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Mandato di arresto europeo: quando l’Italia rifiuta?

Un uomo, accusato di far parte di un’associazione a delinquere per la contraffazione di vini di lusso, si oppone alla consegna alla Francia tramite un mandato di arresto europeo. Sostiene che i reati siano stati commessi in Italia e che esista un procedimento penale parallelo. La Cassazione rigetta il ricorso, chiarendo che per rifiutare la consegna non basta la mera giurisdizione italiana, ma serve la prova di un procedimento penale in corso per gli stessi fatti, che in questo caso mancava.

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Pubblicato il 15 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Mandato di arresto europeo: la Cassazione chiarisce i limiti al rifiuto di consegna

Il mandato di arresto europeo (M.A.E.) è uno strumento fondamentale di cooperazione giudiziaria all’interno dell’Unione Europea. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e la legge prevede specifici motivi di rifiuto da parte dello Stato di esecuzione. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 45776/2024) offre un’importante lezione sui criteri per negare la consegna, in particolare quando i reati sono stati commessi in parte sul territorio nazionale.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un cittadino italiano richiesto dalle autorità giudiziarie francesi tramite un mandato di arresto europeo. L’uomo era accusato di far parte di un’associazione a delinquere transnazionale dedita a reati gravi come truffa, autoriciclaggio e contraffazione di marchi. In particolare, il gruppo produceva e commercializzava su larga scala bottiglie di vino contraffatte, imitando un prestigioso marchio francese e vendendole a prezzi elevatissimi. Il ruolo del ricorrente sarebbe stato quello di produrre e fornire le etichette false da una tipografia situata in provincia di Torino.

La Corte di Appello di Torino aveva concesso la consegna, ma la difesa ha presentato ricorso in Cassazione, basandosi su due argomenti principali:
1. I reati erano stati commessi anche in Italia, radicando la giurisdizione dello Stato italiano.
2. Esisteva già un procedimento penale pendente in Italia, presso la Procura di Torino, per gli stessi fatti e contro le stesse persone.

L’analisi della Corte sul mandato di arresto europeo

La Corte di Cassazione ha esaminato entrambi i motivi di ricorso, ritenendoli infondati e fornendo chiarimenti cruciali sulla corretta interpretazione dell’art. 18-bis della legge n. 69/2005, che disciplina i motivi di rifiuto della consegna.

Il rifiuto per reati commessi in Italia

Il primo punto affrontato riguarda la possibilità di rifiutare la consegna quando il reato è stato commesso, in tutto o in parte, nel territorio dello Stato. La Corte ha ribadito un principio consolidato: questo motivo di rifiuto è facoltativo e non obbligatorio. Non è sufficiente che l’Italia abbia una giurisdizione astratta sul fatto; è necessaria la sussistenza di “elementi sintomatici della effettiva volontà dello Stato di affermare la propria giurisdizione”. Tale volontà si manifesta concretamente con l’esistenza di un procedimento penale già in corso per gli stessi fatti. In assenza di ciò, il semplice legame territoriale non basta a giustificare il rifiuto della consegna, che altrimenti ostacolerebbe la cooperazione giudiziaria europea.

L’assenza di un procedimento penale parallelo

Il secondo e cruciale argomento della difesa si basava sull’esistenza di decreti di perquisizione e sequestro emessi dalla Procura di Torino. Secondo il ricorrente, questi atti dimostravano la pendenza di un procedimento penale autonomo in Italia. La Cassazione ha smontato questa tesi, osservando che tali atti erano stati emessi in esecuzione di un Ordine di Indagine Europeo proveniente proprio dalle autorità francesi. Pertanto, non si trattava di un’iniziativa autonoma della magistratura italiana, ma di un atto di cooperazione giudiziaria. La Corte ha sottolineato che, per integrare il motivo di rifiuto, il procedimento italiano deve riguardare i “medesimi fatti”, intesi nel loro complesso materiale e naturalistico (condotta, evento, nesso causale), e non fatti semplicemente analoghi. Nel caso di specie, mancava qualsiasi prova di un simile procedimento pendente.

le motivazioni

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso basandosi su una logica di prevalenza della cooperazione europea, a meno che non esista un concreto e attuale interesse dello Stato italiano a perseguire i medesimi fatti. La motivazione principale è che i motivi di rifiuto della consegna, soprattutto quelli facoltativi, devono essere interpretati in modo restrittivo per non vanificare l’efficacia del mandato di arresto europeo. La presenza di indagini in Italia, svolte su impulso di un altro Stato membro, non può essere strumentalizzata per creare un conflitto di giurisdizione fittizio. La Corte ha evidenziato come la volontà dello Stato di esercitare la propria giurisdizione debba essere dimostrata da un procedimento penale effettivo e non da meri atti di assistenza giudiziaria. Inoltre, è stato confermato il principio di territorialità allargata: la giurisdizione dello Stato emittente (la Francia) era pienamente legittima, dato che i reati avevano prodotto danno a aziende francesi e parte della condotta si era svolta sul suolo francese.

le conclusioni

Questa sentenza conferma che il rifiuto di esecuzione di un mandato di arresto europeo non può fondarsi su una mera affermazione di giurisdizione territoriale. È necessario dimostrare un interesse concreto e attuale dello Stato italiano, manifestato attraverso un procedimento penale già pendente per gli stessi identici fatti. Gli atti di cooperazione giudiziaria, come le indagini svolte su richiesta estera, non costituiscono prova di un procedimento parallelo e non possono essere usati per bloccare la consegna. La decisione rafforza il principio di mutuo riconoscimento e fiducia tra le autorità giudiziarie dell’Unione Europea, pilastro del sistema del M.A.E.

Quando l’Italia può rifiutare la consegna di una persona richiesta con un mandato di arresto europeo se il reato è stato commesso sul suo territorio?
L’Italia può rifiutare la consegna solo se dimostra un interesse concreto ad affermare la propria giurisdizione. Secondo la Corte, questo interesse si manifesta con l’esistenza di un procedimento penale già in corso per gli stessi fatti a carico della stessa persona. La semplice competenza territoriale astratta non è sufficiente.

Un’indagine svolta in Italia su richiesta di un altro Stato UE costituisce un procedimento penale autonomo che impedisce la consegna?
No. La Corte ha chiarito che gli atti di indagine, come perquisizioni e sequestri, eseguiti in Italia su richiesta di un’autorità giudiziaria di un altro Stato membro (tramite, ad esempio, un Ordine di Indagine Europeo) rientrano nella cooperazione giudiziaria e non dimostrano l’esistenza di un procedimento penale autonomo e parallelo in Italia.

Perché la Corte ha ritenuto che la Francia avesse giurisdizione anche se parte dei reati sono stati commessi in Italia?
La Corte ha applicato un principio di territorialità allargata. La giurisdizione di uno Stato sussiste quando l’azione o l’omissione che costituisce il reato è avvenuta, anche solo in parte, sul suo territorio, oppure quando su tale territorio si è verificato l’evento dannoso. Nel caso specifico, i reati avevano danneggiato aziende vinicole francesi e parte delle condotte (come il deposito del vino contraffatto) erano avvenute in Francia.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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