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Mandato Arresto Europeo: i limiti al rifiuto

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso contro la consegna di un cittadino alle autorità francesi, in esecuzione di un mandato di arresto europeo per truffa. La sentenza chiarisce che la genericità dell’imputazione nel mandato non è motivo di rifiuto, e che l’interrogatorio in Italia su richiesta estera non costituisce un procedimento penale ostativo alla consegna.

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Pubblicato il 13 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Mandato Arresto Europeo: quando è legittimo anche per reati in Italia

Il mandato di arresto europeo (MAE) rappresenta uno dei pilastri della cooperazione giudiziaria penale nell’Unione Europea, basato sul principio del mutuo riconoscimento. Tuttavia, la sua applicazione solleva complesse questioni, specialmente quando i reati contestati sono stati commessi, in tutto o in parte, sul territorio nazionale. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 14885/2024) offre chiarimenti cruciali sui limiti al rifiuto di consegna, delineando i contorni della sovranità giurisdizionale italiana.

I Fatti del Caso

La Corte di Appello di Firenze aveva autorizzato la consegna di un cittadino italiano alle autorità giudiziarie francesi, in esecuzione di un mandato di arresto europeo emesso dal Tribunale di Grasse. L’accusa era di concorso in truffa, per fatti avvenuti tra il 2017 e il 2018. La difesa del ricercato ha presentato ricorso in Cassazione, basandosi su tre motivi principali:

1. Difetto di motivazione: il MAE sarebbe stato troppo generico e non adeguatamente motivato per fondare la responsabilità dell’individuo.
2. Uso improprio del MAE: il mandato sarebbe stato emesso illegittimamente al solo fine di ottenere la comparizione dell’indagato, il quale non era latitante e aveva già nominato un difensore di fiducia in Francia.
3. Procedimento pendente in Italia: parte delle condotte (l’emissione di fatture fittizie) sarebbero state commesse in Italia e il Procuratore della Repubblica di Firenze aveva già interrogato il soggetto in merito, creando una situazione di pendenza di un procedimento nazionale per i medesimi fatti, ostativa alla consegna ai sensi dell’art. 18-bis della legge 69/2005.

La Decisione della Corte di Cassazione sul mandato di arresto europeo

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo tutti i motivi manifestamente infondati e confermando la decisione della Corte di Appello. Gli Ermellini hanno fornito una disamina dettagliata di ciascuna censura, consolidando importanti principi in materia di cooperazione giudiziaria.

L’analisi della genericità del mandato

Sul primo punto, la Corte ha ribadito che, a seguito delle riforme del 2021, non è più richiesto che il mandato di arresto europeo contenga “gravi indizi di colpevolezza”. Le informazioni necessarie sono quelle minime per permettere allo Stato di esecuzione di effettuare i controlli di legge (come la doppia punibilità o il principio del ne bis in idem). Nel caso specifico, il MAE descriveva sufficientemente la condotta – emissione di fatture false per documentare crediti inesistenti e frodare una società finanziaria – consentendo all’autorità italiana di svolgere le proprie verifiche.

Le Motivazioni della Sentenza

La Cassazione ha smontato punto per punto le argomentazioni difensive. Il cuore della motivazione risiede nella corretta interpretazione del motivo di rifiuto facoltativo previsto dall’art. 18-bis, lett. b), della legge 69/2005, che riguarda i reati commessi in parte sul territorio italiano.

La Corte ha chiarito che la pendenza di un procedimento in Italia per gli stessi fatti costituisce un impedimento alla consegna solo se risulta un “effettivo e pregresso esercizio della giurisdizione nazionale”. Nel caso in esame, l’interrogatorio svolto dal Pubblico Ministero italiano non rappresentava l’avvio di un’indagine autonoma. Al contrario, era stato eseguito in adempimento di un ordine europeo di indagine proveniente dalle autorità francesi. Si trattava, quindi, di un atto di collaborazione e assistenza giudiziaria, non di un’iniziativa processuale italiana.

Di conseguenza, non esisteva alcun procedimento penale pendente in Italia che potesse giustificare il rifiuto della consegna. La Corte ha sottolineato che la semplice circostanza che una parte della condotta criminosa (l’emissione delle fatture) fosse avvenuta in Italia non era di per sé sufficiente a integrare il motivo di rifiuto, in assenza di un’azione penale già esercitata dalle autorità italiane.

Le Conclusioni

Questa sentenza rafforza il principio di mutuo riconoscimento e fiducia su cui si fonda lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia europeo. Le conclusioni pratiche sono significative:

1. Specificità del MAE: La richiesta di consegna non necessita di un compendio indiziario dettagliato come un’ordinanza di custodia cautelare interna, ma solo degli elementi essenziali per i controlli dello Stato ricevente.
2. Distinzione tra cooperazione e azione penale: Gli atti di indagine compiuti in Italia su richiesta di un altro Stato membro non costituiscono l’esercizio della giurisdizione nazionale e non possono essere usati per bloccare una richiesta di consegna.
3. Rifiuto di consegna: Il rifiuto di consegnare un soggetto per reati commessi in parte in Italia è una facoltà che lo Stato può esercitare solo se ha già concretamente attivato la propria giurisdizione penale sui medesimi fatti. In assenza di ciò, prevale l’obbligo di cooperazione europea.

Quanto deve essere dettagliato un mandato di arresto europeo per essere valido?
Secondo la Corte, il mandato deve contenere le informazioni formali minime per consentire allo Stato di esecuzione di effettuare i controlli previsti dalla legge, come la doppia punibilità. Dopo le riforme del 2021, non è più necessario che contenga ‘gravi indizi di colpevolezza’, essendo sufficiente la descrizione della condotta contestata.

Se un cittadino viene interrogato in Italia su richiesta di un’autorità estera, si crea un procedimento penale ostativo alla consegna?
No. La sentenza chiarisce che un interrogatorio svolto dall’autorità giudiziaria italiana in esecuzione di un ordine europeo di indagine è un atto di cooperazione giudiziaria. Non costituisce l’avvio di un autonomo procedimento penale italiano e, pertanto, non impedisce la consegna del soggetto allo Stato richiedente.

La commissione di una parte del reato in Italia impedisce sempre la consegna a un altro Stato UE?
No, non automaticamente. Il rifiuto della consegna in questo caso è una facoltà, non un obbligo. Per poter rifiutare la consegna, è necessario che, al momento della ricezione del mandato, in Italia sia già in corso un ‘effettivo e pregresso esercizio della giurisdizione nazionale’ per gli stessi fatti. La sola localizzazione di una parte della condotta in Italia non è sufficiente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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