Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 2604 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 2604 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 21/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME nato a Villapiana (CS) in proprio e quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE
avverso l’ordinanza del Tribunale di Brindisi del 25/05/2024;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1.In data 13/04/2024, il Gip presso il Tribunale di Brindisi, convalidava il sequestro, riqualificato dal Pm come preventivo, ed emetteva decreto di sequestro preventivo, ravvisando a carico del ricorrente il fumus commissi delicti del reato di cui all’art. 4, comma 49, legge n. 350 del 2003, in relazione all’art 517 cod. pen., per aver importato, a fini di commercializzazione, 77 cartoni contenenti pezzi di arredo sui quali era stata apposta la stampigliatura “made in
Italy”, pur trattandosi di prodotti e merci non originari dall’Italia ai sensi normativa europea.
In data 25/05/2024, il Tribunale del riesame, rigettando l’istanza di restituzione dei beni vincolati proposta dall’indagato, in proprio e quale legal rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, confermava il decreto di sequestro preventivo emesso dal Gip.
2.Avverso tale provvedimento COGNOME NOMECOGNOME in proprio e quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE tramite difensore, ha presentato ricorso per Cassazione articolato nei seguenti motivi.
3.Nel primo motivo si lamenta la violazione dell’art. 324, comma, 6 in relazione all’art. 179 comma 1 cod. proc. pen.
Si lamenta che l’ordinanza di rigetto del Tribunale del riesame sia stata notificata al difensore del ricorrente in data 25/05/202 due giorni prima dell’udienza di discussione fissata il 27/05/2024.
4.Nel secondo motivo si deduce l’inosservanza dell’art. 324, comma 3, e comma 6 cod. proc. pen. in relazione all’art. 178 lettera c) cod. proc. pen., si contesta la presenza, al 23/05/2024, negli atti trasmessi a seguito del giudizio di riesame, del “sottofascicolo” menzionato nell’ordinanza impugnata e della mancanza negli atti trasmessi della richiesta di convalida del Gip con istanza di emissione del decreto di sequestro.
5.Nel terzo motivo di ricorso si lamenta l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’art. 355 cod. proc. pen. in relazione all’art. 354.
Premette che il verbale dissequestro è stato inviato il 28/03/2024, alle ore 12.25, al Pm del luogo dove il sequestro è stato eseguito, e che il Pm non ha emesso decreto di convalida ma, in data 30/03/2024 alle 9.45, ha inviato il verbale al Gip con richiesta di convalida del sequestro riqualificato come preventivo. Il Gip ha quindi provveduto alla convalida in data 03/04/2024 alle ore 12.30 (con correzione a mani della data che riportava l’indicazione del 04/04/2024).
Si lamenta, dunque, che il pubblico ministero non abbia convalidato il sequestro probatorio nei termini di legge, avanzando al Gip, fuori dai termini indicati dall’art. 355 cod. proc. pen., la richiesta di sequestro preventivo.
6.Nel quarto motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 321 cod. proc. pen, in relazione agli artt. 24 e 42 Cost. Si deduce che l’ordinanza di convalida di sequestro preventivo di urgenza e contestuale decreto di sequestro del Gip del
03/04/2024 sia stata notificata alla parte circa un mese dopo la sua emissione (in data 15/05/2024), con conseguente lesione del diritto di difesa.
7.Nel quinto motivo di ricorso si lamenta il vizio di mancata assunzione di una prova decisiva e la contraddittorietà della motivazione.
In primo luogo, si censura che il Tribunale del riesame non abbia acquisito la documentazione (comunicazioni della RAGIONE_SOCIALE con allegazione delle fatture del materiale utilizzato per le lavorazioni di assemblaggio) idonea ad attestare che le materie prime di realizzazione degli arredi erano tutte di provenienza italiana ed acquistate da fornitori in Italia.
Si deduce la contraddittorietà della motivazione nella parte in cui il Tribunale conferma la provenienza dei materiali dall’Italia ma afferma “apoditticamente” che la lavorazione principale sia avvenuta in Albania, non essendo tale dato desumibile da alcun atto di causa.
La motivazione sarebbe altresì illogica nella parte in cui afferma che sul prodotto oggetto di sequestro non originario dell’Italia sia impressa la stampigliatura made in Italy.
L’argomentazione è illogica posto che, come assunto dallo stesso Tribunale, la stampigliatura “made in Italy” non era apposta sui prodotti ma sui soli imballaggi.
