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Maltrattamenti in famiglia e alcol: la Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un uomo accusato di maltrattamenti in famiglia ai danni della madre. L’imputato sosteneva che il suo stato di ubriachezza abituale escludesse la consapevolezza delle proprie azioni. La Corte ha stabilito che l’alterazione da alcol non è incompatibile con l’elemento soggettivo del reato, che richiede solo la coscienza di persistere in un’attività vessatoria, a meno che non si traduca in una cronica intossicazione tale da compromettere l’imputabilità.

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Pubblicato il 9 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Maltrattamenti in famiglia e abuso di alcol: l’ubriachezza non è una scusa

Una recente sentenza della Corte di Cassazione affronta un tema delicato e frequente nelle aule di giustizia: la rilevanza dell’abuso di alcol nel contesto del reato di maltrattamenti in famiglia. La Corte ha chiarito che lo stato di ubriachezza, anche se abituale, non esclude automaticamente la responsabilità penale, a meno che non comprometta totalmente la capacità di intendere e volere dell’agente. Questo principio rafforza la tutela delle vittime di violenza domestica.

I Fatti del Caso

Il caso esaminato riguarda un uomo accusato di aver posto in essere continue condotte vessatorie, minacce e violenze fisiche nei confronti della propria madre. A seguito dell’appello del pubblico ministero, il Tribunale del riesame aveva disposto per l’uomo l’allontanamento dalla casa familiare e il divieto di avvicinamento alla madre.

La difesa dell’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, basando la propria argomentazione su un unico punto: l’assenza dell’elemento soggettivo del reato. Secondo il ricorrente, le sue condotte illecite erano una diretta conseguenza del suo abuso di alcol e, nei momenti di ubriachezza, non aveva né l’intenzione né la consapevolezza di sottoporre la madre a un regime di vita vessatorio. A supporto di questa tesi, la difesa richiamava le stesse dichiarazioni della madre, la quale aveva affermato che il figlio non era violento quando era sobrio.

La Questione Giuridica: Maltrattamenti in famiglia e consapevolezza

Il cuore della questione legale era stabilire se lo stato di alterazione dovuto all’alcol potesse annullare l’elemento soggettivo richiesto dall’art. 572 del codice penale per i maltrattamenti in famiglia. Questo reato non richiede un dolo specifico, cioè l’intenzione mirata di tormentare la vittima. Secondo la giurisprudenza consolidata, è sufficiente il dolo generico, ovvero la consapevolezza dell’agente di persistere in una serie di atti che ledono l’integrità fisica e morale della persona offesa.

La difesa puntava a dimostrare che l’ubriachezza interrompeva questa consapevolezza, rendendo le azioni dell’imputato non intenzionali e quindi non punibili ai sensi della norma sui maltrattamenti in famiglia.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo manifestamente infondato. I giudici hanno ribadito con fermezza che l’alterazione psicofisica derivante dall’abuso di alcol, di per sé, non è incompatibile con la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato.

La Corte ha precisato che solo una condizione di cronica intossicazione, tale da incidere permanentemente sulla capacità di intendere e di volere, potrebbe escludere l’imputabilità. Nel caso di specie, la difesa non aveva mai sostenuto una simile patologia, ma si era limitata a invocare lo stato di ubriachezza come causa delle condotte violente.

L’elemento soggettivo del reato di maltrattamenti in famiglia, hanno spiegato i giudici, consiste nella mera consapevolezza di persistere in un’attività vessatoria nei confronti dei familiari conviventi. Questa consapevolezza non viene meno durante l’ubriachezza, a meno che questa non sia tale da annullare completamente le facoltà mentali.

Infine, la Corte ha considerato il tentativo della madre di ridimensionare le responsabilità del figlio come un “comprensibile tentativo di mitigare”, che tuttavia non poteva scalfire la gravità degli elementi indiziari raccolti.

Le Conclusioni

La sentenza consolida un principio di fondamentale importanza nella lotta alla violenza domestica. Chi commette atti di violenza sotto l’effetto dell’alcol non può usare il proprio stato di alterazione come uno scudo per evitare la responsabilità penale. La decisione chiarisce che la volontaria assunzione di alcol non esclude la consapevolezza delle proprie azioni vessatorie. Questo orientamento garantisce una maggiore protezione alle vittime, impedendo che i contesti di abuso di sostanze vengano strumentalizzati per giustificare condotte altrimenti inescusabili e affermando che la responsabilità personale rimane centrale anche in situazioni di alterazione auto-indotta.

L’abuso di alcol può escludere il reato di maltrattamenti in famiglia?
No, secondo la Corte di Cassazione l’alterazione dovuta all’abuso di alcol, di per sé, non esclude il reato. Solo una condizione di cronica intossicazione, tale da compromettere in modo permanente la capacità di intendere e volere, potrebbe escludere l’imputabilità, ma non è stato questo il caso analizzato.

Cosa si intende per ‘elemento soggettivo’ nel reato di maltrattamenti in famiglia?
L’elemento soggettivo richiesto non è un’intenzione specifica di sottoporre la vittima a sofferenze continue. È sufficiente la consapevolezza dell’agente di persistere in un’attività vessatoria, ovvero la coscienza e volontà di compiere atti che ledono l’integrità fisica o morale di un familiare convivente.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché manifestamente infondato. La tesi difensiva è stata respinta in quanto l’ubriachezza non esclude la consapevolezza richiesta per il reato. Inoltre, il ricorso tendeva a sollecitare una rivalutazione dei fatti, compito che non spetta alla Corte di Cassazione, la quale si occupa solo di violazioni di legge e vizi di motivazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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