Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 16990 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 16990 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 28/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOMECOGNOME nato in Ghana il 01/01/1995
avverso la sentenza del 21/11/2023 della Corte di appello di Catanzaro;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di dichiarare inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con atto del proprio difensore, NOME COGNOME impugna la sentenza della Corte di appello di Catanzaro del 21 novembre 2023 che ne ha confermato la condanna per il delitto di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, aggravato ai sensi del successivo art. 80, comma 1, lett. a), per aver detenuto
sostanze stupefacenti del tipo hashish e marijuana ed aver ceduto una dose di quest’ultima ad una ragazza minorenne.
2. Il ricorso consta di sei motivi.
2.1. Con il primo si deduce l’illegittimità costituzionale dell’art. 581, comma 1-quater, cod. proc. pen., in relazione agli artt. 3, 24, 27 e 111, Cost., nella parte in cui impone che il ricorso per cassazione dell’imputato assente sia preceduto da specifico mandato ad impugnare, rilasciato al difensore dopo la pronuncia della sentenza impugnata e contenente la dichiarazione o l’elezione di domicilio dell’imputato.
Si evidenziano, in proposito, la rilevanza costituzionale del diritto all’impugnazione delle sentenze, la correlazione tra quest’ultimo e la necessità della difesa tecnica in sede di legittimità, nonché l’asimmetria rispetto al potere d’impugnazione riconosciuto al Pubblico ministero ed alla parte civile.
2.2. La seconda doglianza consiste nella nullità della sentenza a norma dell’art. 178, lett. c), cod. proc. pen., per l’omessa notifica all’imputato della citazione a giudizio in appello, e comunque nella manifesta illogicità della motivazione con la quale la Corte d’appello ha disatteso la relativa eccezione, altresì omettendo, senza darne spiegazione, di effettuare le nuove ricerche sollecitatele dalla difesa.
Detta notifica, infatti, è stata effettuata al difensore, a norma dell’art. 161 comma 4, cod. proc. pen., essendo l’imputato risultato irreperibile presso il domicilio in precedenza dichiarato.
Evidenzia il ricorso che l’imputato si è reso irreperibile successivamente a quella dichiarazione di domicilio, come documentato dalla produzione difensiva di un’ordinanza custodiale emessa nei suoi confronti in altro processo e rimasta ineseguita, con conseguente dichiarazione di latitanza; da ciò deriverebbero la sopravvenuta irrilevanza di detta dichiarazione e l’impossibilità di desumere la consapevolezza, da parte di costui, della pendenza del processo a suo carico.
2.3. Il terzo motivo denuncia la manifesta illogicità della motivazione ed il travisamento della prova, con riferimento alla cessione della sostanza alla ragazza minorenne.
La Corte non avrebbe logicamente ricomposto le divergenze delle testimonianze rese dagli agenti di polizia intervenuti, con particolare riferimento all’abbigliamento del soggetto autore della cessione, nonché le incongruenze del loro narrato rispetto al rinvenimento dello “spinello” già preparato ed acceso nelle mani della ragazza solo dopo pochi secondi, durante i quali la stessa era stata da costoro momentaneamente persa di vista. Ragione per cui – conclude la difesa ricorrente – non può ritenersi logicamente accertato che a cedere la sostanza sia
stato proprio l’imputato, considerando che, secondo quanto riferito da diversi testimoni, in quel momento ed in quel luogo vi erano vari altri soggetti di colore come lui.
2.4. Violazione di legge e vizi di motivazione vengono dedotti altresì con riferimento all’esclusione della detenzione di quelle sostanze a fini di consumo personale: il dato quantitativo – si sostiene – è minimo, oltre che di per sé non decisivo; in possesso dell’imputato non è stata rinvenuta strumentazione funzionale allo “spaccio”; la sostanza detenuta non era suddivisa in dosi.
2.5. Gli stessi vizi la sentenza presenterebbe, poi, nella parte in cui è stata ravvisata l’aggravante della cessione a persona minorenne.
