Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 32028 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 32028 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 25/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nato a Roma il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 19/01/2023 della Corte di appello di Roma letti gli atti, il ricorso e la sentenza impugnata; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME; udite le conclusioni del pubblico ministero in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito il difensore della parte civile, AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; udite le conclusioni del difensore AVV_NOTAIO, che ha chiesto
l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il difensore di NOME COGNOME ha proposto ricorso avverso la sentenza indicata in epigrafe con la quale la Corte di appello di Roma, in riforma della sentenza del Tribunale di Roma in data 20 marzo 2019, ha dichiarato non
doversi procedere nei confronti dell’imputato in ordine al reato di cui all’art. 388, secondo comma, cod. pen. perché estinto per prescrizione e ha confermato le statuizioni civili della sentenza appellata.
In primo grado l’imputato era stato ritenuto responsabile del reato di mancata esecuzione di un ordine del giudice per avere, in qualità di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, omesso di eseguire i lavori di consolidamento dell’edificio sito in Roma, INDIRIZZO, indicati nell’ordinanza cautelare del 13/11/2009, emessa su ricorso dei condomini e consistenti nell’installazione di 89 pali di sottofondazione, nella esecuzione di un intervento di precisione sulle facciate, di implementazione dell’impianto di monitoraggio esistente, di risarcitura di tutte le lesioni strutturali e di estensione dei lavor consolidamento per fasi successive. Era stato, inoltre, condannato a pagare una provvisionale di 10 mila euro in favore di ciascuna parte civile costituita, già versata dall’imputato, rimettendo al giudice civile la liquidazione del danno.
Premesso l’interesse dell’imputato ad evitare le conseguenze civili della sentenza impugnata, se ne chiede l’annullamento per i motivi di seguito illustrati.
1.1. Con il primo motivo denuncia la mancanza di correlazione tra imputazione e sentenza con conseguente erronea applicazione dell’art. 388, secondo comma, cod. pen.
Deduce che, sebbene secondo l’imputazione il reato risulti commesso in Roma fino al 10 aprile 2012, data di presentazione della querela, dalla quale la stessa Corte di appello fa decorrere il termine di prescrizione, nella motivazione vengono considerate condotte materiali successive poste in essere dalla società per ostacolare l’esecuzione dei lavori; si richiamano infatti, la relazione dell’ing COGNOME del 6 luglio 2015, la rinuncia della RAGIONE_SOCIALE del 10 dicembre 2015 e la relazione dell’AVV_NOTAIO COGNOME del 14 novembre 2017, sicché la condotta elusiva e ostruzionistica della RAGIONE_SOCIALE viene individuata in periodi di tempo successivi alla data del commesso reato, con conseguente violazione del principio espresso dall’art. 521 cod. proc. pen., atteso che la contestazione ha ad oggetto esclusivamente la condotta dalla data dell’ordinanza cautelare a quella di presentazione della querela.
La Corte di appello ha illegittimamente dilatato i tempi di realizzazione della condotta protrattasi nel tempo, ipotizzando una condotta permanente mai contestata, che, tuttavia, finisce per confermare la tesi difensiva, in quanto si dà atto che secondo il nuovo ctu AVV_NOTAIO COGNOME, l’originario progetto COGNOME era attuabile con le integrazioni e modifiche indicate successivamente, in tal modo confermando che la sospensione dei lavori era stata giustificata dalla valutazione dei suoi tecnici. Si segnala che laddove la NOME non avesse sospeso i lavori e chiesto la modifica progettuale, non si sarebbe giunti a definire il corretto
progetto di risanamento integrato del COGNOME, realizzato dal condominio con ditta diversa dalla RAGIONE_SOCIALE.
1.2. Con il secondo motivo denuncia la erronea applicazione dell’art. 388, secondo connma, cod. pen., per assenza della condotta tipica del reato.
Considerato che secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite (sentenza n. 36691 del 27/09/2007) il reato in oggetto non è integrato dal mero rifiuto di ottemperare ai provvedimenti giudiziali, tranne che nel caso in cui le prestazioni richieste necessitino del contributo indispensabile dell’obbligato, i lavori indicati nell’ordinanza cautelare non consistevano in un facere infungibile, sicché a seguito della sospensione dei lavori da parte della RAGIONE_SOCIALE il condominio ben avrebbe potuto affidare i lavori ad altra società, facendone gravare le spese sulla RAGIONE_SOCIALE, come poi di fatto avvenuto.
