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Maltrattamento di animali: Cassazione su reato impossibile

Un allevatore è stato condannato per tentato maltrattamento di animali, per aver gettato una pecora viva in un cassonetto, e per invasione di terreni di un parco nazionale con il proprio gregge. La Corte di Cassazione ha dichiarato il suo ricorso inammissibile, respingendo la tesi del ‘reato impossibile’ come illogica e confermando che le prove, come i video e l’identificazione degli animali tramite marche auricolari, erano sufficienti a stabilire la sua colpevolezza.

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Pubblicato il 10 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Maltrattamento di animali: la Cassazione contro la tesi del ‘reato impossibile’

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha affrontato un caso di maltrattamento di animali e invasione di terreni protetti, fornendo importanti chiarimenti sulla configurabilità del reato e sui requisiti di ammissibilità dei ricorsi. La vicenda riguarda un allevatore condannato per aver tentato di cagionare la morte di una pecora, gettandola viva in un cassonetto, e per aver illecitamente occupato con il proprio gregge i terreni di un Parco nazionale. Analizziamo la decisione e le sue implicazioni.

I fatti del caso

I fatti contestati all’imputato erano duplici. In primo luogo, gli veniva addebitato il tentativo di uccidere una pecora ordinando a un’altra persona di gettarla ancora viva all’interno di un cassonetto. L’episodio era stato documentato da un turista tramite un video. In secondo luogo, l’allevatore era accusato di aver invaso e danneggiato, con i suoi ovini e caprini, terreni appartenenti a un’area protetta di un Parco nazionale.

La Corte d’Appello aveva confermato la condanna, ma l’imputato ha presentato ricorso per cassazione, basando la sua difesa su tre argomenti principali.

I motivi del ricorso e le contestazioni sul maltrattamento di animali

La difesa dell’imputato si è articolata su tre doglianze principali:

1. Violazione di legge e vizio di motivazione: Sosteneva che si trattasse di un ‘reato impossibile’, poiché l’azione di gettare la pecora in un cassonetto non sarebbe stata di per sé idonea a provocarne la morte.
2. Mancanza di prove sull’appartenenza del bestiame: Contestava che i capi di bestiame trovati sui terreni pubblici appartenessero effettivamente alla sua azienda, lamentando l’assenza di una verifica puntuale.
3. Insussistenza del reato di invasione di terreni: Affermava che non vi fosse prova di una permanenza stabile del gregge, ma solo di un pascolo temporaneo, e che l’area non fosse adeguatamente segnalata come Parco nazionale.

La decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici hanno ritenuto le doglianze formulate in modo meramente enunciativo, prive di specificità e del tutto sganciate da una critica concreta e logica alla motivazione della sentenza impugnata. La Corte ha quindi proceduto a smontare punto per punto le argomentazioni difensive, confermando la solidità del ragionamento dei giudici di merito.

Le motivazioni

La Corte ha chiarito in modo inequivocabile le ragioni della sua decisione. In relazione al primo motivo, relativo al tentato maltrattamento di animali, i giudici hanno definito ‘meramente ipotetica’ e ‘contraria a logica’ l’affermazione secondo cui la pecora non avrebbe subito alcun danno dall’essere gettata viva in un cassonetto con coperchio. L’ordine impartito dall’imputato era stato confermato dalle testimonianze (incluso il turista che ha girato il video) e dal comportamento dello stesso imputato, che aveva recuperato l’animale solo dopo l’arrivo dei carabinieri. Pertanto, la tesi del reato impossibile è stata rigettata come palesemente infondata.

Quanto all’appartenenza del bestiame, la sentenza ha evidenziato come l’identificazione fosse avvenuta in modo inoppugnabile: un guardiaparco aveva verificato la corrispondenza dei numeri presenti sulle targhette auricolari degli animali con l’elenco ufficiale depositato presso l’amministrazione competente.

Infine, per quanto riguarda l’invasione dei terreni del Parco nazionale, la Corte ha sottolineato che la consapevole intenzione di occupare l’area protetta emergeva chiaramente dalle dichiarazioni dei dipendenti dell’imputato, dal danno causato alla flora e dalla protrazione nel tempo dell’occupazione, elementi incompatibili con un semplice e occasionale transito.

Conclusioni

Questa ordinanza ribadisce alcuni principi fondamentali. In primo luogo, la tesi del ‘reato impossibile’ non può essere utilizzata per giustificare condotte palesemente idonee a causare sofferenza a un animale. La valutazione dell’idoneità dell’azione va condotta con un criterio di logica e di prevedibilità. In secondo luogo, l’identificazione degli animali tramite sistemi ufficiali come le marche auricolari costituisce una prova solida e sufficiente a determinarne la proprietà. Infine, la decisione conferma che un ricorso per cassazione, per essere ammissibile, deve contenere critiche specifiche, argomentate e logiche alla sentenza impugnata, e non limitarsi a riproporre tesi generiche o palesemente infondate. La declaratoria di inammissibilità ha comportato per il ricorrente, oltre alla conferma della condanna, anche il pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende.

Quando un atto di crudeltà verso un animale può essere considerato ‘reato impossibile’?
Secondo la Corte, un’azione non è ‘impossibile’ solo perché l’autore sostiene che non avrebbe causato l’evento finale. Gettare un animale vivo in un cassonetto chiuso è un’azione intrinsecamente idonea a provocare sofferenza o morte, pertanto non può essere classificata come reato impossibile.

Come si può provare a chi appartiene un gregge che pascola abusivamente su un terreno?
La proprietà del bestiame può essere accertata in modo definitivo attraverso l’identificazione delle marche auricolari obbligatorie per legge e la successiva verifica della corrispondenza dei numeri con gli elenchi depositati presso le autorità amministrative competenti, come effettuato nel caso di specie dal guardiaparco.

Quali sono le conseguenze se un ricorso in Cassazione è giudicato inammissibile per genericità?
Se un ricorso viene dichiarato inammissibile perché i motivi sono generici, illogici o non criticano specificamente la sentenza precedente, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, come sanzione per aver proposto un’impugnazione infondata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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