Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 38 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 38 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 27/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato in Marocco il giorno 3/5/1992 rappresentato ed assistito dall’avv. NOME COGNOME di fiducia avverso la sentenza in data 19/4/2024 della Corte di Appello di Bologna visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
preso atto che non è stata richiesta dalle parti la trattazione orale del procedimento;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME COGNOME
letta la requisitoria scritta con la quale il Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME ha chiesto l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla sua mancata traduzione e disporsi la trasmissione degli atti alla Corte di appello di Bologna per l’ulteriore corso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 19 aprile 2024 la Corte di Appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza in data 7 febbraio 2024 emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale della medesima città, per la parte che in questa sede interessa, ha escluso l’aggravante dell’uso dell’arma da taglio contestata al
capo 2 della rubrica delle imputazioni e, dopo avere confermato nel resto l’affermazione della penale responsabilità di NOME in relazione a tutti i reati allo stesso ascritti, ha proceduto alla rideterminazione del trattamento sanzionatorio nei confronti dello stesso.
L’imputato è chiamato a rispondere di due fatti di concorso (con NOME Bar per il quale la decisione di condanna è già divenuta irrevocabile) in rapina aggravata ex artt. 110, 628, commi 1 e 3 n. 1, cod. pen., rispettivamente ai danni di NOME COGNOME (capo 1 della rubrica delle imputazioni commesso il 21 maggio 2023), ed ai danni NOME COGNOME e NOME COGNOME (capo 2 commesso il 22 maggio 2023), nonché del contestuale reato di lesioni volontaria aggravate ex artt. 582, 585 in relaz. all’art. 576 n. 1 cod. pen. ai danni della COGNOME (capo 3).
Ricorre per Cassazione avverso la predetta sentenza il difensore dell’imputato, deducendo con una serie articolata di motivi tra loro collegati e trattati unitariamente con riguardo ai motivi da 2 a 6:
2.1. Omessa traduzione della motivazione della sentenza di appello all’imputato detenuto alloglotta in relazione agli artt. 111, comma 3, Cost, 143 cod. proc. pen., 14, comma 3, del Patto Internazionale sui diritti civili e politici 6, par. 3 CEDU, con le conseguenze di cui all’art. 178, lett. c), cod. proc. pen.
2.2. Inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 628, comma 3, n. 1, cod. pen. e con riguardo ai capi 1 e 2 della rubrica delle imputazioni.
2.3. Inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale in tema di valutazione della prova in relazione all’art. 628, comma 3, n. 1, cod. pen. e con riguardo ai capi 1 e 2 della rubrica delle imputazioni ed ai criteri per l’identificazion dell’imputato come autore dei reati oltre che con riferimento all’art. 192 cod. proc. pen.
2.4. Erronea applicazione della legge penale in tema di valutazione dei fatt degli elementi processuali, delle prove poste a base della decisione impugnata in relazione all’art. 628, comma 3, n. 1, cod. pen. e con riguardo ai capì 1 e 2 della rubrica delle imputazioni ed ai criteri per l’identificazione dell’imputato come autore dei reati oltre che con riferimento all’art. 192 cod. proc. pen.
2.5. Mancanza o insufficienza della motivazione con riguardo all’art. 628, comma 3, n. 1, cod. pen. nei capi 1 e 2 dell’imputazione.
2.6. Manifesta illogicità della motivazione con riguardo ai capi 1 e 2 della rubrica delle imputazioni ed ai criteri per l’identificazione dell’imputato come autore dei reati oltre che con riferimento all’art. 192 cod. proc. pen.
Rileva parte ricorrente:
con riguardo all’aggravante delle più persone riunite e dell’uso dell’arma (limitatamente al reato di cui al capo 1) che le vittime hanno ricostruito solo successivamente le circostanze delle rapine non avendo dato conto nell’immediatezza di essere state aggredite da due persone e solo in sede di individuazione fotografica hanno riconosciuto l’odierno ricorrente, con la conseguenza che non sarebbe configurabile nel caso in esame la menzionata circostanza aggravante;
b) con riguardo ai criteri di valutazione delle prove osserva la difesa del ricorrente che l’imputato si è sempre professato innocente e che l’affermazione della penale responsabilità dello stesso sarebbe fondata esclusivamente su indizi che non assurgono al rango di prove con la conseguenza che i Giudici di merito non avrebbero fatto corretto uso dei criteri di cui all’art. 192 cod. proc. pen.
con riguardo alle modalità di identificazione dell’imputato non possono essere ritenute fonti affidabili le vittime stanti le modalità dei fatti (le stesse s state colpite alle spalle) e la suggestione indotta nel compiere le individuazioni fotografiche in relazione alle quali la qualità delle immagini non può fornire alcuna certezza circa l’identità delle persone ivi effigiate;
d) con riguardo alle condizioni dì salute dell’imputato, osserva la difesa del ricorrente che il COGNOME all’ingresso in carcere lamentava problemi ad una gamba e presentava deformità ai polsi per precedenti postumi di frattura oltre che essere dipendente dall’uso di farmaci, situazioni tutte che avrebbero reso difficile per lo stesso commettere le rapine delle quali è accusato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso nel quale si contesta la mancata traduzione all’imputato della sentenza di appello è manifestamente infondato.
Occorre, innanzitutto, evidenziare l’assoluta genericità di detto motivo di ricorso in quanto consistente nella mera indicazione dello stesso nell’epigrafe dell’atto di impugnazione senza che lo stesso sia poi stato in alcun modo sviluppato.
La giurisprudenza di questa Corte di legittimità è univoca nel ritenere che la mancata traduzione della sentenza nella lingua nota all’imputato alloglotto non configura un’ipotesi di nullità, conseguendone unicamente l’effetto del mancato decorso dei termini di impugnazione, poiché la traduzione integra una condizione di “efficacia” e non di “validità” dell’atto (Sez. 6, n. 40556 del 21/09/2022, COGNOME, Rv. 283965 – 01; Sez. 5, n. 22065, del 06/07/2020, COGNOME, Rv. 279447; Sez. 5, n. 10993 del 05/12/2019 dep.2020, Chanaa, Rv. 278883 – 01; Sez. 2, n. 45408
del 17/10/2019, COGNOME, Rv. 277775; Sez. 3, n. 3859 del 18/11/2015, COGNOME, Rv. 266086 – 01).
Del resto, si è chiarito che in attuazione delle previsioni contenute nella direttiva 2010/64/UE del Parlamento e del Consiglio del 20 ottobre 2010 sul diritto all’interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali, la formulazione testuale dell’art. 143, comma 2, cod. proc. pen. lascia chiaramente intendere che il diritto dell’imputato alla traduzione scritta dei principali atti del procedime (fra i quali viene dal legislatore espressamente ricompresa la sentenza) è direttamente finalizzato a consentire il concreto esercizio dei diritti e delle facolt della difesa, non a soddisfare, di contro, un’astratta esigenza di conoscenza dell’atto, altrimenti non spiegandosi la ragione per cui il legislatore l’abbia resa obbligatoria solo in relazione ad alcuni atti del procedimento e l’abbia prevista solo in favore dell’imputato, e non anche del condannato.
Detti principi sono stati ribaditi anche in tempi recentissimi da questa Corte di legittimità allorquando ha affermato che «La mancata traduzione della sentenza nella lingua nota all’imputato alloglotto che non conosce la lingua italiana non integra un’ipotesi di nullità ma, se vi sia stata specifica richiesta della traduzione, i termini per impugnare, nei confronti del solo imputato, decorrono dal momento in cui egli abbia avuto conoscenza del contenuto del provvedimento nella lingua a lui nota» (Sez. 6, n. 24730 del 13/03/2024, I., Rv. 286667 – 01).
L’odierno Collegio intende dare continuità all’indirizzo, invero prevalente e consolidato, secondo cui la mancata traduzione dell’atto non produce nessuna nullità (né assoluta, né a regime intermedio), dato che non è una condizione di validità dell’atto, ma di “efficacia” dello stesso.
La traduzione è solo funzionale a garantire l’esercizio consapevole del diritto di impugnazione da parte dell’imputato, diritto che nel caso in esame è comunque stato comunque e puntualmente esercitato.
Quanto appena affermato conforta l’iniziale valutazione di genericità del ricorso nel quale la difesa del ricorrente si è limitata solo ad eccepire una (come detto inesistente) nullità della sentenza impugnata per violazione del diritto di difesa e non ha spiegato, come avrebbe dovuto fare, quale pregiudizio ha subito l’imputato per effetto della predisposizione del ricorso per cassazione, né ha chiesto formalmente che si proceda alla traduzione della sentenza anche ai fine di una rimessione nei termini per impugnare.
A ciò sia aggiunge che la mancata conoscenza della lingua italiana da parte dell’imputato risulta comunque smentita sia dal fatto che lo stesso ha conferito mandato al proprio difensore in italiano per proporre il ricorso per cassazione, sia dal fatto della presenza in atti di una istanza manoscritta datata 23 luglio 2023 formulata sempre in lingua italiana e diretta al Magistrato di sorveglianza.
I motivi di ricorso di cui ai superiori paragrafi da 2.2 a 2.6 sono meritevoli di trattazione congiunta e sono tutti manifestamente infondati.
La sentenza della Corte di appello così come quella del G.i.p. che, salvo per la questione relativa alla circostanza aggravante dell’uso dell’arma da taglio in occasione della rapina di cui al capo 2 è da considerarsi quanto al decisum una c.d. “doppia conforme” tale da costituire un unico corpo argomentativo con la sentenza di appello – risultano essere adeguatamente e logicamente motivate in ordine alle ragioni per la quali si è addivenuti all’affermazione della penale responsabilità dell’imputato in relazione ai tutti i reati allo stesso contestati.
I Giudici di merito hanno compiutamente ricostruito i fatti-reato, hanno evidenziato come le persone offese di entrambe le rapine hanno affermato di essere state aggredite da due uomini che hanno agito in contestualità (situazione che consente di integrare senza ombra di dubbio la circostanza aggravante di cui all’art. 628, comma 3, n. 1 cod. pen.), hanno, poi evidenziato che:
la persona offesa COGNOME ha proceduto ad una positiva individuazione fotografica dell’odierno imputato;
l’imputato COGNOME è stato trovato in possesso, poco tempo dopo i fatti, di beni rapinati alla Hill;
l’identificazione dell’odierno ricorrente (e del complice COGNOME) è stata anche possibile anche attraverso la comparazione delle immagini di telecamere di videosorveglianza.
A fronte del granitico quadro probatorio la difesa del ricorrente, sotto il profilo del vizio di motivazione e dell’asseritamente connessa violazione di legge nella valutazione del materiale probatorio, tenta in realtà di sottoporre a questa Corte di legittimità un nuovo giudizio di merito.
Al Giudice di legittimità è infatti preclusa – in sede di controllo del motivazione – la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti e del relativo compendio probatorio, preferiti a quelli adottati dal giudi del merito perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell’ennesimo giudice del fatto, mentre questa Corte Suprema, anche nel quadro della nuova disciplina introdotta dalla legge 20 febbraio 2006 n. 46, è – e resta – giudice d motivazione.
In sostanza, in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducib censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto prob ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali
ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rig o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differ sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza pr del singolo elemento (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965).
Per le considerazioni or ora esposte, dunque, il ricorso deve es dichiarato inammissibile.
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente pagamento delle spese del procedimento nonché, ai sensi dell’art. 616 cod. pro pen., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissi emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186) al versamento della somma ritenuta equa di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento del spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 27 novembre 2024.