Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 14885 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 14885 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME NOMECODICE_FISCALE), nato a Prato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza emessa il 05.03.2024 dalla Corte di appello di Firenze visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME
COGNOME, che ha concluso chiedendo di dichiarare inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Firenze ha disposto la consegna all’autorità giudiziaria RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME in esecuzione del mandato di arresto europeo, emesso in data 6 febbraio 2024 dal Tribunale di Grasse, per procedere nei suoi confronti per concorso in truffa, dal febbraio 2017 al 31 dicembre 2018, alla condizione della riconsegna allo Stato italiano per
l’esecuzione della pena o della misura di sicurezza eventualmente inflitta dall’autorità giudiziaria dello Stato emittente all’esito del predetto processo.
Gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, nell’interesse del COGNOME, hanno presentato ricorso avverso tale sentenza e ne hanno chiesto l’annullamento, deducendo tre motivi di ricorso.
2.1. Con il primo motivo i difensori censurano il difetto di motivazione del mandato di arresto europeo, che enuncerebbe una imputazione assai generica, inidonea a fondare la responsabilità del COGNOME, e che sarebbe corredato di una motivazione inadeguata.
2.2. Con il secondo motivo i difensori deducono che il mandato di arresto europeo sarebbe stato illegittimamente emesso solo per consentire la comparizione del COGNOME innanzi all’autorità giudiziaria RAGIONE_SOCIALE e che lo stesso non potrebbe essere considerato come latitante, avendo partecipato al procedimento penale pendente nei suoi confronti in quello Stato, anche a mezzo della nomina di un difensore di fiducia.
2.3. Con il terzo motivo i difensori censurano l’inosservanza dell’art. 18-bis, lett. b), della legge 22 aprile n. 2005, n. 69, in quanto parte delle condotte contestate sarebbe state commesse nel territorio italiano e il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Firenze avrebbe già interrogato il COGNOME in ordine a tali fatti.
Con memoria depositata in data 29 marzo 2024 gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno chiesto l’accoglimento del ricorso e hanno ribadito, con riferimento al secondo motivo di ricorso proposto, che vi sarebbe un procedimento penale pendente in Italia per i medesimi fatti contestati dall’autorità giudiziaria RAGIONE_SOCIALE per effetto del decreto di riconoscimento di ordine di indagine europeo emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Firenze.
Il Pubblico Ministero italiano, infatti, riconoscendo, con decreto, l’ordine di indagine europeo, lo avrebbe fatto proprio e, dunque, da tale atto deriverebbe l’effettiva pendenza di un procedimento penale anche in Italia, preesistente al mandato di arresto, tale da potere integrare il motivo di rifiuto ai sensi dell’art 18-bis, lett. b), della legge 22 aprile n. 2005, n. 69.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in quanto i motivi proposti sono manifestamente infondati.
Con il primo motivo i difensori censurano la estrema genericità
dell’imputazione riportata nel mandato di arresto europeo e l’inadeguatezza della sua motivazione.
3. Il motivo è manifestamente infondato.
Le indicazioni che il mandato d’arresto deve contenere (secondo la previsione dell’art. 8 della decisione quadro del Consiglio U.E. 2002/584/GAI del 13 giugno 2002, ripresa pressoché testualmente nel diritto interno dall’art. 6, legge n. 69 del 2005), tra le quali – per quanto d’interesse nello specifico – vi sono le «circostanze della commissione del reato» ed il «grado di partecipazione del ricercato», sono volte a fornire le informazioni formali minime, necessarie per consentire alle autorità giudiziarie dell’esecuzione di dar seguito in tempi brevi al mandato d’arresto europeo, adottando con urgenza la loro decisione sulla consegna (in questi esatti termini, CGUE, sentenza del 23 gennaio 2018, C 367/16, COGNOME, 59). Ne deriva che la descrizione delle circostanze della commissione del reato, compreso il grado di partecipazione del ricercato, dev’essere soltanto tale da permettere, allo Stato richiesto della consegna, di eseguire i controlli demandatigli dalla legge (vds. artt. 1, comma 3, 2, 7, 1.8 e 18-bis, legge n. 69 del 2005 (ex plurimis: Sez. 6, n. 42602 del 17/10/2023, Chernenkaia, Rv. 285356 – 01).
