Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 2285 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 2285 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 27/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a IVREA il 29/02/1956
avverso la sentenza del 17/11/2023 della CORTE APPELLO di TORINO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che COGNOME NOME – condannato per i reati di cui agli artt. 56, 110, 544-bis, 633, in relazione all’art. 639-bis, 636, in relazione all’art. 639bis, cod. pen., a lui contestati per avere tentato di cagionare la morte di una pecora buttandola viva in un cassonetto e per avere invaso terreni appartenenti a un Parco nazionale, anche danneggiando gli stessi con ovini e caprini – ha proposto ricorso per cassazione, lamentando, con un primo motivo di doglianza, la violazione dell’art. 544-bis cod. pen. e il vizio di motivazione, per la mancata considerazione di quanto dichiarato dai testi COGNOME e COGNOME su un presunto ordine che l’imputato avrebbe impartito ad altro soggetto perché buttasse la pecora nel cassonetto, mentre si sarebbe in presenza di un reato impossibile per inidoneità dell’azione;
che, in secondo luogo, si contesta la motivazione della sentenza impugnata quanto all’appartenenza all’azienda dell’imputato dei capi di bestiame che avrebbero invaso i terreni pubblici, non essendo stata effettuata una verifica puntuale sugli animali che concretamente si trovavano a pascolare;
che, con una terza doglianza, si lamenta l’insussistenza del reato di cui all’art. 633 cod. pen. sotto il profilo oggettivo e soggettivo, mancando la prova della permanenza del gregge nei terreni, a fronte di un transito o di un pascolo temporaneo e della presenza di pastori, incompatibile con un abbandono incontrollato degli animali, nonché in considerazione della mancanza di perimetrazione o avvisi circa l’appartenenza al Parco nazionale dei terreni oggetto dell’imputazione;
che le doglianze non appaiono riconducibili alle categorie di cui all’art. 606 cod. proc. pen., in quanto meramente enunciate, priva di specificità, del tutto sganciate da una critica alla motivazione della sentenza, la quale risulta, in ogni caso, pienamente logica e coerente quanto a tutti i profili essenziali;
che, in relazione al primo motivo di doglianza, è sufficiente qui osservare che, sulla base degli stessi stralci tratti dall’istruttoria riportati nel ricorso, la sent ha evidenziato con chiarezza che l’imputato aveva ordinato al suo concorrente di gettare la pecora viva nel cassonetto, come confermato dal turista che aveva girato il filmato, nonché dai carabinieri e dallo stesso comportamento dell’imputato, che aveva poi prelevato la pecora dopo l’arrivo di questi ultimi;
che risulta meramente ipotetica, oltre che a prima vista contraria a logica, l’affermazione difensiva secondo cui la pecora non avrebbe alcun avuto danno dall’essere posto in un cassonetto con coperchio;
che, quanto ai successivi motivi, va osservato che la sentenza si riferisce all’identificazione dei capi di bestiame da parte del guardiaparco, il quale aveva verificato la corrispondenza del numero presente sulla targhetta auricolare con l’elenco depositato presso l’amministrazione competente;
che la consapevole intenzione di occupazione dei terreni del Parco nazionale, chiaramente indicati e perimetrati, emerge dalle dichiarazioni dei dipendenti dell’imputato e dal complesso delle prove testimoniali, come il danno alla flora esistente e la protrazione nel tempo dell’occupazione stessa;
che, tenuto conto della sentenza del 13 giugno 2000, n. 86, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in C 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 27 settembre 2024.