Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 6258 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 6258 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato il DATA_NASCITA a Roma
avverso la sentenza in data 21/06/2023 della Corte di appello di Roma visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico ministero in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito l’AVV_NOTAIO, per le parti civili, che si è riportato alle note di udienz depositando conclusioni e nota spese;
udito il difensore, AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 21/06/2023 la Corte di appello di Roma, in riforma di quella del Tribunale di Roma in data 11/06/2019, a seguito di appello del P.m. e della parte civile NOME COGNOME, ha riconosciuto la penale responsabilità di NOME COGNOME in ordine al reato di cui all’art. 388, comma primo, cod. pen., così
riqualificato il fatto contestato come tentata truffa, dal quale l’imputato era stat assolto in primo grado. La Corte territoriale ha inoltre condannato COGNOME a risarcire il danno cagionato alle parti civili NOME COGNOME, RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, liquidando in loro favore una provvisionale.
Ha proposto ricorso COGNOME tramite il suo difensore.
2.1. Con il primo motivo denuncia violazione di legge in relazione agli artt. 521 e 522 cod. proc. pen.
Erroneamente la Corte aveva ritenuto che il fatto contestato come tentata truffa, potesse essere riqualificato ai sensi dell’art. 388, comma primo cod. pen., benché si trattasse di reati che offendono beni giuridici diversi e tra i quali intercorre un rapporto di eterogeneità.
Inoltre sarebbe stato necessario che la contestazione contenesse tutti gli elementi del reato ritenuto, mentre in concreto era oggetto di contestazione il fatto della creazione di un finto debito nei confronti di COGNOME, oltre che quello di un occultamento catastale dell’intestazione di due immobili, poi giuridicamente escluso, mentre la Corte aveva dovuto a ciò aggiungere sia i contegni che avevano impedito l’esecuzione dei provvedimenti giudiziari sia questi ultimi, all’elusione dei quali era finalizzata la condotta fraudolenta, mai specificamente contestati, non facendosi menzione del pignoramento delle quote societarie e del quinto della pensione nonché dell’ipoteca sugli immobili e neppure della vicenda giudiziaria dal cui esito negativo per il ricorrente era derivata la necessità di agire in modo fraudolento, fermo restando che nella contestazione si faceva riferimento a COGNOME mentre in sentenza si dava conto di azioni da parte di terzi.
Erroneamente, inoltre, si era presupposto che tutte le azioni esecutive attuate da COGNOME si fondassero sul fittizio rapporto debitorio basato su titoli retrodatati mentre ciò riguardava la sola iscrizione ipotecaria e non le altre azioni esecutive.
Segnala il ricorrente come indebitamente fosse stata esclusa l’ipotesi di una riqualificazione a sorpresa in ragione dell’appello della parte civile, che prospettava in subordine la riqualificazione, posto che l’appello del P.m. era volto alla condanna per il reato di tentata truffa e che l’impugnazione della parte civile non aveva rilievo agli effetti penali.
2.2. Con il secondo motivo denuncia violazione di legge in relazione agli artt. 122 cod. pen. e 336 cod. proc. pen.
Erroneamente la Corte, in presenza di un’unica querela presentata da COGNOME, aveva ritenuto che la stessa fosse valida anche a vantaggio delle due società, quando in realtà avrebbe dovuto escludersi l’applicabilità dell’art. 122 cod. pen. in un caso in cui una sola azione aveva comportato più lesioni della stessa disposizione di legge, ledendo soggetti distinti nel quadro di un concorso formale.
Nel caso in esame i lodi arbitrali erano diversi ed emessi a vantaggio di soggetti distinti, tra i quali COGNOME in favore del quale erano state liquidate spese legali, non potendo operare la querela del predetto a vantaggio delle due società.
Quanto poi alla querela di NOME, avrebbe dovuto verificarsi se al momento della sua presentazione il reato fosse stato consumato, ciò che non avrebbe potuto dirsi alla data del luglio 2016, in quanto NOME non aveva presentato alcuna richiesta di adempimento seppur informale.
2.3. Con il terzo motivo denuncia violazione di legge per l’insussistenza del delitto ravvisato.
Il reato di cui all’art. 388, comma primo, cod. pen. richiede che oltre al compimento di atti fraudolenti e all’esistenza di un provvedimento dell’Autorità giudiziaria, ricorra anche l’elemento dell’inottemperanza alla richiesta di adempimento, occorrendo che l’agente abbia avuto piena e puntuale conoscenza del provvedimento sulla base di una precisa intimazione.