Tra questi, però, a seguito del d.lgs. 2 febbraio 2021, n. 10, è venuto meno quello sulla sussistenza di un compendio indiziario ritenuto dall’autorità giudiziaria emittente seriamente evocativo di un fatto-reato commesso dalla persona di cui si chiede la consegna (secondo il noto principio elaborato nella vigenza della precedente disciplina da Sez. U, n. 4614 del 30/01/2007, Ramoci, Rv. 235348): tanto si rileva senza incertezze dall’abrogazione dell’art. 6, comma 4, della stessa legge n. 69, che imponeva all’autorità emittente il mandato di allegare una relazione sui fatti con l’indicazione delle fonti di prova; ma, ancor più, dall’eliminazione dal testo del successivo art. 17, sempre per mano della novella del 2021, del riferimento ai «gravi indizi di colpevolezza» quale presupposto per l’esecuzione di un mandato d’arresto processuale, con la conseguenza che, secondo le legge oggi in vigore, la mancata indicazione di essi nel mandato non costituisce legittimo motivo di rifiuto alla consegna (così, tra altre, Sez. 6, n. 42602 del 17/10/2023, Chernenkaia, cit.; Sez. 6, n. 39196 del 28/10/2021, Ferrari, Rv. 282118).
Nel caso di specie, il mandato di arresto europeo descrive compiutamente la condotta contestata al COGNOME e, segnatamente, l’emissione di fatture fittizie al fine di documentare crediti inesistenti, asseritannente idonee a integrare gli artifici e i raggiri posti in essere ai danni della RAGIONE_SOCIALE querelante, che ha erogato il mutuo, rimasto inadempiuto; l’assenza di più precise indicazioni sulle modalità di coinvolgimento del ricorrente nei fatti di reato oggetto del mandato non incide sulla completezza dello stesso e sulla possibilità, per l’autorità
giudiziaria italiana, di verificare l’esistenza dei presupposti per la consegna (provenienza dell’atto da un’autorità giudiziaria, doppia punibilità dei fatti, ne bis in idem, extraterritorialità etc.).
La condotta descritta, del resto, come già rilevato dalla Corte di appello di Firenze, è punibile anche dall’ordinamento italiano quale segmento della commissione concorsuale del delitto di truffa.
Con il secondo motivo i difensori eccepiscono che il mandato di arresto europeo è stato emesso solo per consentire la comparizione del COGNOME innanzi all’autorità giudiziaria RAGIONE_SOCIALE e che lo stesso non potrebbe essere considerato come latitante, avendo partecipato al procedimento penale pendente nei suoi confronti in quello Stato.
Il motivo è inammissibile per aspecificità, in quanto non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, limitandosi a ribadire una censura già confutata, con motivazione congrua, dalla sentenza impugnata.
La Corte di appello di Firenze ha, infatti, rilevato che dal testo del mandato di arresto europeo non risulta che lo stesso sia stato emesso in ragione della mancata comparizione del ricorrente innanzi all’autorità giudiziaria RAGIONE_SOCIALE per rendere interrogatorio.
Con il terzo motivo i difensori censurano l’inosservanza dell’art. 18-bis, lett. b), della legge 22 aprile n. 2005, n. 69, in quanto parte delle condotte contestate sarebbe stata commessa nel territorio italiano e il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Firenze avrebbe già interrogato il COGNOME in ordine a tali fatti.
7. Il motivo è manifestamente infondato.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, la pendenza in Italia di un procedimento per i medesimi reati costituisce impedimento alla consegna nella misura in cui risulti l’effettivo e pregresso esercizio della giurisdizione nazionale sul reato oggetto del mandato di arresto europeo (Sez.6, n. 27992 del 13/6/2018, COGNOME, non mass.; Sez. 6, n. 15866 del 04/04/2018, COGNOME, Rv. 272912).
In tema di mandato di arresto europeo, quando la richiesta di consegna riguardi fatti commessi in tutto o in parte nel territorio dello Stato o in altro luo assimilato, il motivo facoltativo di rifiuto previsto dall’art. 18-bis, comma 1, lett. b), della legge 22 aprile 2005, n. 69, come modificata dalla legge 4 ottobre 2019, n. 117, sussiste solo se, al momento della ricezione della richiesta di consegna, risulti l’effettivo e pregresso esercizio della giurisdizione nazionale sul medesimo
reato oggetto del mandato (Sez. 6, n. 20539 del 24/05/2022, COGNOME, Rv. 283600 – 01; Sez.6, n. 2959 del 22/1/2020, NOME., Rv. 278197-02).
A fronte di tale evenienza procedirnentale, come già chiarito da questa Suprema Corte (Sez. 6, n. 15866 del 04/04/2018, COGNOME, cit.; Sez. 6, n. 13455 del 18/03/2014, COGNOME, Rv. 261097; Sez. 6, n. 5548 del 01/02/2018, COGNOME, Rv. 272198), il conflitto di giurisdizione tra i due Stati membri, ove concretamente ravvisabile, deve trovare la propria soluzione secondo le forme e modalità proprie del meccanismo disegnato dalla decisione quadro 2009/948/GAI del 30 novembre 2009 sulla prevenzione e la risoluzione dei conflitti relativi all’esercizio dell giurisdizione nei procedimenti penali e dal d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 29 (che quello strumento normativo ha recepito nel nostro ordinamento), anche al fine di evitare l’avvio di procedimenti paralleli superflui che potrebbero determinare una violazione del principio del ne bis in idem sancito dall’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, quale garanzia fondamentale direttamente applicabile nello spazio giuridico Europeo (v., in motivazione, Sez. 6, n. 21323 del 22/05/2014, Maciej, Rv. 259243; Sez. 6, n. 54467 del 15/11/2016, COGNOME, Rv. 268931).
La Corte di appello di Firenze ha, invero, fatto buon governo di tali consolidati principi, in quanto ha correttamente rilevato come non sia stata dimostrata la previa pendenza di un procedimento penale italiano nei confronti del COGNOME per la truffa asseritamente commessa ai danni della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e, dunque, per l’ipotesi di reato per la quale già procede l’autorità giudiziaria RAGIONE_SOCIALE.
Non può, peraltro, integrare la previa pendenza di un procedimento innanzi all’autorità giudiziaria italiana l’interrogatorio della persona richiesta in consegna operato dal pubblico ministero italiano in esecuzione dell’ordine europeo di indagini emesso dall’autorità giudiziaria RAGIONE_SOCIALE.
Per effetto di tale ordine europeo di indagine, infatti, il pubblico ministero italiano ha collaborato all’acquisizione delle prove richieste dall’autorità giudiziari RAGIONE_SOCIALE, ma non ha proceduto autonomamente in territorio italiano per gli stessi reati per i quali procede l’autorità giudiziaria dello Stato emittente.
Parimenti è manifestamente infondata la censura volta a dimostrare che le false fatture sarebbero state emesse dal COGNOME in territorio italiano, in quanto il medesimo è accusato dall’autorità giudiziaria RAGIONE_SOCIALE per l’emissione delle stesse, ma per aver concorso alla commissione di un delitto di truffa ai danni di una RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
Non essendovi ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza
«versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», in virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 22, comma 5, della legge n. 69 del 2005.
Così deciso in Roma, il 9 aprile 2024.