Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 1781 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 1781 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/12/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
Asukpoghodo Uyi
Igbinovia COGNOME
Okunmwedia Osahon Gift
nato in Nigeria il 17/02/1988
nato in Nigeria il 03/02/1979
nato in Nigeria il 23/03/1983
avverso la sentenza del 09/06/2023 della Corte di appello di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico ministero, in persona della Sostituta Procuratrice generale NOME COGNOME che ha chiesto la inammissibilità di tutti i ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 9 giugno 2023 la Corte di appello di Napoli, rilevata la estinzione per prescrizione di due reati, rideterminava le pene inflitte a COGNOME e COGNOME NOME COGNOME confermando l’affermazione della loro colpevolezza per i reati di rapina e tentata estorsione in danno di NOME COGNOME ascritti a COGNOME e COGNOME ai capi 2) e 6),
e per quello di tentata estorsione in danno di NOME COGNOME contestato al capo 12) a Igbinovia e Asukpoghodo.
Hanno proposto ricorso gli imputati, a mezzo dei rispettivi difensori, chiedendo l’annullamento della sentenza.
Il ricorso proposto nell’interesse di COGNOME è articolato in tre motivi.
3.1. Violazione della legge penale processuale, con riferimento agli artt. 178, 453 e 454 cod. proc. pen.
Il G.i.p., prima di disporre il giudizio immediato, avrebbe dovuto motivare specificamente sul requisito della evidenza probatoria, in relazione al quale il termine di novanta giorni per lo svolgimento delle indagini deve ritenersi perentorio.
Il giudice dibattimentale, a fronte di un giudizio disposto in violazione dei termini previsti per la richiesta che accelera il rito da parte dell’accusa (con un “abuso dell’atto processuale”), avrebbe dovuto dichiarare la nullità del decreto ex art. 456 cod. proc. pen. e restituire gli atti al Pubblico ministero, essendo stato violato il diritto d’intervento dell’imputato, privato della possibilità di mettere i discussione il presupposto del rito.
3.2. Violazione di legge (art. 192 cod. proc. pen.) in ordine alla ritenuta credibilità e attendibilità della persona offesa, il cui narrato in dibattimento è stato contraddittorio e confuso.
I giudici di merito non hanno valutato con cautela le sue dichiarazioni, pur avendo due testi confermato i motivi di astio fra la stessa e l’imputato.
3.3. Vizio della motivazione sull’affermazione di responsabilità per il reato di tentata estorsione di cui al capo 12).
La sentenza pecca di una “sintesi motivazionale incoerente rispetto alle emersioni dibattimentali” e ha omesso di rispondere adeguatamente alle doglianze difensive, avuto particolare riguardo allo iato creatosi tra il costrutto accusatorio incentrato sull’azione compiuta nel reato-fine inscindibilmente collegata alla esistenza di un’associazione di tipo mafioso, esclusa già dal giudice di primo grado, e le conclusioni, prive di un supporto motivazionale concreto e autonomo rispetto al reato-mezzo.
Il ricorso di COGNOME lamenta violazione di norme processuali (artt. 178, 453 e 454 cod. proc. pen.) e vizio della motivazione per ciascuno dei tre capi in relazione ai quali l’imputato è stato condannato.
4.1. Nel primo motivo vi sono argomentazioni analoghe a quelle già indicate illustrando il precedente ricorso.
Il mancato rispetto del termine previsto dall’art. 454 cod. proc. pen. per la formulazione della richiesta di giudizio immediato ha rilievo sia come insussistenza di un presupposto necessario ai fini della corretta instaurazione del giudizio immediato sia come elemento negativo dell’evidenza della prova, conclamato nel caso di specie dalla durata del giudizio (quasi due anni) e dall’assoluzione del ricorrente da quasi tutte le imputazioni.
4.2. In relazione alla rapina aggravata di cui al capo 2), la Corte non ha considerato che il certificato medico del pronto soccorso non ha fornito riscontro alle dichiarazioni della persona offesa, la quale ha affermato di avere subìto delle ferite da arma da taglio e di aver perso nella colluttazione un dente. Proprio ritenendo questa versione non attendibile, anche in ordine al movente dell’aggressione, al contrario di quella degli imputati riguardo un debito mai saldato dallo stesso COGNOME il G.i.p. non convalidò l’arresto di Igbinovia.
La persona offesa, cambiando versione su un aspetto decisivo, ha poi dichiarato di avere ritrovato il telefonino e le chiavi della macchina, oggetto della presunta rapina, il giorno dopo l’arresto degli imputati senza però averlo comunicato agli inquirenti.
4.3. In ordine alla tentata estorsione di cui al capo 6), la sentenza impugnata ha motivato per relationem e quella di primo grado, con motivazione carente, non ha spiegato la ragione per la quale il ricorrente, nel momento in cui non esisteva il contesto associativo, avrebbe commesso il reato-fine, la cui sussistenza non può essere dimostrata – come invece ha ritenuto il primo Giudice – solo in ragione della commissione della rapina.
4.4. In relazione alla tentata estorsione di cui al capo 12), i giudici di merito non hanno valorizzato le contraddizioni nella deposizione della persona offesa, anche rispetto a quanto esposto in querela, avuto particolare riguardo alla pregressa conoscenza con gli imputati e al rancore che lo stesso COGNOME, smentito da due testimoni, poteva nutrire nei loro confronti.
La sentenza impugnata dà atto della incongruenza del narrato di NOME in ordine alla effettiva dazione della somma di trecento euro, attribuendola a difficoltà linguistiche emerse però in dibattimento e non in sede di presentazione della querela.
Il ricorso proposto nell’interesse di Okunmwedia è articolato in tre motivi.
5.1. Violazione della legge penale processuale (artt. 143 e 178 cod. proc. pen.) per omessa notifica e traduzione all’imputato, dichiarato contumace, del decreto di giudizio immediato.
5.2. Mancata assunzione di una prova decisiva e mancanza della motivazione. La Corte di appello “ha completamente omesso di valutare il
contributo dell’imputato”, che aveva dichiarato di avere inviato uno scritto nel quale si proclamava innocente e offriva elementi per una migliore ricostruzione del fatto.
5.3. Vizio della motivazione in ordine alla valutazione delle dichiarazioni della persona offesa, considerate anche le discrepanze del suo racconto con alcune delle lesioni riscontrate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi di Igbinovia e di Okunmwedia sono fondati limitatamente al motivo riguardante il reato di tentata estorsione di cui al capo 6), risultando le altre censure non consentite, generiche o manifestamente infondate, al pari di tutti quelle proposte nel ricorso di Asukpoghodo, del quale, pertanto, va dichiarata la inammissibilità.
Va premesso, avuto riguardo ad alcune censure proposte in tutte le impugnazioni, che la sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complessivo corpo argomentativo, specie quando i motivi di gravame, come nel caso di specie, non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate e ampiamente chiarite nella pronuncia di primo grado (Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, COGNOME, Rv. 191229 – 01; Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218 – 01; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595 – 01; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 2012, COGNOME Rv. 252615 – 01).
Pertanto, in presenza di una doppia conforme anche nell’iter motivazionale, il giudice di appello non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente ogni risultanza processuale, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale, egli spieghi in modo logico e adeguato le ragioni del proprio convincimento, dimostrando di aver tenuto presente i fatti decisivi.
I ricorsi, inoltre, hanno denunciato cumulativamente il vizio motivazionale, in contrasto con il principio ribadito di recente dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo il quale «i motivi aventi ad oggetto tutti i vizi della motivazione sono, per espressa previsione di legge, eterogenei ed incompatibili, quindi non suscettibili di sovrapporsi e cumularsi in riferimento ad un medesimo segmento della motivazione. Per tali ragioni la censura alternativa ed indifferenziata di mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione risulta priva della necessaria specificità» (Sez. U, n. 24591 del 16/07/2020, COGNOME Rv.
280027, non mass. sul punto; nello stesso senso, da ultimo, v. Sez. 4, n. 8294 del 01/02/2024, COGNOME, Rv. 285870 – 01).
3. Ricorso Asukpoghodo.
3.1. Il primo motivo, in rito, è privo di fondamento in ragione del principio da tempo consolidato nella giurisprudenza di legittimità, secondo il quale il provvedimento con cui il giudice per le indagini preliminari dispone il giudizio immediato, chiudendo una fase di carattere endoprocessuale senza conseguenze rilevanti sui diritti di difesa dell’imputato, non può essere sindacato dal giudice del dibattimento, salva l’ipotesi in cui risulti che la richiesta del rito non è stat preceduta da un valido interrogatorio o dall’invito a presentarsi, integrandosi in tal caso la violazione di una norma procedimentale concernente l’intervento dell’imputato, sanzionata con la nullità a norma degli artt. 178, comma 1, lett. c), e 180 cod. proc. pen. (Sez. U, n. 42979 del 26/06/2014, COGNOME, Rv. 260018 – 01; Sez. 2, n. 29570 del 27/03/2019, COGNOME, Rv. 276731 – 01).
In particolare, la constatazione della mancanza dell’evidenza della prova non potrebbe mai condurre a una regressione del processo alla fase precedente, mentre la tardività della richiesta del pubblico ministero, per la cui presentazione è previsto un termine non perentorio, non incide né sull’iniziativa nell’esercizio dell’azione penale né limita i diritti della difesa.
3.2. Il motivo in ordine alla credibilità della persona offesa COGNOME è generico e comunque manifestamente infondato.
Sul punto, peraltro, il ricorso ha lamentato la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., in contrasto con il diritto vivente, secondo il quale è inammissibile il motivo con cui si deduca la violazione di detta norma per censurare l’omessa o erronea valutazione di ogni elemento di prova acquisito o acquisibile, poiché i limiti all’ammissibilità delle doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui alla lettera c) dello stesso articolo nella parte in cui consente di dolersi dell’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME, Rv. 280027 – 04; Sez. 6 n. 4119 del 30/04/2019, dep. 2020, RAGIONE_SOCIALEaRAGIONE_SOCIALE, Rv. 278196 – 02; Sez. 4, n. 51525 del 04/10/2018, M., Rv. 274191 – 02; Sez. 1, n. 42207 del 20/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 271294 – 01; Sez. 3, n. 44901 del 17/10/2012, F., Rv. 253567 – 01).
Detta violazione, pertanto, può essere fatta valere soltanto nei limiti indicati dalla lettera e) della stessa norma, ossia come mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulti dal testo del
provvedimento impugnato ovvero da altri atti specificamente indicati nei motivi di gravame, circostanza non ravvisabile nel caso di specie.
I giudici di merito, infatti, hanno correttamente applicato il principio affermato dalla costante giurisprudenza di legittimità, secondo il quale occorre effettuare un rigoroso riscontro della credibilità soggettiva ed oggettiva della persona offesa, specie se costituita parte civile, accertando l’assenza di elementi che facciano dubitare della sua obiettività, senza la necessità, però, della presenza di riscontri esterni, stabilita dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. per il dichiarante coinvolto nel fatto (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 253214 – 01 ; Sez. 4, n. 410 del 09/11/2021, dep. 2022, Aramu, Rv. 282558 01; Sez. 5, n. 12920 del 13/02/2020, COGNOME, Rv. 279070 – 01; Sez. 5, n. 21135 del 26/03/2019, S., Rv. 275312 – 01; Sez. 2, n. 41751 del 04/07/2018, COGNOME, Rv. 274489 – 01).
Va ribadito che «la valutazione della credibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e non può essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni» (così Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, cit.; più di recente lvds. Sez. 4, n. 10153 del 11/02/2020, C., Rv. 278609 – 01).
Risulta apodittica l’affermazione secondo la quale due testi avrebbero confermato i motivi di astio fra la persona offesa NOME COGNOME e l’imputato. Nel sintetizzare la loro deposizione, infatti, il primo giudice aveva espressamente escluso la circostanza, indicando come vaghe le loro dichiarazioni (pag. 17), mentre la sentenza di appello ha confermato la inverosimiglianza della versione di COGNOME sul pregresso contrasto con COGNOME dovuto a motivi sentimentali (pagg. 25-26).
La difesa avrebbe dovuto dedurre e documentare un travisamento della prova, dovendosi comunque ricordare che detto vizio, introdotto quale ulteriore criterio di giudizio della contraddittorietà estrinseca della motivazione dalla legge 20 febbraio 2006, n. 46, non costituisce il mezzo per valutare nel merito la prova, bensì lo strumento per saggiare la tenuta della motivazione alla luce della sua coerenza logica con i fatti sulla base dei quali si fonda il ragionamento.