Ma la Corte non aveva indicato in che modo gli elementi costitutivi si sarebbero realizzati: anche a prescindere dal profilo della condizione di procedibilità, non vi era agli atti la prova che COGNOME avesse portato a conoscenza il ricorrente dei due lodi arbitrali risalenti al gennaio e novembre 2016 e che ne avesse chiesto l’adempimento, non rilevando che nel gennaio 2017 fosse stato notificato atto di precetto della società RAGIONE_SOCIALE, posto che l’inottemperanza avrebbe potuto riferirsi al credito di tale società, che peraltro non aveva sporto querela.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
Al fine di stabilire se la sentenza si correli o meno alla contestazione non è sufficiente stabilire un confronto letterale, in quanto il tema investe essenzialmente il diritto di difesa, che può dirsi menomato solo quando si determini una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta, nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, COGNOME, Rv. 248051; Sez. 3, n. 24932 del 10/02/2023, Gargano, Rv. 284846).
In tale prospettiva si è rilevato che il difetto di correlazione è ravvisabil allorché il reato ritenuto si ponga in rapporto di eterogeneità rispetto a quello contestato, «ovvero quando il capo d’imputazione non contenga l’indicazione degli elementi costitutivi del reato ritenuto in sentenza, né consenta di ricavarli in via induttiva, tenendo conto di tutte le risultanze probatorie portate a conoscenza
dell’imputato e che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione» (Sez. 2, n. 21089 del 29/03/2023, Saracino, Rv. 284713): a ben guardare tale principio si raccorda a quanto già rilevato nella citata sentenza delle Sezioni Unite, allorché si fa in essa riferimento al concreto iter processuale e alla possibilità per l’imputato di confrontarsi con tutti gli elementi costitutivi del reato in concreto ritenuto.
Contrariamente agli assunti difensivi non rileva una comparazione tra sentenza e contestazione sul piano statico, ma deve attribuirsi rilievo alla dinamica processuale, che sola consente di stabilire se il fatto ritenuto sia comunque riconducibile alla vicenda che ha formato oggetto di contestazione, letta alla luce di tutti gli elementi sui quali l’imputato ha avuto la concreta possibilità difendersi.
E’ allora agevole concludere che dalla contestazione incentrata sulla creazione di una mera apparenza di debito del ricorrente nei confronti di COGNOMECOGNOME volta ad assicurare l’ingiusto profitto riveniente dalla possibilità di sottrarsi all’escussion di crediti dovuti alle società di cui il ricorrente era stato amministratore, era gi desumibile un’azione fraudolenta correlata all’esazione di crediti riferibili alle società, fermo restando che lo sviluppo del processo aveva incontestabilmente posto in relazione quei crediti ai lodi arbitrali, dai quali era derivata la liquidazio di cospicue somme in favore dei creditori, e la concreta incidenza della contestata azione fraudolenta, tale da impedire l’utile aggressione di beni riferibili a ricorrente: si tratta di un quadro pienamente in linea con i citati arresti giurisprudenziali alla cui stregua il fatto contestato e delineato alla luce della dinamica processuale era tale da assicurare una completa risposta in chiave difensiva.
D’altro canto va rimarcato come la riqualificazione nel reato di cui all’art. 388, comma primo, cod. pen., pienamente in linea con gli elementi di fatto valorizzati, non possa dirsi avvenuta a sorpresa, ciò in quanto l’appello della parte civile aveva specificamente dedotto il tema, in alternativa a quello della tentata truffa originariamente contestata, così allargando il confronto anche in quella direzione, fermo restando che l’azione civile muove pur sempre da un fatto illecito rilevante ai sensi dell’art. 2043 cod. civ. (cfr. Corte cost. n. 182 del 2021), che deve formare oggetto di accertamento in relazione al contenuto di quanto contestato agli effetti penali, così determinandosi una commistione dei profili di responsabilità.
Né rileva che con motivo aggiunto la parte civile avesse in ulteriore alternativa prospettato anche l’ipotesi dell’appropriazione indebita, in quanto non si trattava comunque di generico riferimento a fattispecie alternative, ma di specifica indicazione di elementi normativamente valutabili e aperti al confronto con le parti processuali.
