LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Maltrattamenti dopo separazione: è un unico reato

Un uomo, già condannato per maltrattamenti in famiglia, viene accusato anche di atti persecutori (stalking) per le condotte tenute dopo la separazione dalla moglie. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 11723/2024, ha stabilito che non si tratta di due reati distinti in continuazione. I maltrattamenti dopo separazione, se rappresentano la prosecuzione del medesimo disegno criminoso sorto in ambito domestico, costituiscono un unico reato di maltrattamenti in famiglia. La Corte ha annullato la sentenza precedente, rinviando alla Corte d’Appello per la rideterminazione della pena sulla base di questa diversa qualificazione giuridica.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 7 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Maltrattamenti dopo separazione: Unico Reato di Violenza Domestica

La violenza domestica è un fenomeno complesso che, purtroppo, non sempre si arresta con la fine della convivenza. Spesso, la decisione della vittima di allontanarsi scatena un’escalation di condotte persecutorie. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 11723/2024) affronta proprio il tema dei maltrattamenti dopo separazione, stabilendo un principio fondamentale: se le vessazioni continuano senza interruzione dopo l’allontanamento, si configura un unico reato di maltrattamenti in famiglia e non un reato distinto di stalking.

I Fatti del Caso

Il caso esaminato riguardava un uomo condannato in primo e secondo grado per il reato di maltrattamenti ai danni della moglie, aggravato dalla presenza del figlio minore, per fatti commessi tra il 2015 e il 2018. A questa accusa se ne aggiungeva un’altra: quella di atti persecutori (stalking), per le condotte poste in essere dopo la separazione, quando la donna si era rifugiata a casa dei propri genitori. Le condotte maltrattanti durante la convivenza includevano aggressioni fisiche, umiliazioni sessiste, minacce di morte, controllo ossessivo e plateali infedeltà. Dopo la separazione, l’uomo aveva continuato a perseguitare la ex coniuge con innumerevoli telefonate, messaggi di morte, aggressioni e continue citofonate presso l’abitazione dei genitori di lei, usando come pretesto la volontà di vedere il figlio.

La Decisione della Corte di Cassazione e i maltrattamenti dopo separazione

La difesa dell’imputato aveva contestato la condanna, sostenendo, tra le altre cose, che i fatti successivi alla separazione dovessero essere considerati come un reato separato di stalking. La Corte di Cassazione ha però respinto questa tesi, accogliendo un’interpretazione più unitaria del fenomeno. I giudici hanno riqualificato giuridicamente il fatto: le condotte persecutorie successive alla separazione non sono un nuovo e distinto reato, ma la prosecuzione del reato di maltrattamenti già in atto. Di conseguenza, la Corte ha annullato la sentenza limitatamente alla determinazione della pena, rinviando il caso a un’altra sezione della Corte d’Appello per ricalcolarla sulla base di un unico reato di maltrattamenti in forma aggravata.

Le Motivazioni

La decisione della Suprema Corte si fonda su un consolidato orientamento giurisprudenziale, rafforzato da una pronuncia della Corte Costituzionale (n. 98/2021). Il principio cardine è che il vincolo familiare, presupposto del reato di maltrattamenti (art. 572 c.p.), non cessa con la semplice separazione di fatto. Anche se vengono meno gli obblighi di convivenza e fedeltà, permangono quelli di rispetto reciproco e assistenza. Il coniuge separato resta a tutti gli effetti una “persona della famiglia”.

La Corte sottolinea come la separazione, anziché interrompere il ciclo della violenza, spesso ne rappresenta un momento di intensificazione. È un atto di affermazione di autonomia e libertà da parte della vittima che l’aggressore non accetta, proseguendo le condotte vessatorie con modalità diverse ma con il medesimo fine di controllo e sopraffazione. Nel caso specifico, il figlio minore era diventato lo strumento per continuare a perseguitare la donna. Pertanto, considerare le condotte post-separazione come un reato a parte (stalking) sarebbe una parcellizzazione artificiale di un’unica dinamica di violenza domestica che non ha mai subito una vera interruzione.

Le Conclusioni

Questa sentenza ha importanti implicazioni pratiche. In primo luogo, offre una tutela più forte e coerente alle vittime, riconoscendo la continuità dell’abuso anche dopo l’allontanamento dalla casa familiare. In secondo luogo, semplifica il quadro giuridico, evitando di frammentare una singola condotta criminale in due diversi reati (maltrattamenti e stalking). La qualificazione unitaria del fatto come maltrattamenti dopo separazione permette di considerare l’intera vicenda in modo organico, valutando la gravità complessiva del comportamento dell’aggressore e garantendo una risposta sanzionatoria adeguata alla reale offensività della sua condotta.

Perché gli atti commessi dopo la separazione sono considerati maltrattamenti e non stalking?
Perché, secondo la Corte, quando le azioni vessatorie proseguono senza soluzione di continuità rispetto a quelle avvenute durante la convivenza, rappresentano la continuazione del medesimo disegno criminoso. La separazione di fatto non interrompe il vincolo ‘familiare’ rilevante ai fini dell’art. 572 c.p., quindi il reato rimane quello di maltrattamenti.

La separazione dei coniugi interrompe il reato di maltrattamenti in famiglia?
No. La separazione incide sulle condizioni di vita ma non sullo status di coniuge, che rimane ‘persona della famiglia’. Se le condotte vessatorie continuano, il reato di maltrattamenti prosegue, poiché spesso la separazione è proprio il momento in cui la violenza domestica si aggrava.

La sola testimonianza della vittima è sufficiente per provare il reato di maltrattamenti?
Sì, secondo l’orientamento consolidato della Corte, il giudice può basare il proprio convincimento anche solo sulle dichiarazioni della persona offesa, a condizione che ne venga vagliata positivamente la credibilità soggettiva e l’attendibilità intrinseca del racconto, senza la necessità di riscontri esterni. Nel caso di specie, comunque, le prove erano plurime (certificati medici, testimonianze, messaggi, etc.).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati