Sentenza di Cassazione Penale Sez. F Num. 35940 Anno 2019
Penale Sent. Sez. F Num. 35940 Anno 2019
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 08/08/2019
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato il 18/08/1981
avverso !a sentenza del 01/02/2019 della CORTE APPELLO di CATANIA udita la relazione svolta da! Consigliere NOME COGNOME
Il Proc. Gen. conclude per il rigetto
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Catania, con provvedimento del 27 giugno 2019, all’esito dell’annullamento, a parte della Suprema Corte, di un precedente provvedimento, ha d disposto la consegna di NOME COGNOME nato in data 18 agosto 1981 in ,Romania, allo Stato rumeno per l’esecuzione di pena detentiva definitiva di anni 5, applicata in virtù di sentenza del Tribunale di Neamt, per il reato di tentato omicidio. Nel provvedimento si legge che con le informazioni acquisite dalla Romania “si è garantito che l’interessato, in caso di estradizione, sarà detenuto presso la Casa Circondariale Bucarest Rahova per il periodo di quarantena di 21 giorni in unica stanza con spazio minimo assicurato di 3 mq (la struttura dispone di camere di isolamento con spazio minimo individuale di mq. 3) e che durante questo periodo gli saranno assicurati tutti i diritti previsti dalla leg d’esecuzione ed usufruirà di un programma di adattamento alle condizioni di privazione della libertà; dopo il periodo di quarantena verosimilmente sconterà la pena della reclusione vicino al domicilio, nel penitenziario di Miercurea Ciuc, con un regime di esecuzione che ha tenuto conto di specifici criteri espressamente indicati con partecipazione ad attività rieducative culturali ed a programmi di assistenza sociale e psicologica …. all’interessato saranno anche garantite idonee condizioni igieniche e di salubrità dell’alloggio …. egli ha possibile accesso alla luce naturale ed all’aria”.
2. La Sez. VI della Cassazione, con sentenza n. 48433 del 2017, aveva annullato il precedente provvedimento della Corte di appello di Catania, in applicazione del principio secondo cui, in tema di mandato di arresto europeo c.d. esecutivo, il motivo di rifiuto della consegna di cui all’art. 18, comma primo, lett. h), I. n. 69 del 2005 – che ricorre i caso di “serio pericolo” che la persona ricercata venga sottoposta alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti – impone all’autorità giudiziaria dello Stato di esecuzione, secondo quanto chiarito dalla Corte di giustizia della Unione europea (sentenza 5 aprile 2016, C404/15, COGNOME e C 659/15, COGNOME), di verificare, dopo aver accertato l’esistenza di un generale rischio di trattamento inumano da parte dello Stato membro, se, in concreto, la persona oggetto del m.a.e. potrà essere sottoposta ad un trattamento inumano, sicchè a tal fine può essere richiesta allo Stato emittente qualsiasi informazione complementare necessaria (così Sez. 6, n. 23277 del 01/06/2016 Cc. – dep. 03/06/2016, Rv. 267296 – 01, concernente proprio la situazione delle carceri della Romania, in cui si è chiarito che, se dalle informazioni non venga escluso il rischio concreto di trattamento degradante, l’autorità giudiziaria deve rinviare la propria decisione sulla consegna fino a quando, entro un termine ragionevole, non ottenga notizie che le consentano di escludere la sussistenza del rischio).
La Suprema Corte aveva, difatti, precisato la necessità di un supplemento d’istruttoria, onde richiedere allo Stato emittente, tenuto conto delle iniziative dallo stesso assunte al
fine di ovviare al problema di cui alle ripetute condanne riportate nelle sedi internazionali, “se la persona richiesta in consegna sarà detenuta presso una struttura carceraria; in caso positivo, le condizioni di detenzione che saranno riservate all’interessato, al fine di escludere in concreto il rischio di un trattamento contrario all’art. 3 CEDU (ovvero il nome della struttura in cui sarà detenuto, lo spazio individuale minimo intramurario allo stesso riservato, le condizioni igieniche e di salubrità dell’alloggio; i meccanismi nazionali o internazionali per il controllo delle condizioni effettive di detenzione del consegnando)”. In particolare, si era sottolineata l’esigenza di accertare la sussistenza dello spazio inframurario minimo, nel rispetto degli standards europei, individuato in 3 mq netti calpestabili, salva la presenza di circostanze che, in conformità alle indicazioni fornite dalla Corte EDU, “consentano di beneficiare di maggiore libertà di movimento durante il giorno, rendendo possibile il libero accesso alla luce naturale ed all’aria, in modo da compensare l’insufficiente assegnazione di spazio”, tenuto conto che, secondo la giurisprudenza europea dei diritti dell’uomo, la presenza di ·uno spazio individuale riservato al detenuto inferiore a 3 mq comporta una «forte presunzione» di violazione del citato articolo 3, che compete allo Stato interessato smentire «in modo convincente», dimostrando la “contemporanea” presenza di tre fattori che suppliscano adeguatamente. alla mancanza di spazio personale, quali a) la durata breve, occasionale e di modesta entità della detenzione nel suddetto regime; b) la sufficiente libertà di movimento al di fuori della cella con lo svolgimento di adeguate attività; c) la presenza di dignitose complessive condizioni carcerarie.
3. Avverso tale sentenza ha proposto tempestivo ricorso per cassazione, a mezzo del proprio difensore, NOME COGNOME che ha dedotto: 1) la violazione dell’art. 22, comma 6, della I. n. 69 del 2005 ed il vizio di motivazione sul punto, non essendo stato rispettato dalla Corte di appello di Catania il termine di 20 giorni dalla ricezione degli atti per decisione, all’esito del precedente annullamento da parte della Suprema Corte, e non avendo il giudice di merito risposto a tale doglianza; 2) e 3) la violazione dell’art. 18 comma 1, lett. h, della I. n. 69 del 2005 ed il vizio di motivazione sul punto, essendo stata disposta la propria consegna alle autorità rumene, nonostante dal supplemento d’istruttoria emergessero molteplici violazioni dei diritti umani (in particolare sottoposizione ad una quarantena di 21 giorni nella struttura carceraria di Rahova Bucarest in una stanza mq 3 ed il successivo probabile trasferimento nella struttura carceraria di Miercurca Ciurc, ove i detenuti dispongono di spazio individuale pari a mq 2,04, mentre la normativa europea prevede uno spazio minimo libero e calpestabile di mq 3), di cui è stata completamente omessa la valutazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 primo ed il terzo motivo di ricorso, che hanno ad oggetto il mancato rispetto del termine di 20 giorni dalla ricezione degli atti, fissato dall’art. 22, comma 6, della I. n.
del 2005, per la decisione, da parte del giudice del rinvio, all’esito di un eventuale annullamento in sede di legittimità, sono infondati, atteso che tale termine processuale è meramente ordinatorio, in assenza di diversa previsione, ed il suo mancato rispetto, determinato, nel caso di specie, anche da necessità istruttorie, non si traduce in alcuna invalidità. Tale soluzione è imposta dall’art. 177 cod.proc.pen., ai sensi del quale l’inosservanza delle disposizioni stabilite per gli atti del procedimento è causa di nullità soltanto nei casi previsti dalla legge. Del resto, ad analoghe conclusioni la giurisprudenza di legittimità è pervenuta relativamente al termine per la decisione stabilito dal precedente art. 17, precisando che, in tema di mandato di arresto europeo, l’inosservanza del termine di sessanta giorni entro il quale, a norma dell’art. 17, comma secondo, I. n. 69 del 2005, deve essere emessa la decisione sulla consegna, ha natura perentoria solo ai fini della durata delle misure restrittive della libertà personale, ma non determina alcuna conseguenza sulla validità della decisione sulla consegna, né preclude l’emissione di una nuova misura coercitiva personale, atteso il disposto dell’art. 9, comma quinto, della legge cit., quando sussiste il pericolo di fuga (Sez. F, n. 35525 del 07/08/2014 Cc. – dep. 12/08/2014, rv. 261744 – 01).
2. Parimenti il secondo ed il quarto motivo, con cui si denuncia la violazione ed il vizio di motivazione in ordine al serio pericolo che la persona ricercata venga sottoposta a trattamenti inumani o degradanti, in particolare sub specie di insufficiente spazio individuale minimo intramurario, sono infondati, in quanto articolati in base a dati diversi da quelli accertati nel provvedimento impugnato alla luce delle informazioni ricevute dall’autorità richiedente.
La precedente sentenza di annullamento della Suprema Corte imponeva all’autorità giudiziaria di verificare la sussistenza di tale spazio nelle strutture carcerarie e, in ca negativo, la sussistenza di tre fattori idonei, secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, a supplire adeguatamente alla mancanza di spazio personale (la durata breve, occasionale e di modesta entità della detenzione nel suddetto regime; la sufficiente libertà di movimento al di fuori della cella con lo svolgimento di adeguate attività; la presenza di dignitose complessive condizioni carcerarie). Il provvedimento impugnato ha rispettato tale prescrizione, essendo state chieste e ricevute informazioni all’autorità rumena, che attestano la sussistenza dello spazio minimo vitale e/o dei fattori alternativi nelle strutture carcerarie rumene – informazioni che non possono essere, in questa sede, superate.
Sez. 6 n. 52541 del 09/11/2018 cc. – dep. 21/11/2018, Rv. 274296 – 01, ha già chiarito che, in tema di mandato di arresto europeo, non si configura il motivo di rifiuto della consegna previsto dall’art. 18, lett. h), I. n. 69 del 2005, in presenza di esaustive informazioni fornite dallo Stato richiedente, attestanti condizioni della detenzioni idonee ad escludere il rischio di trattamento inumano o degradante della persona richiesta fattispecie in cui, proprio sulla base delle informazioni rese dalla Romania, emergeva,
analogamente al caso in esame, che la persona richiesta sarebbe stata detenuta in ambienti rispondenti agli “standards” convenzionali ed in regime carcerario “semiaperto”, con un tempo trascorso in cella limitato al riposo notturno, all’igiene personale, ai pasti, e con la garanzia di areazione, illuminazione e climatizzazione adeguate, nonché con accesso all’acqua corrente ed ai servizi sanitari; con la possibilità di accedere a postazioni telefoniche ed informatiche, all’acquisto di generi di necessità e di ricevere visite, nonché di lavorare e svolgere attività educative, sportive, terapeutiche, con accesso agli spazi aperti.
Peraltro, il ricorrente non ha documentato che le strutture penitenziarie di destinazione risultino in concreto inidonee ad evitare il serio pericolo di trattamenti inumani e degradanti, nonostante l’accertato miglioramento delle condizioni detentive negli istituti penitenziari rumeni. In proposito deve ricordarsi che le autorità rumene hanno presentato in data 25 gennaio 2018 al Segretariato del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, competente per l’esecuzione delle sentenze della Corte EDU, l’Action Plan in relazione alla sentenza del 25 aprile 2017, con cui la Romania è stata condannata per le carenze strutturali delle condizioni di detenzione, ritenute in violazione dell’art. CEDU. Tale relazione ha elencato le misure adottate, volte a contrastare le problematiche riscontrate attraverso l’introduzione di rimedi amministrativi e legislativi, sia preventivi (riduzione del ricorso alla carcerazione preventiva, costruzione di nuovi istituti carcerari, ammodernamento delle strutture esistenti) sia compensativi (possibilità di beneficiare di giorni di liberazione anticipata in caso di detenzione in condizioni non appropriate).
In tale nuovo contesto ed alla luce delle informazioni ricevute dalla Romania, in parte riportate nel provvedimento impugnato, la doglianza formulata non merita accoglimento.
3. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese di lite.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui ‘all’art. 22 comma 5 I. 69/2005.
Così deciso 8 agosto 2019.