2. E’ però fondato il secondo motivo.
La Corte, pur a fronte di un’unica querela sporta da NOME COGNOME, ha ritenuto che sussistesse la condizione di procedibilità anche a vantaggio delle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, in ragione di quanto previsto dall’art. 122 cod. pen. secondo cui «il reato commesso in danno di più persone è punibile anche se la querela è proposta da una soltanto di esse».
Orbene, il reato di cui all’art. 388, comma primo, cod. pen., ricorre allorché il soggetto intenda sottrarsi agli obblighi nascenti da un provvedimento dell’autorità giudiziaria o dei quali è incorso l’accertamento e compia atti simulati o fraudolenti sui propri o sugli altrui beni o compia altri fatti fraudolenti, sempreché non ottemperi all’ingiunzione di eseguire il provvedimento.
Ferma restando la necessità di un’azione simulata o fraudolenta, correlata almeno ad un accertamento in corso (Sez. 6, n. 58413 del 02/10/2018, COGNOME, Rv. 2750381), azione che può consistere in un unico atto o in una pluralità di azioni destinate a realizzare il medesimo risultato (Sez. 6, n. 21534 del 13/02/2018, COGNOME, Rv. 272931), ciò che vale ad integrare il reato è l’inottemperanza all’ingiunzione di eseguire il provvedimento, essendo a tal fine «necessario e sufficiente che vi sia stata una richiesta di adempimento (o una messa in mora), anche informale, purché si tratti di intimazione che sia precisa e non equivoca, rigorosamente provata anche quanto alla sua ricezione da parte del debitore» (Sez. 6, n. 51218 del 01/07/2014, Carletti, Rv. 261665).
Ciò significa che il reato è correlato al provvedimento e all’ingiunzione volta a darvi esecuzione in relazione al suo contenuto, ingiunzione che deve provenire dal soggetto che vanta il diritto accertato e rimasto inosservato.
Ma in tale prospettiva risulta evidente che ciascun creditore può e deve attivarsi per formulare l’ingiunzione, risultando persona offesa per la sua parte, con la conseguenza che l’inottemperanza va commisurata al provvedimento e al credito e con essa la configurabilità del reato.
Su tali basi deve prendersi atto che non rileva il disposto dell’art. 122 cod. pen., in quanto non è ravvisabile un unico reato con una pluralità di persone offese, ma sono ravvisabili diverse inottemperanze correlate per giunta a provvedimenti diversi, il primo del gennaio 2016 e il secondo del novembre 2016.
Vale dunque il diverso principio per cui l’art. 122 cod. pen. non opera nel caso in cui con unica azione siano compiuti più reati, riconducibili ad un concorso formale (Sez. 5, n. 57027 del 22/10/2018, Sordoni, Rv. 274399), fermo restando che nel caso di specie, diversi, come rilevato, sono altresì i provvedimenti, rispetto ai quali era rilevante la rispettiva ingiunzione.
Da ciò discende che, in presenza dell’unica querela sporta da NOME COGNOME, non risulta procedibile il reato commesso in danno delle due società, imponendosi
dunque l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata in parte qua, perché l’azione penale non poteva essere esercitata.
Relativamente alla posizione residua di NOME COGNOME, unico querelante, non rileva la data della querela, a fronte di un lodo arbitrale già emesso, fermo restando che il reato può svilupparsi in progress con reductio ad unum degli atti posti in essere.
Tuttavia, nella ricostruzione operata dalla Corte non si dà specificamente conto dell’ingiunzione formulata al fine dell’ottemperanza del ricorrente al pagamento della somma per spese, riconosciuta in favore del querelante, costituitosi parte civile.
Tenendo conto della struttura della fattispecie, come sopra delineata, deve dunque ritenersi carente l’analisi del fatto, imponendosi per questa parte l’annullamento della sentenza impugnata, perché in sede di rinvio si verifichi la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi, compresa l’almeno informale ma precisa ingiunzione correlata al credito vantato da COGNOME.
P. Q. M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata quanto ai reati commessi in danno delle società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, perché l’azione penale non poteva essere esercitata per difetto di querela.
Annulla la sentenza impugnata quanto al reato in danno di NOME con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Roma.
Così deciso il 23/01/2024