Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 4928 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 4928 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a TARANTO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 20/02/2023 della CORTE APPELLO SEZ.DIST. di TARANTO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME: Lette le conclusioni scritte per l’udienza senza discussione orale (art. 23 co. 8 d 137/2020 conv. dalla I. n. 176/2020, come prorogato ex art. 16 d.l. 228/21 conv. co modif. dalla 1.15/22 e successivamente ex art. 94, co. 2, del d.lgs. 10 ottobre 202 150, come sostituito prima dall’art. 5-duodecies della I. 30.12.2022, n. 199, di conversione in legge del d.l. n. 162/2022) e poi dall’art. 17 del D.L. 22 giugno 20 conv. con modif. dalla I. 10.8.2023 n. 112, del P.G., in persona del Sost. Proc. Gen
NOME, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 20/2/2023 la Corte di Appello di Lecce Sez. Dist. di Taranto ha confermato la sentenza con cui il 26/1/2022 il GUP del Tribunale di Taranto, all’esito di giudizio abbreviato, aveva condannato l’odierno ricorrente NOME COGNOME, ritenuta la circostanza attenuante di cui all’art. 590 bis, co., 7 cod. pen., applicata la diminuente del rito, alla pena di un mese di reclusione avendolo riconosciuto colpevole del reato di cui di cui all’art. 590 bis cod. pen. perché alla guida dell’autocarro TARGA_VEICOLO targato TARGA_VEICOLO, percorrendo la INDIRIZZONardò, omettendo di osservare quanto prescritto dagli artt. 140, 141, 148, 149 del Codice della Strada, investiva Gentile NOME, il quale lo precedeva nella marcia a bordo di una bicicletta, scaraventandolo a circa quattro metri e cagionandogli lesioni personali che ne comportavano il ricovero con riserva di prognosi e che venivano successivamente giudicate guaribili in 60 giorni. In agro di Avetrana (TA) il 4/8/2020.
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, il COGNOME deducendo, quale unico motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, co. 1, disp. att., cod. proc. pen. violazione degli articoli 464 bis, co. 2, 3 e 5 e 464 quater, co. 1, 2 e 4 c.p., nonché degli articoli 173, co. 1 e 125 co. 1 cod. proc. pen. ed illogicità della motivazione in punto di omessa sospensione del procedimento per messa alla prova.
Il ricorrente ricorda che, ritualmente, aveva tempestivamente proposto richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova nell’atto di opposizione al decreto penale di condanna, manifestando la volontà di accesso al beneficio per mezzo di procuratore speciale, così come disposto dall’articolo 464 bis commi 2 e 3 cod. proc. pen. E che il giudice di primo grado abbia erroneamente disatteso tale richiesta non è circostanza contestata, dal momento che la Corte di Appello, all’esito della camera di consiglio del 12/12/2022, «rilevato che il programma di trattamento allegato alla richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato risaliva all’11.3.2021 e ritenuto necessario verificare se le prescrizioni comportamentali e attinenti al lavoro di pubblica utilità nonché l’attività volta a promuovere la mediazione con la persona offesa, ivi previste fossero ancora applicabili, onerava l’imputato di depositare in cancelleria, entro e non oltre il 13.2.2023, il programma di trattamento con le eventuali modifiche, ove necessarie» (pag. 2 della motivazione della sentenza di appello), così avallando la tesi difensiva circa l’applicabilità dello strumento processuale richiesto.
Il modus operandi seguito dalla Corte territoriale, tuttavia, sarebbe irrituale e illegittimo.
A norma dell’art. 464 bis co. 5 cod. proc. pen., al fine di decidere sulla concessione, nonché ai fini della determinazione degli obblighi e delle prescrizioni cui eventualmente subordinarla, il giudice può acquisire, tramite la polizia giudiziaria, i servizi sociali, o altri enti pubblici, tutte le ulteriori informazioni ritenute ne sarie in relazione alle condizioni di vita personale, familiare, sociale ed economica dell’imputato che non siano già evincibili dal programma di trattamento allegato all’istanza ai sensi del quarto comma del medesimo articolo.
È altresì prescritto che tali ulteriori informazioni acquisite d’ufficio debbano essere portate a conoscenza del pubblico ministero e del difensore dell’imputato.
Se la Corte territoriale, dunque, avesse voluto integrare il programma già tempestivamente e ritualmente depositato dall’istante, avrebbe dovuto attivare i propri poteri, non già per imporre all’imputato il compimento di ulteriori attività, bensì per richiedere alla polizia giudiziaria, ai servizi sociali o ad altri enti pubbl (art. 464 bis, co. 5, cod. proc. pen.) le informazioni mancanti.
L’imputato, avendo formulato tempestivamente e compiutamente l’istanza di sospensione del procedimento con messa alla prova, doveva, pertanto, ottenere in risposta un’ordinanza di accoglimento o di rigetto.
Solo laddove le informazioni rese al momento della formulazione dell’istanza fossero state carenti, il giudice – in questo caso la Corte – avrebbe potuto e dovuto integrare ex officio il compendio di notizie già acquisite.
Nel caso che ci occupa, invece, la Corte territoriale ha emesso dapprima, un’ordinanza con la quale onerava l’imputato di compiti espressamente riservati al giudice dal citato quinto comma dell’art. 464 bis cod. proc. pen., poi, a pag. 2 della motivazione della sentenza ha dichiarato destituito di fondamento il primo motivo di appello sostenendo che «la condotta processuale dell’imputato il quale ha disatteso l’ordinanza della Corte contattando solo in data 6 febbraio 2023 l’ufficio locale di esecuzione penale competente per la predisposizione del programma di trattamento, ha rivelato disinteresse all’eventuale ammissione alla messa alla prova. Il difensore, peraltro, non ha insistito nella richiesta di sospensione del processo confermando, di fatto, l’indisponibilità del COGNOME a sottoporsi a qualsiasi prescrizione o programma trattamentale.
Il difensore ricorrente, invece, eccepisce che il proprio assistito ha ritualmente posto in essere, per il tramite del proprio procuratore speciale, tutte le attività richieste dalla legge processuale al fine di accedere alla messa alla prova.
Sarebbe del tutto illogica la motivazione deila sentenza nella parte in cui si evidenzia che il difensore non avrebbe ribadito la richiesta di sospensione del processo. Tale richiesta, infatti, era già stata riportata nell’atto di appello di cui chiedeva l’accoglimento e, pertanto, doveva ritenersi “coltivata” sino all’esito del secondo grado di giudizio.
Se la Corte, avesse ritenuto opportuno verificare la volontarietà della richiesta avrebbe dovuto disporre la comparizione dell’imputato, proprio come previsto dall’art. 464 quater, co. 2, cod. proc. pen.
Peraltro, così procedendo, la Corte sarebbe incorsa in ulteriori violazioni di legge.
Da un lato, infatti, si è preteso di stabilire «a pena di decadenza» il deposito del programma di trattamento «entro e non oltre il 13 febbraio 2023». Statuizione questa in palese contrasto con l’articolo 173 co. 1 cod. proc. pen. secondo cui i termini si considerano stabiliti a pena di decadenza soltanto nei casi previsti dalla legge. Dall’altro lato, la Corte territoriale avrebbe dovuto pronunciarsi sulla necessità di integrazione e/o modifica del programma di trattamento con ordinanza, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 125 co. 1, 464 bis co. 5 e 464 quater commi 1 e 4. Allo stesso modo avrebbe dovuto, sempre con ordinanza, disporre la comparizione dell’imputato, al fine di verificare la persistente volontarietà della richiesta da parte dello stesso. Invece, come già rilevato, ha dapprima utilizzato impropriamente lo strumento dell’ordinanza per «concedere» all’imputato un termine a pena di decadenza; poi, ha impropriamente deciso sull’istanza di messa alla prova in sentenza, apoditticamente affermando «l’indisponibilità del COGNOME a sottoporsi a qualsiasi prescrizione o programma trattamentale».
Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.
Il PG presso questa Corte ha reso le conclusioni scritte riportate in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non è manifestamente infondato in quanto effettivamente, come lamenta il ricorrente, la Corte territoriale, a fronte di un programma comunque depositato, anche se ormai non più attuale, avrebbe potuto acquisire, a norma dell’art. 464 bis co. 5 cod. proc. pen., al fine di decidere sulla concessione della messa alla prova, nonché ai fini della determinazione degli obblighi e delle prescrizioni cui eventualmente subordinarla, tramite la polizia giudiziaria, i servizi sociali, o altri enti pubblici, tutte le ulteriori informazioni ritenute necessarie in relazio alle condizioni di vita personale, familiare, sociale ed economica dell’imputato che non fossero già evincibili dal programma di trattamento allegato all’istanza.
