Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 10778 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 10778 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME NOME nato a Mazara del Vallo il 31/7/1998
avverso l’ordinanza del Tribunale di Palermo del 29/7/2024
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza resa in data 29.7.2024, il Tribunale di Palermo, in funzione di giudice del riesame, ha provveduto su una richiesta di riesame dell’ordinanza con cui il g.i.p. del Tribunale di Marsala in data 5.7.2024 ha applicato a COGNOME Leonardo la misura cautelare della custodia in carcere.
1.1 II fatto oggetto del procedimento – come ricostruito dal g.i.p. – è un agguato ai danni di NOME NOME COGNOME ad opera di due persone, che lo accoltellavano nella notte del 26.6.2024.
Mangiaracina GLYPH Asia, GLYPH fidanzata GLYPH del GLYPH ferito, GLYPH dopo GLYPH aver GLYPH raccontato nell’immediatezza (al pari, del resto, della stessa vittima) che gli aggressori erano nordafricani, forniva poi una diversa versione, spiegando di aver temuto possibili ritorsioni, e riferiva che l’aggressione era avvenuta ad opera di tali COGNOME NOME e COGNOME NOME: nel corso dell’aggressione, in particolare, il primo aveva detto “questo è per COGNOME!”, espressione che ella aveva immediatamente ricollegato al suo ex fidanzato, NOMECOGNOME
In seguito, era stato trovato nella disponibilità di COGNOME un paio di scarpe sporche di sangue; inoltre, nel suo cellulare erano stati rinvenuti: un messaggio WhatsApp con cui COGNOME gli scriveva alle ore 00.37 del 26.6.2024 “o da trovali massacrali”; un video inviato a Majale alle ore 1.10 dello stesso giorno, in cui era ritratta una parte dell’aggressione a Bongiorno; messaggi inviati da Majale alle ore 1.55 con i quali il ricorrente manifestava una certa soddisfazione (“sei la mia vitaaa”, accompagnata da due emoticons a forma di cuore). Gli stessi messaggi erano stati poi rinvenuti nel telefono di COGNOME (benché fatti oggetto di un maldestro tentativo di rimozione), nel quale erano contenuti anche un messaggio con cui l’indagato manifestava la sua preoccupazione per il fatto che la ex fidanzata avesse intrapreso una frequentazione con COGNOME (con un riferimento anche ad intenti violenti verso lo stesso COGNOME) e una chat con la ex fidanzata in cui costei lo accusava del fatto delittuoso senza essere apparentemente contraddetta.
Di conseguenza, COGNOME veniva considerato dal g.i.p. come il mandante dell’agguato, qualificato come tentato omicidio, avuto riguardo all’utilizzo di un’arma da taglio per colpire la vittima all’altezza del torace e all’addome, che consentiva di ipotizzare la sussistenza quantomeno del dolo alternativo. Veniva, quindi, applicata la custodia in carcere, per contenere il pericolo di reiterazione, desunto dall’efferatezza dell’aggressione e dalla commissione del reato mentre COGNOME era già assoggettato agli arresti domiciliari.
1.2 In sede di riesame, il difensore dell’indagato ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza per difetto dei gravi indizi di colpevolezza, in subordine la derubricazione in lesioni personali e la sostituzione della misura della custodia in carcere con una misura meno afflittiva.
Il tribunale del riesame ha ribadito la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, desumibili: 1) dalla frase pronunciata da COGNOME durante l’aggressione, secondo il racconto della COGNOME, da considerarsi credibile in quanto espressasi in termini coerenti e anche esplicativi delle ragioni per le quali aveva inizialmente fornito una diversa versione; 2) dall’intervento dell’indagato nelle fasi immediatamente precedenti e successive all’agguato mediante comunicazioni telefoniche con uno degli autori materiali.
Anche la qualificazione giuridica del fatto – secondo il tribunale – è da considerarsi corretta, tenuto conto del ferimento occorso in zone corporee sedi di organi vitali come l’addome e il torace (ennoperitoneo da ferite fendenti penetranti in addome e torace, pneumotorace dx con frattura costale) con prognosi riservata: deve ritenersi, pertanto, che, commissionando l’aggressione, COGNOME abbia perseguito, in via diretta o alternativa rispetto alle lesioni, l’intento di uccidere vittima.
Quanto alle esigenze cautelari, i giudici del riesame hanno condiviso la motivazione del g.i.p., rimarcando sia le modalità del fatto, sia la circostanza che NOME fosse sottoposto in altro procedimento agli arresti domiciliari (da lui violati almeno quanto al divieto di comunicare con terzi).
Avverso la predetta ordinanza, ha proposto ricorso il difensore di COGNOME NOMECOGNOME articolando due motivi.
2.1. Con il primo motivo, deduce la mancanza e/o manifesta illogicità della motivazione con riferimento ai gravi indizi di colpevolezza.
L’ipotesi accusatoria postula che COGNOME sia il mandante dell’agguato. Ma la motivazione è apodittica quando, in sostanza, afferma che il processo volitivo dell’indagato si sia evoluto dalla ideazione di “dare una lezione” alla vittima fino alla sua uccisione.
Dalla ricostruzione dei fatti, invece, non emergono elementi per affermare che COGNOME avesse commissionato l’agguato con l’uso di un’arma; peraltro, il coltello è stato utilizzato da Randazzo, con cui non è dimostrato che il ricorrente avesse avuto contatti. Tutt’al più, avrebbe potuto ipotizzarsi, anziché il concorso di cui all’art. 110 cod. pen., quello – c.d. anomalo – di cui all’art. 116 cod. pen.
2.2 Con il secondo motivo, deduce la mancanza e/o manifesta illogicità della motivazione con riferimento alle esigenze cautelari.
Lamenta, in particolare, che, sul punto, l’ordinanza impugnata si sia limitata a condividere le valutazioni espresse dal g.i.p. nell’ordinanza genetica.
Con requisitoria scritta trasmessa il 6.11.2024, il Sostituto Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso, osservando che il provvedimento impugnato è contrassegnato da motivazione contenente l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato e aggiungendo che non sono rilevabili illogicità evidenti, né errori in diritto. In particolare, la decision correttamente dedotto il consapevole coinvolgimento del ricorrente nella vicenda delittuosa dal doveroso coordinamento di plurimi elementi univocamente convergenti, depotenziando l’argomento dei limiti del mandato con riferimento alle espressioni utilizzate nei messaggi con COGNOME e desumendo l’animus necandi
dalle caratteristiche delle lesioni. Inoltre, il secondo motivo sulle esigenze cautelari è da considerarsi generico e manifestamente infondato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è complessivamente infondato e deve essere rigettato.
Quanto al primo motivo, deve premettersi che, in tema di misure cautelari personali, il ricorso per vizio di motivazione del provvedimento del tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza consente al giudice di legittimità, in relazione alla peculiare natura del giudizio ed ai limiti ch ad esso ineriscono, la sola verifica delle censure inerenti la adeguatezza delle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie e non anche il controllo di quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito (Sez. 2, n. 27866 del 17/6/2019, Rv. 276976 – 01; Sez. 2, n. 31553 del 17/5/2017, Rv. 270628 – 01).
L’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza è rilevabile in cassazione soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge ovvero nella mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato: il controllo di legittimità non concerne né la ricostruzione dei fatti, né l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e concludenza dei dati probatori (Sez. F, n. 47748 del 11/8/2014, Rv. 261400 – 01). Alla Corte spetta solo il compito di verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato e di controllare la congruenza della relativa motivazione rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. U, n. 11 del 22/3/2000, Rv. 215828 – 01; Sez. 4, n. 26992 del 29/5/2013, Rv. 255460 01).
Alla luce di questo consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, nel caso di specie è da ritenersi, operando un raffronto tra i passaggi dell’ordinanza impugnata riguardanti i gravi indizi di colpevolezza e le censure mosse alla motivazione del tribunale del riesame in punto di gravità indiziaria, che, in sostanza, il ricorso contenga non più che la prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito in modo non manifestamente illogico né contraddittorio.
L’obiettivo delle doglianze difensive non è tanto la individuazione di COGNOME come il mandante dell’aggressione a COGNOME, quanto piuttosto il fatto che
l’incarico di porre in essere una condotta offensiva nei confronti della vittima coprisse, sia pure alternativamente, anche l’evento morte.
L’ordinanza impugnata, in realtà, motiva in modo congruo in ordine a questo aspetto, con il riferimento al tenore testuale dei messaggi intercorsi, precedentemente e successivamente all’agguato, tra COGNOME e l’esecutore materiale COGNOME
Sotto questo profilo, l’obiezione secondo cui non ricorrono gravi indizi che il ricorrente avesse commissionato l’aggressione con l’uso di un’arma è ragionevolmente contraddetta dallo scambio di messaggi.
Per un verso, NOMECOGNOME appena prima dell’aggressione, incita COGNOME all’azione, utilizzando un termine il cui significato rimanda direttamente all’atto di uccidere o quantomeno di aggredire in modo così brutale e violento da poter cagionare la morte di chi ne sia fatto oggetto.
Per l’altro, il ricorrente – dopo che COGNOME e COGNOME hanno portato a compimento l’aggressione in termini nient’affatto dissimili da quelli evocati verbalmente da COGNOME appena prima dell’esecuzione – riceve il video della vittima sanguinante dal fianco destro e non si meraviglia affatto della circostanza, né si dissocia rimproverando gli esecutori di avere esorbitato dai limiti dell’incarico, ma anzi si congratula con COGNOME ed esprime compiacimento.
L’ordinanza, quindi, in modo del tutto rispettoso dei canoni della logica, considera il contegno di Majale come evidentemente non compatibile con il più limitato mandato di picchiare la vittima designata e ne fa adeguatamente discendere, sia pure allo stato attuale del procedimento, un giudizio di inverosimiglianza “delle giustificazioni tese a ridimensionare la gravità del fatto, escludendo di aver previsto l’uso del coltello”.
Il Tribunale, cioè, ha attribuito agli elementi di fatto presi complessivamente in considerazione un significato coerente e ha dato conto delle ragioni che l’hanno indotto, nella fase cautelare, ad affermare la sussistenza di una qualificata probabilità di colpevolezza dell’indagato in ordine al reato di tentato omicidio.
Di conseguenza, si deve ritenere – in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono – che l’ordinanza impugnata sia sorretta da una motivazione né contraddittoria né manifestamente illogica, che il ricorso, limitandosi in definitiva a contestare l’interpretazione che i giudici de riesame hanno assegnato alle risultanze investigative, non arriva a confutare.
Con il secondo motivo, relativo al profilo delle esigenze cautelari, è stato denunciato solo un vizio di motivazione, sicché opera il principio secondo cui, in sede di giudizio di legittimità, sono rilevabili esclusivamente i vizi argomentativi che incidano sui requisiti minimi di esistenza e di logicità del discorso motivazionale
svolto nel provvedimento e non sul contenuto della decisione (Sez. 6, n. 49153 del 12/11/2015, Rv. 265244 – 01). Il controllo di logicità deve rimanere all’interno del provvedimento impugnato e non è possibile procedere a una nuova o diversa valutazione dello spessore delle esigenze cautelari (Sez. 1, n. 1083 del 20/2/1998, Rv. 210019 – 01).
Ora, il ricorso lamenta alquanto genericamente che l’ordinanza impugnata difetti totalmente della motivazione sulle esigenze cautelari e, evidentemente sulla base di tale presupposto, si astiene dal muovere sul punto critiche specifiche al provvedimento.
Tuttavia, appare evidente che il ricorso non si confronti con l’ordinanza, la quale, sia pure premettendo di condividere le valutazioni del g.i.p. sul pericolo di reiterazione del reato, contiene, invece, specifiche giustificazioni circa la sussistenza delle esigenze cautelari, sia con riferimento alle modalità della condotta (“messa in atto con estrema ed allarmante disinvoltura e con assoluto disprezzo per l’incolumità e l’integrità delle persone”), sia con riferimento alla personalità dell’indagato (di cui stigmatizza “il facile ricorso alla violenza”).
Quanto, poi, alla scelta della misura, il tribunale richiama la oltremodo significativa circostanza che il fatto sia stato commesso mentre COGNOME era già sottoposto in altro procedimento alla misura degli arresti domiciliari, sicché la valutazione, operata nell’ordinanza, di inidoneità di una misura diversa da quella inframuraria a fronteggiare il rischio di recidivanza è assolutamente incensurabile.
Si tratta, quindi, di una motivazione provvista di indubbi requisiti di logicità, che in sede di legittimità non sono suscettibili di revisione o di rivisitazione ove, come nel caso di specie, l’iter argomentativo del provvedimento impugnato proceda in modo comprensibile e coordinato, così da far risultare accessibili i necessari passaggi che hanno giustificato la scelta della misura cautelare.
Anche questo motivo di ricorso, dunque, deve essere disatteso.
A quanto fin qui complessivamente osservato, consegue, pertanto, che il ricorso debba essere rigettato, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Giacché dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del ricorrente, si deve disporre ex art. 94, comma 1 -ter, disp. att. cod. proc. pen., che copia del provvedimento sia trasmessa, a cura della Cancelleria, al Direttore dell’Istituto penitenziario ove è attualmente ristretto Majale Leonardo.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processua Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 -ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 3.12.2024