La motivazione sarebbe inoltre illogica nella parte in cui ritiene che il paese di origine del prodotto sarebbe stato l’Albania, rilevato che in quel paese si era proceduto ad effettuare, non “un segmento del ciclo produttivo di trascurabile rilievo” ma un l’ultima ed essenziale lavorazione volta ad assicurare al prodotto robustezza e durata, fase della lavorazione, si aggiunge, il cui compimento avrebbe consentito l’utilizzazione dei beni anche senza l’ulteriore fase della lavorazione in Italia.
Ad avviso della difesa, tale considerazione sarebbe inficiata da illogicità atteso che, al contrario, le emergenze processuali avevano dimostrato che l’attività finale che avrebbe consentito al prodotto di essere immesso sul mercato (nella fattispecie realizzazione dell sedute delle strutture metalliche delle sedie) era stata, invece, realizzata a Rugiano.
8.Nel sesto motivo di ricorso si deduce il vizio di violazione dell’art. 4, comma 49, legge n. 350 del 2003.
Il Tribunale avrebbe errato nella misura in cui ha applicato la disposizione di cui al comma 4 dell’art. 16 d.l. n. 135 del 2009 relativa alla disciplina normativa della qualificazione 100 per cento made in Italy, mentre, più correttamente avrebbe dovuto fare riferimento alle disposizioni del regolamento CE 23/04/2008 – n. 450 art. 36 sull’origine doganale non preferenziale delle merci, volto a
disciplinare la legittima apposizione della dicitura “made in Italy”, secondo la quale quale un prodotto può essere considerato di origine Italiana e contenere l’indicazione “made in Italy” quando, nel nostro Paese è avvenuta l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale del prodotto. Lavorazione che il ricorrente sostiene essere avvenuta in Italia.
CONSIDERATO IN DIRITTO
In premessa va dichiarato inammissibile il ricorso proposto nell’interesse dell’indagato in proprio, posto che non risulta el-frrestrato il suo interesse all’impugnazione. Come è noto, l’indagato non titolare del bene oggetto di sequestro preventivo, astrattamente legittimato a presentare richiesta di riesame del titolo cautelare ai sensi dell’art. 322 cod. proc. pen., può proporre il gravame solo se vanta un interesse concreto ed attuale all’impugnazione, che deve corrispondere al risultato tipizzato dall’ordinamento per lo specifico schema procedimentale e che va individuato in quello alla restituzione della cosa come effetto del dissequestro. (Sez. 3, n. 16352 del 11/01/2021, COGNOME, Rv. 281098 – 01).
2.Quanto al ricorso della società valga quanto segue.
Il primo motivo di ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato.
Dalla lettura degli atti del procedimento, cui la Corte può avere accesso in ragione della natura processuale dell’eccezione, emerge che l’udienza camerale si è tenuta in data 27/05/2024 e che nella stessa data venne deliberato e depositato il dispositivo della decisione. La discrasia temporale lamentata dal ricorrente è pertanto chiaramente attribuibile ad un errore materiale.
Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato. il Tribunale del riesame ha correttamente evidenziato la presenza nel sottofascicolo denominato “atti pm trasmessi a seguito di richiesta atti riesame 19/2024 TR” del provvedimento del 29 marzo 2024 con il quale il Pm, previa riqualificazione del sequestro probatorio eseguito d’urgenza dalla polizia giudiziaria, ha richiesto al Gip la convalida e la contestuale emissione del decreto che dispone il sequestro preventivo datata 29 marzo 2024.
Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato. In tema di misure cautelari reali, infatti, non sono impugnabili né la richiesta di convalida da parte del pubblico ministero del sequestro d’urgenza disposto dalla pg, né l’ordinanza
con la quale il giudice, a norma dell’art. 321, comma 3-bis, cod. proc. pen., ne dispone la convalida.
La richiesta del pm non è ricompresa nell’elencazione di cui all’art. 322-bis cod. proc. pen. ed ha carattere provvisorio, essendo destinato ad un’automatica caducazione a seguito del suo rigetto ovvero, in caso di controllo positivo, ad essere sostituito per effetto dell’autonomo decreto di sequestro giudiziale che il giudice emette dopo l’ordinanza di convalida e che costituisce il titolo legittimante il vincolo reale sul bene sequestrato (Sez. 2, n. 50740 del 19/09/2019, COGNOME, Rv. 27778401; Sez. 3, n. 5770 del 17/01/2014, COGNOME, Rv. 258936 – 01).
