli”, ossia non partecipate dall’imputato, e correlativamente a ridurre in concreto lo spazio di applicazione dei rimedi restitutori (rescissione del giudicato ex art. 6 bis cod. proc. pen. e restituzione nel termine ex art. 175, comma 2.1., cod. proc. pen.), sebbene detto spazio sia stato in astratto correlativamente ampliato a garanzia della effettiva conoscenza del processo da parte dell’imputato e, soprattutto, per salvaguardare il diritto di impugnazione.
Si è evidenziato che se è vero che la più rigorosa disciplina dell’assenza riduce il rischio celebrare processi a carico di imputati involontariamente inconsapevoli, essendo state accentuate le occasioni di verifica della conoscenza effettiva del processo nel corso di entrambi i gradi del giudizio di merito (nella fase dell’udienza preliminare e nella fase della costituz delle parti di primo e secondo grado), tuttavia tale obiettivo è stato ulteriormente considera anche nel momento di presentazione dell’atto di impugnazione, prevedendosi la necessità di uno specifico mandato ad impugnare, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza da impugnare al difensore dall’imputato rimasto assente nel giudizio.
Siffatta necessità, che presuppone il diretto coinvolgimento dell’imputato, chiamato a rilasciare uno specifico mandato al difensore per impugnare, costituisce un indice ulteriore di conoscenza certa della pendenza del processo.
Prima della riforma, la conoscenza del processo, sufficiente ad evitare la rescissione del giudicato, veniva riferita all’accusa contenuta in un provvedimento formale di vocatio in iudicium, senza necessità che tale conoscenza si estendesse anche alla pendenza del grado di appello, essendo espressamente specificato dal testo previgente dell’art. 629-bis cod. proc. pen. che l’assenza doveva essersi protratta per tutta la durata del processo.
Correlativamente al più ampio ambito di applicazione delle regole del giudizio in absentia, anche la disciplina della rescissione del giudicato è stata modificata perché rapportata alla prova della mancanza di conoscenza della pendenza del processo che può essere ora riferita anche soltanto al giudizio di appello, potendo il condannato ottenere la rescissione del giudicato ai sens dell’art. 629-bis cod. proc. pen., nuovo testo, qualora provi «che non abbia potuto proporre impugnazione della sentenza nei termini senza sua colpa, salvo risulti che abbia avuto effettiva conoscenza della pendenza del processo prima della pronuncia della sentenza» ed essendo previsto, al comma 3, che in caso di accoglimento della richiesta di rescissione sia revocata la sentenza e disposta «la trasmissione degli atti al giudice della fase o del grado in cui si è verific
la nullità», diversamente dal previgente testo dell’art. 629-bis, comma 3, cod. proc. pen. che prevedeva, in coerenza al precedente sistema, la restituzione al solo giudice di primo grado.
Inoltre, con l’art. 175 cod. proc. pen., al novellato comma 2.1., introdotto dall’art. 1 . 1 del d.lgs. 150/2022 cit., è stata prevista una nuova specifica ipotesi di restituzione nel termine impugnazione per l’imputato giudicato in assenza, se, «nei casi previsti dall’art. 420-bis, commi 2 e 3, fornisce la prova di non avere avuto effettiva conoscenza della pendenza del processo e di non aver potuto proporre impugnazione nei termini senza sua colpa».
La sentenza citata conclude nel senso che, in tale quadro normativo, in cui l’accertamento della conoscenza della pendenza del processo è tutelato anche nel caso in cui l’imputato abbia presenziato al primo grado di giudizio e sia rimasto assente unicamente nel giudizio di appello, tanto da poter attivare il rimedio della rescissione, risulterebbe distonica l’esclusione del ric per cassazione dall’ambito di applicazione della condizione di ammissibilità che, per il giudizio i assenza, prevede la necessità di una interlocuzione del difensore con l’imputato, successiva alla sentenza impugnata, finalizzata ad assicurare ai fini della impugnazione la conoscenza della pendenza del giudizio da parte dell’imputato assente.
La ratio della norma che impone uno specifico mandato conferito successivamente alla fase di giudizio che si impugna è la medesima sia per l’appello che per il ricorso per cassazione: prevenire situazioni suscettibili di dare luogo a processi in cui l’imputato, rimasto assente giudizio, sia del tutto ignaro della pendenza del processo, con conseguente innalzamento del rischio che il processo sia stato celebrato inutilmente, venendo alla fine travolto dalla rescissio del giudicato.
Tale esigenza, peraltro, si presenta accresciuta dall’ampliamento della platea delle sentenze inappellabili (vedi art. 593, comma 3, come modificato dall’art. 34 del d.lgs. 150/2022 cit.) c aumentano il rischio di ricorsi in cassazione per processi in absentia suscettibili di essere travolti dalla rescissione del giudicato, senza considerare il ricorso immediato per cassazione ex art. 569 cod proc. pen. (c.d. ricorso per saltum) che pone lo stesso ordine di problemi, apparendo ancora più incomprensibile un maggiore rigore formale per proporre appello rispetto al ricorso per cassazione avverso le medesime tipologie di sentenza.
Si è ritenuto dunque di «prevedere, equamente, che la scelta di impugnare la sentenza sia riservata all’imputato che sia stato posto in condizioni di partecipare al processo in virtù di scrupoloso complesso di precetti normativi e, per libera determinazione, non abbia coltivato tale sua facoltà, attribuendogli il consentaneo diritto, ove tali garanzie non siano state concretamente adottate, di ricorrere ai rimedi ripristinatori post iudicatum sopraindicati» (Sez. 5, n. 42414 del 28/09/2023, Brati, n.m.).
Conclusivamente, il Collegio intende dare continuità alla soluzione ermeneutica largamente maggioritaria, ritenendo che, nella disciplina introdotta dalla riforma “Cartabia” con evidenti f deflattivi, non sono presenti elementi da cui desumere una volontà del legislatore di escludere
la fase di legittimità dall’applicazione di norme che si applicano pacificamente a tutti i giudi impugnazione.
Le considerazioni dianzi espresse si riverberano sul versante della legittimit costituzionale della norma, della cui “tenuta” dubita il ricorrente.
In proposito, questa Corte ha reiteratamente sostenuto che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 581, commi 1-ter e 1-quater, cod. proc. pen., introdotti dall’art. 33 del d.lgs. n. 150 del 10 ottobre 2022 e dell’art. 89, comma 3, del medesim d.lgs., per contrasto con gli artt. 3, 24, 27, 111 Cost. e con l’art. 6 CEDU, nella parte in richiedono, a pena di inammissibilità dell’appello, che, anche nel caso in cui si sia proceduto i assenza dell’imputato, unitamente all’atto di appello, sia depositata la dichiarazione o l’elezion di domicilio, ai fini della notificazione dell’atto di citazione, e lo specifico mandato ad impug rilasciato successivamente alla sentenza, trattandosi di scelta legislativa non manifestamente irragionevole, volta a limitare le impugnazioni che non derivano da un’opzione ponderata e personale della parte, da rinnovarsi in limine impugnationis ed essendo stati comunque previsti i correttivi dell’ampliamento del termine per impugnare e dell’estensione della restituzione ne termine (Sez. 3, n. 19384 del 23/01/2024, Ke, n.m.; Sez. 3, n. 17737 del 23/01/2024, NOME, n.m.; Sez. 4, n. 43718 del 11/10/2023, NOME, Rv. 285324; Sez. 5, n. 39166 del 04/07/2023, N., Rv. 285305).
Tale soluzione è del resto coerente con la relazione predisposta dalla c.d. “RAGIONE_SOCIALE” , secondo cui «nel contesto delle innovazioni proposte, va rimarcato che l’intervento sulla legittimazione del difensore a impugnare costituisce uno snodo essenziale, sia in chiave di effettiva garanzia dell’imputato, sia in chiave di razionale e utile impiego delle risorse giudiziarie: la misura, infatti, è vo assicurare la celebrazione delle impugnazioni solo quando si abbia effettiva contezza della conoscenza della sentenza emessa da parte dell’imputato giudicato in assenza e ad evitare senza alcun pregiudizio del diritto di difesa dell’interessato, tutelato dai rimedi “restit contestualmente assicurati – l’inutile celebrazione di gradi di giudizio destinati ad essere trav dalla rescissione del giudicato».
Come è stato evidenziato, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, le norme tacciate d’incostituzionalità non prevedono affatto un restringimento della facoltà di impugnazione, bensì perseguono il legittimo scopo di far sì che le impugnazioni vengano celebrate solo quando si abbia effettiva contezza della conoscenza della sentenza emessa da parte dell’imputato, per evitare la pendenza di procedimenti nei confronti di imputati non consapevoli del processo, oltre che far sì che l’impugnazione sia espressione del personale interesse dell’imputato medesimo e non si traduca invece in una sorta di automatismo difensivo (Sez. 4, n. 43718 del 11 ottobre 2023, COGNOME, Rv. 285324-01, citata).
In particolare, l’art. 581, comma 1-quater, cod. proc. pen. trova la sua ratio, nell’esigenza di verificare l’effettiva e concreta volontà di impugnare del soggetto processato in assenza, nonché in quella, ulteriore, di accertare – in evidente ed insostituibile funzione di garanzi l’effettiva validità della preesistente dichiarazione od elezione di domicilio e la persistente vol dell’assente di riceverla in un domicilio nuovo, proprio alla luce del fatto che, nonostante formale ritualità delle citazioni effettuate nel corso del giudizio di grado precedente, egli è rim assente, altresì considerando la volontà del legislatore di limitare le impugnazioni che non derivino da un’opzione ponderata e personale della parte.
La censura è quindi manifestamente infondata.
Quanto alla dedotta disparità tra le parti e alla compressione del diritto al doppio grad di merito, le censure sono del pari manifestamente infondate.
La stessa pronuncia della Corte Costituzionale citata dal ricorrente (n. 34/2020), ha precisato che (il corsivo è del Collegio) «la garanzia del doppio grado di giurisdizione non fruisce, di per sé, di riconoscimento costituzionale (ex plurimis, sentenze n. 274 e n. 242 del 2009, n. 298 del 2008, n. 26 del 2007, n. 288 del 1997, n. 280 del 1995; ordinanze n. 316 del 2002 e n. 421 del 2001)», circostanza del resto confermata dalla stessa Carta Costituzionale, il cui articolo 111 garantisce il solo diritto al ricorso per cassazione per violazione di legge.
Del resto, che l’esercizio del potere di impugnazione possa essere modulato dal legislatore in forme di.verse in relazione ai gradi di giudizio, è principio confermato dalle Sezioni Unite del Corte, le quali, a proposito della eliminazione della facoltà dell’imputato di propo personalmente ricorso per cassazione, hanno affermato che il legislatore ha delineato un modello di esercizio del diritto di difesa (e conseguentemente anche del diritto alla impugnazione) differenziato, a seconda della varie fasi e tipologie di processo (Sez.U., n. 8914 del 21/12/2017, dep. 2018, Aiello, Rv. 272011 – 01; Sez. 2, 16/7/2013, Stara, Rv. 257072) precisando che «l’effettività del diritto di difesa non richiede necessariamente che le medesime modalità di esercizio e le correlative facoltà siano uniformemente assicurate in ogni stato e grado del giudizio, perché tale diritto può conformarsi secondo schemi normativi diversi a seconda delle caratteristiche proprie della fase di giudizio nella quale deve essere esercitato. Ne discende anche al legislatore deve essere assicurata ampia discrezionalità nel graduare diversamente le forme e le modalità mediante le quali la difesa tecnica e personale viene garantita all’imputato».
Quanto alla sentenza della Corte Costituzionale n. 317/2009, del pari citata dal ricorrente, il Collegio evidenzia come la stessa, testualmente (il corsivo è del Collegio) dopo essersi chiesta se «il diritto di difesa del contumace inconsapevole debba bilanciarsi con il principio ragionevole durata del processo, di cui al secondo comma dell’art. 111 della Costituzione», stabilisce che «tale eventualità. deve essere esclusa, giacché il diritto di difesa ed il princip
ragionevole durata del processo non possono entrare in comparazione, ai fini del bilanciamento, indipendentemente dalla completezza del sistema delle garanzie».
E questo è proprio l’aspetto dirimente, perché all’epoca di redazione della sentenza dei giudici della Consulta il processo contumaciale ancora albergava nel processo penale italiano, e l’adozione del principio della «unicità dell’impugnazione» (secondo cui l’impugnazione della sentenza contumaciale da parte del difensore d’ufficio avrebbe “consumato” il potere di impugnazione del contumace inconsapevole) avrebbe costituito non un vero «bilanciamento», ma «un sacrificio puro e semplice, sia del diritto al contraddittorio sancito dal suddetto art. Cost., sia del diritto di difesa».
Tuttavia, come si è visto nel paragrafo che precede, l’attuale disciplina sia del processo i assenza che del sistema delle impugnazioni (con i relativi rimedi restitutori), avendo ridisegnato l’intero sistema delle garanzie, consente di ritenere superati i dubbi a suo tempo (giustamente) espressi dal Giudice delle Leggi.
Del resto, la intrinseca coerenza della scelta del Legislatore emerge dalla lettura della stessa sentenza della Corte costituzionale, secondo cui la misura impugnatoria, «per avere effettività, non può essere “consumata” dall’atto di un soggetto, il difensore (normalmente nominato d’ufficio, in tali casi, stante l’assenza e l’irreperibilità dell’imputato), che non ha ricevuto un mandato “ad hoc” e che agisce esclusivamente di propria iniziativa. L’esercizio di un diritto fondamentale non può essere sottratto al suo titolare, che può essere sostituito solo nei limit strettamente necessari a sopperire alla sua impossibilità di esercitarlo e non deve trovarsi d fronte all’effetto irreparabile di una scelta altrui, non voluta e non concordata, potenzialmen dannosa per la sua persona».
La deduzione è quindi manifestamente infondata.
Ritiene conclusivamente il Collegio che l’art. 581, comma 1-quater, cod. proc. pen., sia norma ragionevole, che costituisce espressione dell’esercizio di una legittima scelta discrezionale attribuita al legislatore, che non collide con i parametri costituzionali evocati.
Ne deriva la compatibilità costituzionale – nel delineato nuovo quadro di garanzie ed impugnazioni – della novella legislativa in questione, da cui discende la manifesta infondatezza della censura di incostituzionalità avanzata.
Da ultimo, il Collegio aggiunge che la questione di legittimità costituzionale appare anche non correttamente prospettata quanto al profilo della “rilevanza” nel presente giudizio.
Ed infatti, la difesa non ha esplicitato gli elementi fattuali che avrebbero impedito ostacolato un contatto con l’assistito, ai fini della dichiarazione od elezione di domicilio e formalizzazione del mandato ad impugnare, cos’ difettando del necessario requisito della specificità (per un caso analogo: Sez. 2, n. 16819 del 03/04/2024, COGNOME, n.m.; Sez. 5, n. 42414 del 17/10/2023, citata).
La deduzione è pertanto inammissibile.
L’inammissibilità del ricorso per mancanza di mandato ad impugnare ed elezione del domicilio ha efficacia assorbente rispetto ai motivi di ricorso formulati, che devono del pari esser dichiarati inammissibili.
Alla declaratoria dell’inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento. Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi pe ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, che il Collegio ritiene di fissare, equitativamente, in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 04/06/2024.