Si sostiene che la sospensione dei lavori e la decisione di intraprendere un’azione giudiziale per far modificare l’ordinanza cautelare non integra una condotta penalmente rilevante, costituendo piuttosto esercizio di un diritto; né il rifiuto della società di concludere i lavori ha impedito al condominio di individuare altra società che ha realizzato i lavori di consolidamento. Va infine, evidenziato che la complessa questione tecnica ha trovato la naturale soluzione nella sede propria civile, come risulta dal deposito della sentenza del 18 giugno 2018, che la Corte di appello ha valorizzato al solo fine di sottolineare che il Tribunale aveva condiviso le conclusioni dell’AVV_NOTAIO COGNOME, piuttosto che dare il giusto rilievo all’iniziativa della RAGIONE_SOCIALE, che aveva chiesto la modific dell’ordinanza cautelare rivelatasi non corretta.
1.3. Con il terzo motivo si sostiene che in base alla ricostruzione e alla produzione documentale nonché alla conclusione della vicenda in sede civile, la Corte di appello avrebbe dovuto emettere una sentenza di assoluzione perché il fatto non costituisce reato.
In via subordinata si chiede che, laddove non ritenuta evidente la prova dell’innocenza dell’imputato, ferma la dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione, vengano revocate le statuizioni civili, atteso che la società si è limitata ad esercitare il diritto di ricorrere al giudice civile, ove si è conclusa controversia insorta tra la società e il condominio con condanna nei confronti della società e del progettista in favore del Condominio, sicché non può trovare riconoscimento la pretesa risarcitoria delle parti civili costituite, atteso che condominio agisce nell’interesse dei condomini. La società, che sospese i lavori in base al parere tecnico degli ingegneri COGNOME e COGNOME, condiviso con il Direttore tecnico della società ingegner COGNOME e i legali della società, ha partecipato al giudizio civile e ha subito condanna nella sede naturale competente a definire la complessa vicenda urbanistica in esame.
1.4. Con successiva memoria il difensore ha prodotto la sentenza emessa da questa Corte nei confronti del coimputato NOME.
Il difensore della parte civile ha presentato una memoria con la quale contrasta i motivi di ricorso, sostenendo la infungibilità della prestazione dovuta e la configurabilità del reato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato nei limiti di seguito precisati.
È infondato il primo motivo per insussistenza della violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza.
E’ noto che per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa, sicché l’indagine volta ad accertare la violazione de principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l'”iter” del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (Sez. 3, n. 24932 del 10/02/2023, Gargano, Rv. 284846-04).
Tale principio è stato rispettato nel caso di specie, in quanto, benché siano state considerate condotte successive al 10 aprile 2012, data di presentazione della querela, indicata nel capo di imputazione come termine finale della condotta elusiva, la violazione di legge denunciata non è ravvisabile perché: a) non vi è mutamento del fatto né incertezza dell’accusa dalla quale l’imputato ha potuto difendersi e si è ampiamente difeso nel corso dei giudizi di merito; b) l’inottemperanza si era già realizzata alla data di presentazione della querela sia per il ritardo nell’esecuzione dell’ordinanza che per la sospensione dei lavori-; c) la considerazione delle condotte ostruzionistiche successive è solo ritenuta ulteriormente dimostrativa della inottemperanza e della protrazione della stessa, atteso che anche le vicende successive dimostravano che l’ordinanza cautelare, mai revocata, non era stata eseguita dalla RAGIONE_SOCIALE.
E’, invece, fondato il secondo motivo con il quale si denuncia la erronea applicazione dell’art. 388, secondo comma, cod. pen..
Il ricorrente ripropone la tesi della non configurabilità del reato, in particolare per la legittimità dell’iniziativa giudiziaria diretta a richiedere u modifica dell’ordinanza cautelare, ritenuta errata, e la fungibilità dell’attivi esecutiva. Fonda le censure sulla ricostruzione della vicenda contenuta in sentenza secondo la seguente sequenza: il 13/11/2009 fu emessa l’ordinanza cautelare; nell’ottobre 2011 iniziarono i lavori eseguiti dalla RAGIONE_SOCIALE, sospesi nel marzo 2012, in quanto, dopo l’installazione di 11 pali perimetrali e dopo aver eseguito monitoraggi per misurare le oscillazioni del palazzo, la società aveva comunicato al consulente tecnico di ufficio ed ai condomini di non voler proseguire nei lavori di installazione degli altri pali in quanto, secondo le relazioni dei propri tecnici e dei monitoraggi effettuati, detti ulteriori lavori potevan risultare addirittura dannosi; il condominio aveva presentato ricorso ex art. 669 duodecies cod. proc. civ. per segnalare l’inottemperanza all’ordinanza cautelare e presentato querela il 12 aprile 2012; la società aveva proposto, a sua