Se la Corte territoriale, dunque, avesse voluto integrare il programma già tempestivamente e ritualmente depositato dall’istante, avrebbe dovuto attivare i propri poteri, non già per imporre all’imputato il compimento di ulteriori attività.
In ogni caso, l’imputato, avendo formulato tempestivamente e compiutamente l’istanza di sospensione del procedimento con messa alla prova, doveva ottenere in risposta un’ordinanza di accoglimento o di rigetto.
La non infondatezza del ricorso impone di valutare l’applicabilità al reato, qualificato come nella sentenza impugnata, definitiva sul punto, del regime di procedibilità introdotto dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 laddove la novella legislativa ha aggiunto all’art. 590 bis cod. pen. l’ultimo comma (il nono), secondo cui «il delitto è punibile a querela della persona offesa se non ricorre alcuna delle circostanze aggravanti previste dal presente articolo»
Questa Corte ha in più occasioni affermato che «nel giudizio di legittimità, l’inammissibilità del ricorso, impedendo la costituzione del rapporto processuale, preclude la considerazione della mancata proposizione della querela in relazione a reati per i quali sia stata introdotta, nelle more del ricorso, tale forma di procedibilità dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, sicché non è necessario attendere il decorso del termine di tre mesi dall’entrata in vigore del citato d.lgs. per l’eventuale esercizio dell’istanza punitiva» (Sez. 4, n. 2658 del 11/01/2023, Rv.284155; conforme Sez, 5. n. 5223 del 17/01/2023).
Il presente ricorso, però, per le considerazioni espresse sub 1., è ammissibile, e pertanto deve affermarsi la necessità di verificare la sussistenza della querela per dichiarare la perseguibilità del reato ritenuto sussistente.
Ebbene, dal controllo degli atti contenuti nel fascicolo, consentito a questa Corte per risolvere questioni di natura processuale, non risulta presente alcuna querela sporta dalla persona offesa, che nemmeno risulta costituita parte civile.
L’art. 85 d.lgs. n. 150/2022, contenente le disposizioni transitorie in materia di modifica del regime di procedibilità, ha stabilito che: «Per i reati perseguibili a querela della persona offesa in base alle disposizioni del presente 3 decreto, commessi prima della data di entrata in vigore dello stesso, il termine di presentazione della querela decorre dalla predetta data, se la persona offesa ha avuto in precedenza notizia del fatto costituente reato». Qualora per il reato divenuto procedibile a querela sia stata applicata ad un soggetto una misura cautelare, il termine diventa ancora più breve, essendo limitato a venti giorni, ma, in tal caso, il secondo comma dell’art. 85 cit. stabilisce che «l’autorità giudiziaria effettua ogni utile ri cerca della persona offesa».
In casi come quello che ci occupa, dunque, il legislatore non ha previsto alcun onere di avviso alla persona offesa del mutato regime di procedibilità del reato di cui è vittima, al fine di consentirle di valutare se presentare querela o meno, ed ha stabilito un termine per la sua presentazione legato esclusivamente all’entrata in vigore della nuova normativa. Il diverso onere attribuito all’autorità giudiziaria, nel caso che vi sia un indagato o imputato sottoposto a misura cautelare, dimostra che la disposizione di cui al primo comma dell’art. 85 legge cit. è stata determinata da una precisa volontà di semplificazione delle procedure. Non è previsto neppure
un onere, a carico dell’autorità giudiziaria, di informarsi, presso gli organi di procura o gli uffici di polizia giudiziaria, in merito alla eventuale, sopravvenuta presentazione di querela nel termine sopra indicato.
Nemmeno è dovere dell’Autorità Giudiziaria disporre ricerche circa l’esistenza di una querela o di sollecitarne l’acquisizione, e tanto meno di disporre l’assunzione di informazioni presso la persona offesa, in merito alla volontà punitiva eventualmente manifestata.
Pertanto, il decorso del termine di novanta giorni dall’entrata in vigore del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, senza che questa Autorità giudiziaria procedente abbia ricevuto la prova dell’avvenuta presentazione della querela, impone, per effetto della modifica del regime di procedibilità del reato introdotta dal citato d.lgs. l’immediata declaratoria di improcedibilità per mancanza di querela (Sez. 1, n. 31451 del 07/06/2023 Rv. 284841 – 01).
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il reato è estinto per mancanza di querela.
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Il Presidente