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Mandato Arresto Europeo: Rifiuto se le carceri violano i diritti

La Corte di Cassazione ha annullato la decisione di consegna di un cittadino rumeno basata su un Mandato Arresto Europeo. La sentenza stabilisce che le assicurazioni generiche fornite dallo Stato richiedente sulle condizioni di detenzione non sono sufficienti di fronte a prove specifiche di sovraffollamento e trattamento inumano. Il giudice nazionale ha il dovere di condurre un’indagine approfondita per verificare il rispetto dei diritti fondamentali del consegnando.

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Pubblicato il 12 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Mandato Arresto Europeo: Diritti Umani e Condizioni Carcerarie al Centro

L’applicazione del Mandato Arresto Europeo (MAE) rappresenta un pilastro della cooperazione giudiziaria penale nell’Unione Europea, ma solleva questioni cruciali quando entra in conflitto con la tutela dei diritti fondamentali. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 14389/2024) ha riaffermato un principio cardine: la consegna di una persona non può avvenire se vi è il rischio concreto di trattamenti inumani e degradanti, e le corti nazionali hanno il dovere di verificare scrupolosamente le prove presentate dalla difesa.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un cittadino rumeno, destinatario di un Mandato Arresto Europeo emesso dalle autorità del suo paese per l’esecuzione di una condanna definitiva per traffico di sostanze stupefacenti. La Corte di Appello di Cagliari aveva autorizzato la consegna, ritenendo sufficienti le informazioni fornite dalle autorità rumene sulle condizioni di detenzione a cui l’uomo sarebbe stato sottoposto.

La difesa, tuttavia, ha proposto ricorso in Cassazione, sollevando diverse questioni, tra cui la violazione del diritto a non subire trattamenti inumani e degradanti. In particolare, erano state prodotte prove documentali, tra cui un rapporto del Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa, che attestavano una situazione di grave sovraffollamento e condizioni critiche nel carcere di destinazione, con uno spazio vitale per detenuto di soli due metri quadri.

Analisi del Mandato Arresto Europeo e Garanzie dei Diritti

Il ricorso si fondava su un punto essenziale: la Corte d’Appello avrebbe ignorato gli elementi specifici forniti dalla difesa, limitandosi a valorizzare le rassicurazioni generiche provenienti dallo Stato di emissione del mandato. La difesa ha sostenuto che tale approccio superficiale non fosse sufficiente a escludere il pericolo di una violazione dell’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU).

Un altro motivo di ricorso, ritenuto infondato dalla Corte, riguardava la richiesta di espiare la pena in Italia. La legge prevede questa possibilità solo per chi risiede o dimora in via continuativa sul territorio nazionale da almeno cinque anni, un requisito che il ricorrente, presente in Italia da soli tre mesi, non possedeva. La presenza di un familiare non è stata considerata sufficiente a tal fine.

La Necessità di Informazioni “Individualizzate”

La Corte di Cassazione ha accolto il motivo principale del ricorso, affermando un principio che costituisce ius receptum (diritto consolidato) nella sua giurisprudenza. Quando la difesa presenta censure specifiche, argomentate e supportate da dati oggettivi e aggiornati sul rischio di trattamenti inumani, il giudice non può accontentarsi delle informazioni standard trasmesse dall’autorità emittente.

È necessario, invece, che il giudice acquisisca informazioni “individualizzate” sul regime di detenzione a cui la persona sarà concretamente sottoposta. Questo implica un confronto diretto e un’analisi critica degli elementi forniti dalla difesa, richiedendo allo Stato emittente una risposta adeguata alle specifiche questioni sollevate.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte Suprema ha censurato l’operato della Corte di Appello proprio per aver omesso di esaminare e confrontarsi con gli elementi di conoscenza forniti dalla difesa. Il giudice di merito aveva valorizzato le informazioni integrative rumene, che indicavano il trattamento carcerario a cui sarebbe stato soggetto l’imputato, ma non aveva considerato le criticità specifiche del carcere di Craiova, evidenziate da autorevoli fonti internazionali e persino da un ufficio governativo rumeno.

Secondo la Cassazione, queste circostanze richiedevano un approfondimento istruttorio e una valutazione attenta delle garanzie integrative che lo Stato di emissione avrebbe dovuto fornire. Non basta affermare genericamente che i diritti saranno rispettati; occorre una risposta puntuale alle criticità documentate. Di conseguenza, la sentenza è stata annullata con rinvio alla Corte di Appello di Cagliari, che dovrà procedere a un nuovo giudizio attenendosi a questo principio di diritto.

Conclusioni

La sentenza n. 14389/2024 rafforza un importante baluardo a tutela dei diritti fondamentali nell’ambito della cooperazione giudiziaria europea. Stabilisce che il principio del mutuo riconoscimento, su cui si fonda il Mandato Arresto Europeo, non può prevalere sul divieto assoluto di trattamenti inumani e degradanti. Per i giudici, ciò significa un dovere di indagine più approfondito e critico di fronte a specifiche allegazioni della difesa. Per gli avvocati, sottolinea l’importanza di fornire prove concrete, aggiornate e specifiche per contestare efficacemente una richiesta di consegna che metta a rischio i diritti inalienabili della persona.

Quando può essere rifiutata la consegna basata su un Mandato Arresto Europeo per le condizioni carcerarie?
La consegna può essere rifiutata quando esistono prove specifiche e aggiornate, fornite dalla difesa, che dimostrano un rischio concreto di trattamento inumano o degradante nello Stato richiedente. In tali casi, le assicurazioni generiche non sono sufficienti e il giudice deve acquisire informazioni “individualizzate” sulle future condizioni di detenzione.

Per scontare la pena in Italia, è sufficiente che un familiare vi risieda stabilmente?
No. La legge italiana (art. 18-bis L. 69/2005) richiede che la persona richiesta in consegna risieda o dimori in via continuativa sul territorio italiano da almeno cinque anni. La presenza di un familiare, pur rilevante sotto altri profili, non è un requisito sufficiente per soddisfare questa specifica condizione.

Cosa deve fare il giudice italiano se la difesa presenta prove di sovraffollamento in una specifica prigione estera?
Il giudice non può ignorare tali prove. Ha il dovere di esaminarle attentamente e di confrontarsi con esse, richiedendo allo Stato di emissione del mandato una risposta adeguata e specifica che chiarisca come saranno garantiti gli standard minimi di detenzione per quell’individuo, nonostante le criticità sistemiche documentate.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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