volta, in data 4 maggio 2012 ricorso ex art. 669 decies cod. proc. civ. per chiedere la modifica dell’ordinanza cautelare, allegando le relazioni del progettista dei lavori ingegner COGNOME e dell’ingegner COGNOME, strutturista, che giustificavano l’interruzione dei lavori. I due procedimenti erano stati riuniti e, secondo la prospettazione del ricorrente, il nuovo consulente tecnico d’ufficio nominato aveva riconosciuto che il progetto del tecnico dell’impresa prevedeva lavori per fasi successive in base agli esiti dei monitoraggi, dichiarando di concordare con l’impostazione AVV_NOTAIO del progetto riguardo alla gradualità dell’intervento ed anche il Giudice civile nella sentenza 18/06/2018 aveva dato atto che la società non aveva mai contestato i vizi di costruzione né la propria responsabilità, essendosi limitata a non condividere le modalità attuative da eseguire nel rispetto dell’ordinanza cautelare, così escludendo la sussistenza dell’intento elusivo. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Tale prospettazione è stata respinta dalla Corte di appello che ha posto l’accento sulla condotta elusiva della società, che avrebbe dovuto provvedere in via d’urgenza all’installazione dei pali per stabilizzare l’edificio, a completarne l’infissione, anzi, avrebbe dovuto sostituirli perché risultati di dimensioni inferior a quelle stabilite per motivi di sicurezza, come indicato nell’ordinanza cautelare e riconosciuto dal Giudice civile nella sentenza prima indicata. La società, invece, non si era limitata a non ottemperare, ma aveva temporeggiato, tenuto una condotta elusiva e pretestuosamente ostruzionistica, continuando a non adempiere, trincerandosi dietro il parere dei propri tecnici e continuando a dichiararsi disponibile ad eseguire i lavori, salvo poi rifiutarsi ed indurre condominio ad incaricare altra ditta di eseguire i lavori di consolidamento.
La Corte di appello ha, quindi, respinto la giustificazione addotta dal ricorrente, rilevando che la soluzione del tecnico di parte non era stata confermata dal CTU nominato dal Giudice civile, che aveva, invece, escluso l’assestamento dell’edificio e rilevato che i cedimenti dell’impianto di fondazione erano progressivi e ancora in atto, così smentendo la tesi del tecnico di parte, ritenendo necessari monitoraggi ed interventi progressivi con il procedere dei cedimenti differenziali in altre zone dell’edificio (pag. 6-7). La sentenza affronta anche il tema della pretestuosità dell’inadempimento e della fungibilità dell’attività esecutiva (pag. 8), evidenziando che la società continuò ad assumere l’incarico di eseguire i lavori anche dopo il provvedimento del giudice civile in data 15/10/2013, che confermava l’ordinanza cautelare del 13/11/2009, anziché rifiutare e non formulare la propria offerta per eseguire lavori, non consigliati dal proprio tecnico.
Ciò posto, la motivazione risulta insufficiente e contraddittoria su un punto decisivo ovvero sulla infungibilità dell’attività esecutiva, in quanto pur ammettendo che i lavori potevano essere eseguiti da altra ditta, come poi di fatto avvenne, si reputa prevalente la pretestuosa sospensione dei lavori.
Considerato che secondo l’orientamento giurisprudenziale ormai consolidato il mero rifiuto di ottemperare ai provvedimenti giudiziali previsti dall’articolo 388, comma secondo, cod. pen. non costituisce comportamento elusivo penalmente rilevante, a meno che l’obbligo imposto non sia coattivamente ineseguibile, richiedendo la sua attuazione la necessaria collaborazione dell’obbligato, poiché l’interesse tutelato dall’art. 388 cod. pen. non è l’autorità in sé delle decisioni giurisdizionali, bensì l’esigenza costituzionale di effettività della giurisdizione (Sez. U, n. 36692 del 27/09/2007, COGNOME, Rv. 236937; Sez. 6, n. 11952 del 01/02/2017, COGNOME, Rv. 269644; Sez. 6, n. 16398 del 22/03/2016, COGNOME, Rv. 266797), la sentenza non si è conformata a tale principio e non ha reso una congrua risposta alle censure difensive in ordine alla configurabilità del reato.
Anche l’ultimo motivo è infondato, non emergendo dagli atti in termini di “evidenza”, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244275), elementi per pervenire ad una pronuncia assolutoria nel merito; né il ricorrente ha indicato da quali elementi emerga, con attività di mera constatazione, la prova della sua innocenza, nonostante egli stesso ammetta, contraddittoriamente, la complessità tecnica della vicenda.
Ne consegue che, ferma l’intangibilità dell’esito del giudizio penale, non rivedibile ai fini civili dal giudice di legittimità, il profilo della responsabilità non è sorretto da adeguata motivazione.
Per le ragioni esposte ai sensi dell’art. 622 cod. proc. pen. la sentenza impugnata va annullata con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello, che provvederà a colmare le lacune motivazionali rilevate.
P. Q. M.
Visto l’art. 622 cod. proc. pen., annulla la sentenza impugnata e rinvia al giudice civile competente per valore in grado di appello.
Così deciso, 25 giugno 2024