Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 29876 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 29876 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME MauroCOGNOME nato a Cagliari il 2/2/1972
avverso la sentenza del 9/4/2024 della Corte d’appello di Cagliari visti gli atti, I provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona dei Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorso;
udito per la parte civ:ie l’avv. COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile; udito per il ricorrente l’avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 9 aprile 2024 la Corte d’appello di Cagliari ha rigettato l’impugnazione proposta da NOME COGNOME nei confronti della sentenza del 18 febbraio 2022 del Tribunale di Cagliari, con la quale lo stesso COGNOME era stato condannato alla pena di sei anni di reclusione e al risarcimento dei danni patiti dalla parte civile, in relazione ai reati di cui agli artt. 572 cod. pen. (capo A), cpv. e 609-bis cod. pen. (capo B) e 612-bis cod. pen. (capo C), commessi in danno della consorte.
Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, mediante l’Avvocato NOME COGNOME che lo ha affidato a quattro articolati motivi.
2.1. Con un primo motivo ha lamentato, a norma dell’art. 606, primo comma, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l’errata applicazione dell’art. 572 cod. pen. e mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, nella parte relativa alla conferma della dichiarazione di responsabilità in ordine al delitto d maltrattamenti in famiglia di cui al capo a).
Ha sottolineato, anzitutto, l’insussistenza di uno stato di soggezione psicologica della consorte dell’imputato nei confronti di quest’ultimo, necessaria per poter ritenere configurabile il reato di maltrattamenti in famiglia, e anche del requisito della abitualità delle condotte, ravvisate dai giudici di merito travisando le risultanze istruttorie e, in particolare, le dichiarazioni di NOME COGNOME figlia dell’imputato e della persona offesa, che aveva escluso l’esistenza di uno stato di soggezione della madre nei confronti del ricorrente, ritenuto invece sussistente dalle sentenze di merito, giacché la stessa aveva riferito che il rapporto fra i genitori era caratterizzato da frequenti incomprensioni, discussioni e offese reciproche ed era, pertanto, improntato ad assoluta parità, senza alcuna incidenza sulla libertà di autodeterminarsi della madre, senza condotte violente nei suoi confronti, nonché quelle del vicino di casa NOME COGNOME, di tenore analogo; ha lamentato anche il travisamento delle dichiarazioni della persona offesa, nella parte relativa all’esistenza di una situazione di sudditanza economica nei confronti del ricorrente, sottolineando che la vittima era contitolare con l’imputato di un conto corrente bancario e, quindi, libera di compiervi operazioni e anche di chiedere e ottenere una propria carta bancomat, con il conseguente travisamento delle sue dichiarazioni, in guisa tale da disarticolare l’intero ragionamento posto a fondamento della decisione impugnata.
Ha eccepito anche la contraddittorietà della motivazione nella parte relativa alla valutazione di attendibilità della persona offesa, costituitasi parte civile, n essendo state considerate le contraddizioni emerse nelle sue dichiarazioni all’udienza del 9 luglio 2021 su un tema centrale, ossia la dipendenza economica i’;
dal marito, oltre che le dichiarazioni di diverso tenore rese dalla figlia NOME COGNOME a proposito dell’assenza di soggezione psicologica della parte civile nei confronti del ricorrente, della parità tra i coniugi, della reciprocità delle accus recriminazioni e offese, dell’assenza di condotte violente e aggressive, essendo stata offerta una diversa ricostruzione degli accadimenti dell’ottobre 2018.
Ha pertanto eccepito l’errata applicazione dell’art. 572 cod. pen., non essendo stata considerata l’episodicità delle condotte e la conseguente mancanza del requisito della abitualità delle stesse, necessario per la configurabilità del reato.
2.2. Con un secondo motivo ha lamentato, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., un analogo vizio di motivazione con riferimento al delitto di violenza sessuale continuata di cui al capo b) e l’errata applicazione dell’art. 609-septies cod. pen.
Si lamenta, in particolare, il travisamento delle risultanze istruttorie con riferimento alla prima delle condotte di violenza sessuale contestate, risalente al dicembre 2017, in quanto le dichiarazioni della persona offesa, secondo cui l’imputato l’avrebbe fatta cadere sul letto buttandosi su di lei allo scopo di avere un rapporto sessuale, sarebbero smentite dalle dichiarazioni di NOME COGNOME che aveva escluso di aver assistito alla scena descritta dalla madre.
Ha censurato anche la conferma della dichiarazione di responsabilità in relazione al secondo episodio di violenza sessuale, contestato come commesso nel marzo 2018, giacché la Corte d’appello era addivenuta a tale conferma non sulla base delle dichiarazioni dibattimentali della persona offesa, che in tale sede non era stata in grado di rammentare nulla di rilevante al riguardo, bensì sulla base delle dichiarazioni rese 1’11 giugno 2019 dalla persona offesa nel corso delle indagini preliminari e utiiizzate dal Pubblico ministero per le contestazioni.
La genericità e l’imprecisione delle dichiarazioni della persona offesa a proposito della data di realizzazione delle due condotte di violenza sessuale contestate impedirebbe anche di ravvisarne la connessione con il delitto di maltrattamenti in famiglia di cui al capo a) e, con essa, !a procedibilità, non essendo stata proposta tempestiva querela.
2.3. Con un terzo motivo ha lamentato un analogo vizio della motivazione e l’errata applicazione dell’art. 612-bis cod. pen. con riferimento alla conferma della dichiarazione di responsabilità in ordine al reato di atti persecutori di cui al cap c), fondata su una errata considerazione delle dichiarazioni della persona offesa e anche dei presupposti di fatto per poter ritenere configurabile tale reato.
Si lamenta, in particolare, il travisamento delle risultanze istruttorie e d quanto emerso dalla perizia svolta sul telefono cellulare del ricorrente, tra cui le conversazioni tra l’imputato e la persona offesa tramite l’applicativo whatsapp acquisite mediante tale perizia, dal tono pacato e cordiale, a decorrere dal 5 febbraio 2020, ossia solo 22 giorni dopo la cessazione delle condotte persecutorie
e solo 5 giorni dopo l’ultima querela presentata daiia persona offesa nei confronti dell’imputato, evidenziando i plurimi e cordiali incontri tra il ricorrente e la person offesa, in svariate e diverse occasioni, in concomitanza con il periodo di tempo nel quale, secondo l’imputazione, sarebbero stati posti in essere gli atti persecutori, con la conseguente erroneità della affermazione della configurabilità di tale reato, in quanto il grave stato d’ansia o di paura o il fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto richiesti per l’integrazione della fattispecie erano incompatibili con il contenuto e il tenore di detti messaggi e con i rapporti intercorsi tra l’imputato e la persona offesa, oltre che con il fatto che due delle figlie della coppia erano state collocate presso il padre.
Si eccepisce anche la mancata illustrazione dell’insorgenza di un perdurante e grave stato d’ansia nella persona offesa quale conseguenza delle condotte ascritte al ricorrente.
2.4. Infine, con un quarto motivo, ha lamentato un vizio della motivazione con riferimento al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, escluse con motivazione generica, fondata in modo assertivo sulla modalità delle condotte, sull’indole dell’imputato e sulla intensità del dolo, senza alcuna altra specificazione e in modo contraddittorio rispetto alla determinazione della pena, stabilita considerando quale base di computo il minimo edittaie, e senza considerare quanto sottolineato nell’atto d’appello a proposito del buon comportamento processuale dell’imputato, della sua partecipazione a un programma di supporto psicologico volto a conseguire una rivalutazione critica di quanto accaduto, con la conseguente insufficienza della motivazione anche su tale punto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato.
I primi tre motivi, esaminabili congiuntamente in considerazione della sovrapponibilità delle censure con essi formulate, tutte relative all’apprezzamento e alla valutazione delle risultanze istruttorie, sono inammissibili, essendo volti, attraverso la deduzione di vizi della motivazione e di violazioni di disposizioni di legge penale, tra l’altro sostanzialmente riproducendo i corrispondenti motivi d’appello, a conseguire una rivisitazione delle rísultanze istruttorie, onde conseguirne una lettura alternativa, da contrapporre a quella dei giudici di merito, che, però, è concorde e immune da vizi logici, come tale non suscettibile di rivalutazioni sul piano del merito nel giudizio di legittimità (Sez. 2, n. 27816 de 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970 – 01; Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, COGNOME, Rv. 262575 – 01; Sez. 3, n. 12226 del 22/01/2015, G.F.S., non
mass.; Sez. 3, n. 40350, del 05/06/2014, ryl M., non mass., Sez. 3, n. 13976 dei 12/02/2014, P.G., non mass., Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, COGNOME, Rv. 253099 – 01; Sez. 2, n. 7380 del 11/01/2007, Messina ed altro, Rv. 235716- 01).
In premessa, vale, dunque, osservare che si è in presenza di una “doppia conforme” statuizione di responsabilità, il che limita i poteri di rinnovata valutazione della Corte di legittimità, nei senso che, ai limiti conseguenti alla ricordata impossibilità per la Corte di cassazione di procedere a una diversa lettura dei dati processuali o a una diversa interpretazione delle prove, perché è estraneo al giudizio di cassazione il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati probatori, si aggiunge l’ulteriore limite in forza del quale neppure può utilmente evocarsi il tema del “travisamento della prova”, a meno che il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale. Non è questo però il caso: il ricorrente, infatti, pur prospettando un travisamento delle prove, i particolare delle dichiarazioni della persona offesa e della figlia di costei, oltre ch del contenuto delle conversazione a mezzo chat intercorse con la persona offesa, non lamenta che i giudici del merito abbiano fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, ma pretende una diversa lettura degli elementi probatori, in particolare delle dichiarazioni della persona offesa e della figlia e del contenuto di dette conversazioni, che, invece, sono state oggetto di attento vaglio in entrambi i gradi di giudizio con motivazione giuridicamente corretta e immune da vizi logici e, dunque, incensurabile in questa sede.
Il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene, infatti, né a ricostruzione dei fatti, né all’apprezzamento del giudice di merito, ma è limitato alla verifica della rispondenza dell’atto impugnato a due requisiti, che lo rendono insindacabile: a) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l’assenza di difetti o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Sez. 2, n. 21644 del 13/2/2013, COGNOME e altri, Rv. 255542 – 01; Sez. 2, n. 56 dei 7/12/2011, dep. 4/1/2012, COGNOME, Rv, 251760 – 01).
Consegue a tali premesse la manifesta infondatezza delle censure mosse al ragionamento probatorio svolto dalla sentenza impugnata, che è esente da manifeste contraddizioni che ne inficino la tenuta logica.
La Corte d’appello ha confermato la dichiarazione di responsabilità del ricorrente in ordine a tutti e tre i reati ascrittigli, anche con riferimento alla collocazione cronologica e alla conseguente procedibilità del reato di violenza sessuale (peraltro non oggetto di censura con l’atto di gravame, con la
conseguente preclusione alla deduzione di un vizio di motivazione sul punto, alla stregua del consolidato principio secondo cui non può essere dedotto con ricorso per cassazione il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il giudice di secondo grado se il punto non gli era stata sottoposto e l’eventuale travisamento della prova non gli era stato rappresentato, v. Sez. 5, n. 48703 del 24/09/2014, COGNOME, Rv. 261438 – 01; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499 – 01), sottolineando la coerenza delle dichiarazioni della persona offesa, l’assenza di intenti calunniatori (desunta anche dalla volontà di riavvicinamento dimostrata dalla persona offesa, sebbene interpretata in senso diverso dal ricorrente), le parziali ammissioni dei fatti da parte dell’imputato (che ne ha offerto una lettura alternativa, soprattutto con riferimento ai fatti di violenza sessuale), riscontri rinvenibili nelle dichiarazioni della figlia della coppia NOME COGNOME e anche dalle dichiarazioni dei testi della difesa (a proposito dei frequenti liti familiari).
La Corte d’appello non ha tralasciato le doglianze difensive, sostanzialmente riproposte con l’atto d’impugnazione, ribadendo la condizione di soggezione economica al marito della persona offesa nonostante la cointestazione del conto corrente bancario, spiegando !’irrilevanza di tale circostanza con i controlli svolti dal marito sulle spese che la moglie effettuava; sottolineando la coincidenza delle versioni della persona offesa e della figlia NOME in ordine alla violenza sessuale compiuta dall’imputato nella camera da letto della casa coniugale, quando le figlie erano in casa, divergenti solamente quanto alla presenza della figlia nella camera, ma coincidenti quanto alla richiesta di aiuto della donna per essere stata bloccata sul letto dall’imputato; la attendibilità della persona offesa quanto al secondo episodio di violenza sessuale, verificatosi all’interno dell’automobile nella quale essa e il marito si trovavano, spiegandone, in modo non illogico, la mancanza di opposizione, con la paura nei confronti del marito e con il timore generato dalla peculiarità della situazione (per essere stata condotta di notte in un parcheggio); la scarsa rilevanza, quanto alla sussistenza dei reato di atti persecutori, dei rapporti intercorsi tra i coniugi e di quanto emergente dai messaggi tra essi scambiati a mezzo chat, dovuti anche alle pressioni delle figlie per un riavvicinamento tra i coniugi.
E’ stata anche, dei tutto correttamente, esclusa la rilevanza delle reazioni della vittima alle condotte maltrattanti ai fini della configurabilità del reato maltrattamenti in famiglia, sottolineata anche nel ricorso per cassazione, posto che, per consolidata giurisprudenza il reato di maltrattamenti in famiglia è configurabile anche nel caso in culle condotte violente e vessatorie siano poste in essere dai familiari in danno reciproco gli uni degli altri (Sez. 1, n. 19769 del 10/04/2024, P. Rv. 286399 – 01; Sez. 3, n. 12026 dei 24/01/2020, M., Rv. 278968 – 01).
Si tratta di considerazioni idonee a giustificare il rigetto della impugnazione e la conferma della dichiarazione di responsabilità dell’imputato in ordine a tutti i reati ascrittigli, che sono state censurate riproponendo i medesimi argomenti oggetto dell’atto d’appello e, soprattutto, prospettando nuovamente una diversa lettura e una diversa interpretazione delle risultanze istruttorie, che non sono state travisate dai giudici di merito, che hanno tratto da esse un significato non irrazionale, e di cui il ricorrente continua con il ricorso per cassazione a proporre una lettura alternativa, non consentita, come ricordato, in questa sede di legittimità.
Le doglianze in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche sono manifestamente infondate in quanto la Corte territoriale, attraverso la sottolineatura della negativa personalità dell’imputato, che, destinatario di obblighi di protezione inosservati e poi sottoposto a misura cautelare non custodiale e incurante dei moniti ricevuti dalla polizia giudiziaria, aveva continuato a perseguitare ia moglie, determinando l’applicazione a suo carico degli arresti domiciliari, ha dato conto degli elementi, tra quelli di cui all’ 133 cod. pen., ritenuti di rilevanza decisiva ai fini della connotazione negativa della personalità dell’imputato.
La ratio della disposizione di cui all’art. 62-bis cod. pen. non impone, infatti, al giudice di merito di esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva, essendo, invece, sufficiente l’indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti; ne deriva che queste ultime possono essere negate anche soltanto in base alla gravità del fatto o ai precedenti penali dell’imputato, perché in tal modo viene formulato comunque, sia pure implicitamente, un giudizio di particolare gravità della condotta e di disvalore sulla personalità dell’imputato (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 265826; Sez. 4, n. 23679 del 23/04/2013, Viale, Rv. 256201; Sez. 6, n. 36382 del 04/07/2003, COGNOME, Rv. 227142).
Il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile, a cagione della manifesta infondatezza di tutte le censure alle quali è stato affidato.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento, nonché dei versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 3.000,00, e la condanna alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, ammessa al patrocinio a spese dello Stato e dunque da liquidare dalla Corte d’appello di Cagliali
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
Ammende.
Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a
spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Cagliari con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt, 82 e 83 d.P.R. 115/2002,
disponendo il pagamento in favore dello Stato.
In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri identificativi a norma dell’art. 52 d.igs. 196/03 in quanto imposto dal
legge.
Così deciso il 3/7/2025