6.Anche il quarto motivo del ricorso è inammissibile poiché manifestamente infondato.
Il Tribunale ha correttamente applicato il principio di diritto, più volte ribad dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, in tema di misure cautelari reali, la mancata esecuzione o la mancata notifica del decreto di sequestro preventivo disposto dal giudice delle indagini preliminari, su richiesta del pubblico ministero, non determina alcuna nullità, né comporta l’inefficacia del decreto stesso, producendo soltanto l’effetto di ritardare la decorrenza del termine d’impugnazione da parte dell’interessato, poiché l’inefficacia consegue alla sola ipotesi di sequestro d’urgenza, in caso di mancata osservanza dei termini previsti dall’art. 321, comma 3-bis, cod. proc. pen. per la trasmissione del verbale al pubblico ministero del luogo in cui il provvedimento è stato eseguito o in caso di mancata convalida del giudice nei dieci giorni dalla ricezione della richiesta, ai sensi dell’art. 321, comma 3-ter cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 4885 del 04/12/2018, dep. 31/01/2019, COGNOME, Rv. 274851 – 01; Sez. 3, n. 40362 del 06/07/2016, COGNOME, Rv. 268585 – 01).
7. Il quinto motivo di ricorso in cui si lamenta la mancata assunzione di una prova decisiva e il vizio di motivazione è inammissibile. Giova infatti ricordare che il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e, quindi, inidoneo a rendere comprensibile l’iter logico seguito dal giudice.
La motivazione offerta dal Tribunale del riesame, articolata e dettagliata, non può definirsi talmente priva di apparato argomentativo da potersi reputare inesistente.
8.Anche il sesto motivo di ricorso è inammissibile.
In premessa va ricordato che “in sede di riesame del decreto di sequestro preventivo di un bene pertinente ad un reato, non è necessario valutare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, essendo sufficiente che sussista il fumus commissi delicti, vale a dire l’astratta sussumibilità in una determinata fattispecie di reato, del fatto contestato come ipotesi di accusa (Sez. U, n. 7 del 23/02/2000, COGNOME, Rv. 215840-01).
Pertanto, la verifica del cd. fumus non può estendersi fino a far coincidere l’esame con un vero e proprio giudizio di colpevolezza, dovendo restar fuori dall’indagine il complesso degli elementi di valutazione che concorrono ai fini dell’accertamento della responsabilità dell’indagato; è sufficiente la semplice enunciazione, che non sia manifestamente arbitraria, di una ipotesi di reato, in relazione alla quale si appalesi, almeno allo stato la necessità di escludere la libera disponibilità della cosa pertinente a quel reto, possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato (Sez. 2, n. 18331 del 22/04/2016, COGNOME, Rv. 26689601; Sez. 4, n. 23944 del 21/05/2008, COGNOME, Rv. 240521-01).
Va, inoltre chiarito che integra il reato previsto dall’art. 4, comma 49, I. n 350 del 2003 in relazione all’art. 517 cod. pen., la importazione a fini di commercializzazione di capi abbigliamento corredate dalla dicitura “Made in Italy” che siano state assemblate in via definitiva all’estero, in considerazione della potenzialità ingannatoria dell’indicazione del luogo di fabbricazione del prodotto (Sez. 4, n. 3789 del 17/10/2014 – dep. 27/01/2015, Martini e altro, Rv. 263199).
Alla luce delle rassegnate precisazioni deve evidenziarsi che il ricorrente non prospetta un’interpretazione della disposizione incriminatrice diversa da quella adottata dal Tribunale, ma si limita a proporre una ricostruzione alternativa del quadro probatorio e a ribadire, a tal fine, una serie di circostanze smentite in punto di fatto dallo stesso Tribunale.
Quest’ultimo ha, infatti, chiarito – con argomentata valutazione di fatto insindacabile in questa sede – che i prodotti erano stati confezionati in maniera pressoché integrale in Albania, e che il Rugiano avrebbe solamente dovuto procedere a un lavoro di rifinitura, attività che, diversamente da quanto ritenuto dal ricorrente, non influisce sulla sussistenza della condotta.
Per questi motivi il ricorso va dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento de spese processuali e della somma di euro 3000 in favore della cassa de annmende.
Così deciso in Roma, in data 21/11/2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente