Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 2698 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 2698 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 10/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato il 31/01/1981 a Borgomanero avverso la sentenza del 29/04/2024 del Tribunale di Torino;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile; udito l’Avvocato NOME COGNOME che ha concluso insistendo per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte d’appello di Torino confermava la condanna di NOME COGNOME per maltrattamenti in famiglia (art. 572 cod. pen.)
;
Avverso la sentenza ha presentato ricorso l’imputato, per il tramite dell’Avvocato NOME COGNOME deducendo tre motivi.
2.1. Violazione della legge penale, per aver erroneamente qualificato il fatto come maltrattamenti in famiglia, piuttosto che come atti persecutori (art. 612-bis cod. pen.), in considerazione dell’avvenuta cessazione della convivenza.
Per effetto dell’intervento dei carabinieri, in data 27 giugno 2021, la persona offesa fu trasferita presso l’abitazione della sorella.
Di conseguenza, i comportamenti successivi a tale data, fino alla cessazione della condotta contestata, nel settembre del 2021, non avrebbero dovuto essere qualificati come maltrattamenti in famiglia, tanto più che non si trattò di un’interruzione momentanea e contingente della convivenza, avendo la persona offesa interrotto ogni relazione affettiva con l’imputato sin dal maggio del 2021, quando presentò denuncia-querela per gli episodi subiti.
2.2. Violazione della legge penale vizio di motivazione con riferimento all’elemento soggettivo del delitto di maltrattamenti.
In appello il ricorrente aveva segnalato la reciprocità delle offese, il che avrebbe dovuto indurre una nuova e diversa riflessione sulla sussistenza dell’elemento soggettivo.
La Corte d’appello non ha risposto e si è limitata a giustificare la sussistenza del dolo di maltrattamenti facendo riferimento alla mera ripetizione dei comportamenti violenti.
Non è, però, dimostrato lo stato di sopraffazione della vittima e, di conseguenza, se il comportamento del ricorrente fosse deliberatamente volto a lederne la dignità e a limitare la sua libertà di autodeterminazione, il delitt essendo integrato – in base alla giurisprudenza di legittimità – solo quando un partner impedisca all’altro in modo reiterato persino di esprimere un proprio autonomo punto di vista. Non in presenza di mere, seppur veementi, liti familiari.
La Corte d’appello nulla dice sul contesto di reciproca conflittualità in cui sono maturate le condotte del ricorrente.
2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione quanto all’aggravante dei cosiddetti maltrattamenti assistiti, non avendo la Corte d’appello verificato l’idoneità astratta della condotta a ledere l’integrità psicofisica dei minori.
La Corte d’appello ha affermato che, attraverso comportamenti abituali, l’imputato avrebbe seriamente leso la crescita e il sano sviluppo psicofisico dei minori, costringendo anche loro a una dolorosa e penosa convivenza ed esistenza.
Tale affermazione non trova riscontro negli atti processuali.
Peraltro, nella sentenza di primo grado si fa riferimento a due figlie (NOME e NOME) le quali, come risulta dalla sentenza, assistettero a due episodi ingiuriosi: uno soltanto dei quali ai danni della persona offesa (l’altro ai danni di un terzo, e
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come tale irrilevante). Nessun riferimento si fa invece a NOME, nato nel contesto della condotta maltrattante la quale, però, non poteva ledere un equilibrio che nell’infante nemmeno si è ancora formato.
La quantità degli episodi percepiti non è, quindi, tale da consentire di inferire l’esistenza di un nesso causale tra la violenza assistita e la lesione psico-fisica dei minori, che, pertanto, risulta indimostrata, ancor prima dovendosi dubitare della tipicità della condotta maltrattante la quale richiede la realizzazione di condotte abituali, frequenti e gravi (Sez. 6, n. 47121 del 05/10/2023, M., Rv. 285479).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
1.1. Inammissibili sono i primi due motivi di ricorso, relativi: l’uno, all cessazione della convivenza a partire dal giugno 2021 e alla mancata dimostrazione dello stato di vessazione della persona offesa; l’altro, al dolo dell’imputato.
In particolare, quanto al primo motivo, corretta appare la scelta qualificatoria compiuta dai Giudici dell’appello, che hanno chiaramente spiegato come la condotta dell’imputato fosse consistita in percosse e ripetute, gravi minacce, oltre che in ingiurie pressocché continuative.
Peraltro, quand’anche si fosse trattato soltanto di ingiurie, come sostenuto dal ricorrente, in base alla documentata e puntuale ricostruzione del fatto compiuta in primo grado e richiamata dal Giudice dell’appello, tali offese sarebbero rivelatrici di una sopraffazione sistematica, programmata e perpetrata dall’imputato in un arco temporale comunque lungo (che partiva – come si deduce sin dal capo di imputazione – dal settembre 2019), e ciò nega, già in fatto, qualunque rilievo alle deduzioni difensive volte ad evidenziare come la convivenza si fosse interrotta, per effetto dell’intervento dei carabinieri e del trasferiment della donna presso la casa della sorella, nel giugno 2021.
1.2. Quanto, invece, al secondo motivo di ricorso, è opportuno rilevare come la condizione di vessazione e paura prodotta nella persona offesa sia emersa da svariate testimonianze rese sia dalle sue dipendenti (la donna gestiva una panetteria), sia dai suoi fratelli, i quali avevano dichiarato di aver assistito ag insulti dell’imputato e al correlato, graduale mutamento comportamentale della persona offesa che, descritta in origine come allegra e vivace, si era progressivamente “spenta”, piangeva continuamente, aveva perso la sua indipendenza, era preoccupata degli effettivi che avrebbe indotto la sua decisione di separarsi e scongiurava le persone care di non intervenire per il timore che la reazione violenta del marito potesse riversarsi anche su di loro.
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E’ chiaro, dunque, come la donna sia stata indotta in una condizione di vessazione, né tale giudizio può essere scalfito dalla dedotta reciprocità dei litigi e dal fatto che la persona offesa, avesse, ad un certo punto, deciso di reagire alle vessazioni dell’uomo, sul punto essendo il caso di precisare che la sentenza citata nel ricorso (Sez. 6, n. 37978 del 03/07/2023, B., Rv. 285273) depone in senso esattamente opposto a quanto eccepito dal ricorrente.
Alla luce dei ripetuti e frequenti episodi maltrattanti, considerati di rilevant gravità dai Giudici di merito, esente da censure è pure il giudizio sul dolo che, essendo generico, impone di verificare soltanto che l’imputato sapesse e volesse persistere in un’attività vessatoria lesiva della personalità della vittima: giudizi correttamente svolto in sede di merito.
2.3. Inammissibile è anche il terzo motivo di ricorso, relativo alla configurabilità, nel caso di specie, dell’aggravante dei “maltrattamenti assistiti” (art. 572, comma secondo, cod. pen.).
Sul punto, va precisato che il fatto è stato commesso sotto la vigenza della legge 19 luglio 2019, n. 69, entrata in vigore il 9 agosto 2019, la quale ha introdotto, nel testo della fattispecie dell’art. 572 cod. pen., la circostanz aggravante ad effetto speciale dei c.d. maltrattamenti assistiti ai danni dei minori di anni quattordici.
Deve, inoltre, specificarsi che, sulla scorta di un’interpretazione letterale, sistematica e teieologicamente orientata (ispirata ai principi di offensività, ragionevolezza e proporzione), questa Corte ha innovato l’orientamento formatosi sotto il vigore della precedente disciplina positiva.
Ha ritenuto, cioè, che, ai fini della integrazione della fattispecie aggravata dei maltrattamenti commessi in presenza del minore, ai sensi dell’art. 572, comma secondo, cod. pen., sia non sia più sufficiente che il minore assista ad un singolo episodio in cui si concretizza la condotta maltrattante, essendo invece necessario che il numero, la qualità e la ricorrenza degli episodi cui questi assiste siano tali da lasciare inferire il rischio della compromissione del suo normale sviluppo psicofisico (Sez. 6, n. 31929 del 25/06/2024, C., Rv. 286867; Sez. 6, n. 47121 del 05/10/2023, M., Rv. 285479).
Ciò doverosamente premesso sull’astratta configurabilità della circostanza aggravante in oggetto, le condizioni indicate si sono verificate nel caso di specie.
Si prescinda dal rilevare come il ricorrente, per negare la pluralità di episodi maltrattanti posti in essere quando parla di condotte «riferibili al sig. COGNOME (piuttosto che alla persona offesa), lasci intendere come questi fosse un perfetto estraneo, mentre dalla sentenza emerge chiaramente che il ricorrente proferì, al cospetto delle bambine, la minaccia di spezzare le gambe al loro padre (ex marito della donna).
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Si evidenzia, piuttosto, che da nessun passaggio della sentenza impugnata (tantomeno, dal capo di imputazione) si evince che gli episodi maltrattanti cui assistettero i minori furono isolati e circoscritti: i Giudici dell’appello parlan esattamente al contrario, di «persistenza della condotta delittuosa addirittura dinanzi ai figli minori» (classe 2010; 2013 e 2019) i quali, d’altronde, con la coppia convivevano e che, dunque, si presume fossero presenti al momento in cui le (abituali) condotte maltrattanti venivano poste in essere dall’imputato.
Quanto, infine, e specificamente, alle deduzioni sulla violenza assistita dal piccolo NOME, all’epoca dei fatti infante, lo stesso ricorrente afferma che il bambino nacque «nel contesto della condotta maltrattante».
Ciò premesso, è proprio la sentenza Sez. 6, n. 47121 del 05/10/2023, M., cit., indicata nel ricorso, a mettere in chiaro, discostandosi dalle affermazioni contenute in due isolati precedenti, l’idoneità della violenza assistita a compromettere il sano sviluppo psichico del minore anche in tenerissima età (anzi, vieppiù di tali soggetti), sempre alla condizione, già richiamata ed inverata – come precisato – nel caso di specie, che il numero, la qualità e la ricorrenza degli episodi cui questi assiste siano tali da lasciare inferire il rischio di compromissione del suo normale sviluppo psico-fisico.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento delle somme indicate nel dispositivo, ritenute eque, in favore della Cassa delle ammende, in applicazione dell’art. 616 cod. proc. pen.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di tremila euro alla Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammess al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Cort appello di Torino, con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e d.P.R. 115/2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato.
Così deciso il 10/12/2024
Il Consigliere estensore
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Il Pr?ide te
NOME
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Angeli) Cos NOME
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Dispone, a norma dell’art. 52 d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, che sia apposta, a cur della cancelleria, sull’originale del provvedimento, un’annotazione volta a precludere, caso di riproduzio9q della presente sentenza in qualsiasi forma, l’indicazione delle general e degli altri dati itkitificativi degli interessati riportati in sentenza.
Il Presid9inte
CORTE DI CASSAZIONE U.R.P. CENTRALE
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