3.3. Con il terzo motivo il ricorrente, lamentando una “sintesi motivazionale incoerente rispetto alle emersioni dibattimentali”, ha di fatto sollecitato una nuova valutazione delle prove acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, proponendo una diversa ricostruzione storica dei fatti, operazione preclusa alla Corte di legittimità (Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, COGNOME, Rv. 283370 – 01; Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv.
280747 – 01; Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601 – 01; Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, COGNOME Rv. 273217 – 01).
Non è poi ravvisabile alcuna incompatibilità fra la pronuncia assolutoria dal reato associativo, emessa ex art. 530, comma 2, cod. proc. pen., in difetto di prova sufficiente della partecipazione al sodalizio criminoso dei singoli imputati, e la declaratoria di responsabilità per il singolo episodio della tentata estorsione.
4. Ricorso Igbinovia.
4.1. Il primo motivo, in rito, è privo di fondamento per le stesse ragioni esposte trattando del ricorso precedente (sub § 3.1.).
4.2. Anche in questo caso, con riferimento alla rapina aggravata in concorso di cui al capo 2), è incensurabile la valutazione della credibilità della persona offesa effettuata nella sentenza impugnata, puntuale e specifica (pagg. 14-15), in risposta anche alle deduzioni difensive.
È assertiva e non documentata l’affermazione della incompatibilità fra la ferita da taglio di cui ha riferito NOME con le risultanze del referto medico, esclusa dalla Corte d’appello senza che la difesa abbia dedotto un travisamento della prova, risultando poi evidente come la perdita di un dente ben possa non essere stata riferita e /quindi,non refertata.
Già il primo giudice ha ricordato che NOME andò subito dai Carabinieri e poi in ospedale, escludendo ogni ipotesi alternativa e rimarcando – così come poi la Corte d’appello – la palese inverosimiglianza della versione fornita dall’imputato, che in larga parte, dicendosi presente, ha riscontrato quella della persona offesa.
Pure il cambio di versione da parte di questa ultima e il suo silenzio sul ritrovamento degli oggetti sono evocati con affermazioni prive di riscontri, la cui decisività rispetto al nucleo centrale della ricostruzione dei fatti non risulta neppure prospettata.
Nella sostanza, anche in questo caso, la difesa ha sollecitato una non consentita rivalutazione delle prove.
4.3. Ribadito che evidentemente non sussiste contrasto alcuno fra l’assoluzione dell’imputato dal reato associativo e l’affermazione di responsabilità per la partecipazione a singoli episodi delittuosi, risulta fondato – come anticipato – il motivo di ricorso riguardante la condanna per la tentata estorsione in danno dello stesso COGNOME, contestata al capo 6).
Il G.i.p., con estrema sintesi, ha ricostruito il fatto sulla base delle dichiarazioni della persona offesa, ritenendo sussistente il reato di tentata estorsione, “commessa precedentemente alla consumazione della rapina,
allorquando al NOME veniva intimata la consegna del denaro, cosa che non avveniva per sua iniziale opposizione” (pag. 10).
A fronte di uno specifico motivo di gravame riguardante la tentata estorsione a Edosomwan, la Corte d’appello è rimasta silente, ravvisandosi dunque un’assoluta mancanza di motivazione, cui deve conseguire l’annullamento sul punto della sentenza impugnata.
4.4. In ordine alla tentata estorsione di cui al capo 12), il motivo sulla valutazione dell’attendibilità delle dichiarazioni delle persona offesa COGNOME è privo di fondamento.
La Corte territoriale ha dato una spiegazione per nulla illogica della difformità fra la dichiarazione resa nella fase delle indagini e quella dibattimentale circa la effettiva dazione della somma di trecento euro pretesa dagli imputati, affermata dalla persona offesa solo in giudizio, senza, peraltro, che il Pubblico ministero mutasse la contestazione da estorsione tentata a estorsione consumata. È ragionevole pensare che le difficoltà linguistiche emerse nel corso della deposizione non fossero rilevabili nella querela, filtrata e riassunta dal verbalizzante che redasse l’atto di ricezione della istanza punitiva.
Il ricorrente, infine, ha lamentato altre difformità in modo generico, esposte senza neppure dedurre di avere utilizzato, nel corso dell’esame del teste, lo strumento delle contestazioni, previsto dall’art. 500, comma 1, del codice di rito.
5. Ricorso Okunmwedia.
5.1. Non è consentito il primo motivo con il quale, per la prima volta in sede di legittimità, si è denunciata la omessa traduzione all’imputato del decreto di giudizio immediato.
La difesa fonda la propria eccezione sul generico rilievo che nel giudizio di primo grado la traduzione del provvedimento era stata disposta per gli imputati “detenuti”. In realtà Okunmwedia – come risulta dalla sentenza impugnata – era detenuto, sia pure per altra causa, e comunque fu presente nel giudizio di appello senza eccepire alcunché.
Va ricordato sul punto che da tempo le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che la mancata traduzione nella lingua dell’imputato alloglotta del decreto di citazione a giudizio integra una nullità generale di tipo intermedio (artt. 178, comma 1, lett. c), e 180 cod. proc. pen.), la cui deducibilità è soggetta a precisi termini di decadenza e che resta sanata dalla comparizione della parte qualora non sia tempestivamente eccepita (Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216259 – 01; in senso conforme cfr. Sez. 5, n. 11060 del 17/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272861 – 01; Sez. 6, n. 44421 del 22/10/2015, COGNOME, Rv. 265026 – 01; Sez. 3, n. 37364 del 05/06/2015, B., Rv.
265186 – 01), così come integrano il medesimo tipo di nullità la omessa traduzione del decreto di citazione in appello (Sez. 6, n. 3993 del 30/11/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 286113 – 01; Sez. 5, n. 20035 del 01/03/2023, COGNOME, Rv. 284515 – 01) e la mancata traduzione dell’ordinanza cautelare (Sez. U, n. 15069 del 26/10/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 286356 – 01).
5.2. Privo di ogni fondamento e del tutto generico è il motivo con il quale la difesa ha contestato che la sentenza ha omesso di valutare “il contributo dell’imputato”, sostanziatosi nell’invio di un manoscritto al quale egli si è riportato in sede di spontanee dichiarazioni rese alla Corte d’appello.
Nel ricorso non sono state indicate la rilevanza e decisività delle affermazioni fatte da RAGIONE_SOCIALE, il cui contenuto neppure è stato richiamato.
Del tutto impropria è la denuncia della violazione dell’art. 606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., vizio che si riferisce solo alla «mancata assunzione di una prova decisiva, quando la parte ne ha fatto richiesta anche nel corso dell’istruzione dibattimentale limitatamente ai casi previsti dall’articolo 495, comma 2».
5.3. L’ultimo motivo con il quale si è lamentato il vizio motivazionale in ordine alla valutazione delle dichiarazioni della persona offesa è generico e privo di ogni fondamento nella parte in cui si riferisce alla rapina e alla presunta incompatibilità fra il racconto di NOME e le lesioni riscontrate in ospedale, ove la persona offesa fu trasportata dopo essersi rivolta ai Carabinieri immediatamente dopo l’aggressione.
In proposito si richiama anche quanto esposto in precedenza trattando del ricorso di Igbinovia (sub § 4.2.), in relazione al quale, pure, si è rilevata (§ 4.3.) la fondatezza della doglianza circa la mancanza di motivazione della sentenza impugnata in ordine all’affermazione di responsabilità per la tentata estorsione contestata al capo 6).
Il medesimo vizio è riscontrabile per quanto concerne anche la posizione del ricorrente COGNOME.
6. La sentenza impugnata, pertanto, va annullata nei confronti di Igbinovia e di Okunmwedia limitatamente al reato di tentata estorsione di cui al capo 6), con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Napoli, risultando invece i due ricorsi inammissibili nel resto.
Alla inammissibilità della impugnazione proposta da COGNOME segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la sua condanna al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così fissata in ragione dei motivi dedotti.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di NOME COGNOME e di RAGIONE_SOCIALE limitatamente al reato di cui al capo 6) con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Napoli. Dichiara inammissibili nel resto i ricorsi.
Dichiara inammissibile il ricorso di NOME COGNOME che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 05/12/2024.