Sostiene la difesa che l’imputato non solo non fosse a conoscenza dell’età della ragazza, ma che neppure gli si possa rimproverare una colpevole ignoranza della stessa. Gli stessi agenti di polizia intervenuti hanno testimoniato, infatti, ch costei poteva apparire anche maggiorenne e che la scuola da lei frequentata era distante dal luogo in cui sarebbe avvenuta la cessione.
2.6. Infine, il ricorrente si duole dell’omessa motivazione sul motivo d’appello riguardante la misura della pena-base, fissata senza alcuna spiegazione dal primo giudice in misura superiore al minimo edittale e non giustificata neppure dalla sentenza d’appello.
Hanno depositato memorie scritte sia il Procuratore generale che il difensore ricorrente, chiedendo rispettivamente di dichiarare inammissibile il ricorso e di accoglierlo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
La questione di legittimità costituzionale è manifestamente infondata.
Sulla stessa, questa Corte si è già pronunciata ripetutamente, ritenendola tale, poiché le disposizioni dei commi 1-ter e 1-quater dell’art. 581, cod. proc. pen., non comportano alcuna limitazione all’esercizio del potere di impugnazione spettante all’imputato, ma regolano solamente le modalità di esercizio della concorrente ed accessoria facoltà riconosciuta al suo difensore: sicché esse non collidono né con il principio della inviolabilità del diritto di difesa, né co presunzione di non colpevolezza operante fino alla definitività della condanna, né con il diritto ad impugnare le sentenze con il ricorso per cassazione per il vizio di violazione di legge (per tutte: Sez. 6, n. 3365 del 20/12/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285900).
Si tratta di una scelta legislativa volta a limitare le impugnazioni che non derivano da un’opzione ponderata e personale della parte, da rinnovarsi “in limine
impugnationis”, nonché bilanciata dai previsti correttivi dell’ampliamento del termine per impugnare e dell’estensione della restituzione nel termine a tal fine (Sez. 4, n. 43718 del 11/10/2023, NOME COGNOME, Rv. 285324): un complesso di disposizioni, dunque, che rappresenta un ragionevole punto di equilibrio tra le garanzie di un’effettiva difesa del singolo imputato e l’efficacia d “servizio giustizia”, anche quest’ultima munita di copertura costituzionale per effetto del richiamo alla durata ragionevole dei processi contenuto al primo comma del citato art. 111.
Non può trovare applicazione, inoltre, nel caso di specie, la legge n. 114 del 2024, in vigore dal 25 agosto scorso, che, in caso di processo in absentia, ha limitato la necessità di uno specifico mandato ad impugnare soltanto per l’imputato assistito da un difensore d’ufficio: la relativa questione è stata deferita al giudiz delle Sezioni unite di questa Corte, che – con sentenza n. 13808 del 24 ottobre 2024, dep. 2025, ricorrente COGNOME – hanno affermato il principio per cui detta regola vale soltanto per le impugnazioni proposte dopo l’entrata in vigore di tale legge.
Pertanto, essendo stato il presente ricorso proposto nella vigenza dell’art. 581-quater, cit., nella sua formulazione originaria, il difensore si sarebbe dovuto munire di uno specifico mandato ad impugnare, rilasciatogli dall’imputato dopo la sentenza appellata e contenente la dichiarazione od elezione del domicilio cui notificare il decreto di fissazione del processo.
Non essendo questo avvenuto, l’impugnazione dev’essere perciò dichiarata inammissibile, secondo l’espressa previsione in tal senso contenuta in detta norma, senza possibilità di prendere in considerazione le doglianze con essa rassegnate.
L’inammissibilità del ricorso comporta obbligatoriamente – ai sensi dell’art. 616, cod. proc. pen. – la condanna del proponente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi una sua assenza di colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità (vds. Corte Cost., sent. n. 186 del 13 giugno 2000). Detta somma, considerando la manifesta assenza di pregio degli argomenti addotti, va fissata in tremila euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 28 marzo 2025.