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Made in Italy: Sequestro per Falsa Origine Legittimo

Un’azienda di arredamento subisce il sequestro di mobili etichettati ‘made in Italy’ ma prodotti quasi interamente in Albania. La Cassazione respinge il ricorso, ritenendo sufficiente il sospetto di reato (fumus commissi delicti) di falsa origine e giudicando la lavorazione finale in Italia non abbastanza sostanziale da giustificare tale etichetta.

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Pubblicato il 10 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

“Made in Italy” e Lavorazione all’Estero: La Cassazione Conferma il Sequestro

L’etichetta made in Italy rappresenta un valore aggiunto riconosciuto in tutto il mondo, sinonimo di qualità, design e artigianalità. Proprio per questo, la sua tutela è al centro di una normativa stringente, volta a prevenire frodi e indicazioni ingannevoli. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito la severità di tali controlli, confermando il sequestro preventivo di beni di arredo prodotti quasi interamente all’estero ma commercializzati con la prestigiosa dicitura. Analizziamo insieme i dettagli di questo importante caso.

I Fatti: Mobili Etichettati “Made in Italy” ma Assemblati in Albania

Il caso ha origine dal sequestro di 77 cartoni contenenti pezzi di arredo, importati da una società italiana per essere commercializzati. Su questi imballaggi era apposta la stampigliatura “made in Italy”. Tuttavia, le indagini hanno rivelato che i prodotti non erano originari dell’Italia secondo la normativa europea. La fase di lavorazione principale, infatti, si era svolta in Albania, mentre in Italia sarebbe stata effettuata solo una fase finale di rifinitura.

L’imprenditore, legale rappresentante della società, sosteneva che proprio quest’ultima fase, consistente nella realizzazione delle sedute per le strutture metalliche, costituisse l'”ultima trasformazione sostanziale” richiesta dalla legge per poter legittimamente utilizzare l’etichetta. Le autorità, invece, hanno ritenuto che tale attività non fosse sufficiente a conferire l’origine italiana ai prodotti, configurando così l’ipotesi di reato di vendita di prodotti industriali con segni mendaci.

Il Percorso Giudiziario: Dal Sequestro al Ricorso in Cassazione

Il Giudice per le Indagini Preliminari (Gip) del Tribunale di Brindisi ha convalidato il sequestro, qualificandolo come preventivo, ravvisando il cosiddetto fumus commissi delicti, ovvero la parvenza di reato. La società ha impugnato il provvedimento davanti al Tribunale del Riesame, che ha però confermato la decisione del Gip, respingendo l’istanza di restituzione dei beni.

Contro l’ordinanza del Tribunale del Riesame, la difesa ha presentato ricorso per Cassazione, sollevando diverse questioni sia procedurali che di merito. Tra i motivi di ricorso, venivano lamentate presunte irregolarità nelle notifiche, vizi nella procedura di convalida del sequestro e, soprattutto, un’errata interpretazione della normativa sull’origine dei prodotti.

La Decisione della Cassazione sulla tutela del “Made in Italy”

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando di fatto la legittimità del sequestro preventivo. La decisione si basa su principi consolidati sia in materia procedurale che sostanziale riguardo alla tutela del made in Italy.

Le Motivazioni della Corte

La Suprema Corte ha innanzitutto chiarito che, in sede di riesame di un sequestro preventivo, non è necessario accertare la piena colpevolezza, ma è sufficiente verificare l’astratta configurabilità di un’ipotesi di reato. In questo caso, il fumus commissi delicti sussisteva, poiché i fatti contestati potevano rientrare nella fattispecie di vendita di prodotti con segni mendaci.

La Corte ha specificato che la verifica del giudice non deve trasformarsi in un giudizio anticipato di colpevolezza. È sufficiente che l’ipotesi di reato non sia manifestamente infondata. Nel merito, la Cassazione ha ricordato che integra il reato l’importazione per la commercializzazione di prodotti assemblati definitivamente all’estero ma recanti la dicitura “Made in Italy”, data la sua potenzialità ingannatoria.

Il Tribunale del Riesame aveva correttamente evidenziato, con una valutazione di fatto non sindacabile in sede di Cassazione, che i prodotti erano stati confezionati quasi integralmente in Albania. L’attività di rifinitura svolta in Italia è stata considerata non influente sulla sussistenza della condotta illecita, poiché non rappresentava quella “ultima trasformazione sostanziale” richiesta dalla normativa per attribuire l’origine italiana.

Le Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale: per poter apporre legittimamente l’etichetta made in Italy, non è sufficiente una minima o marginale lavorazione sul territorio nazionale. È necessario che in Italia avvenga l’ultima trasformazione o lavorazione “sostanziale” del prodotto, ovvero quella fase che conferisce al bene le sue caratteristiche finali e distintive. La valutazione di cosa sia “sostanziale” è un’analisi di fatto che, se motivata in modo logico e coerente dal giudice di merito, non può essere messa in discussione davanti alla Corte di Cassazione. Questa decisione rappresenta un forte monito per le imprese, sottolineando la necessità di un’applicazione rigorosa e trasparente delle norme a tutela dell’origine dei prodotti, un patrimonio di inestimabile valore per l’economia nazionale.

Quando un prodotto può essere legalmente etichettato come “made in Italy”?
Un prodotto può essere considerato di origine italiana e riportare l’indicazione “made in Italy” solo quando nel nostro Paese è avvenuta l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale del prodotto, cioè quella che gli conferisce le sue caratteristiche finali.

Per disporre un sequestro preventivo per falsa indicazione di origine è necessaria la prova certa della colpevolezza?
No, non è necessaria la prova della colpevolezza. Per il sequestro preventivo è sufficiente la sussistenza del cosiddetto fumus commissi delicti, ovvero l’astratta configurabilità di un reato sulla base degli elementi raccolti, senza che ciò costituisca un giudizio anticipato.

La dicitura “made in Italy” apposta solo sull’imballaggio è comunque penalmente rilevante?
Sì. La sentenza si basa su un caso in cui la stampigliatura era apposta sui soli imballaggi. La Corte ha ritenuto che l’importazione a fini di commercializzazione di prodotti con tale dicitura, anche se solo sull’imballaggio, integra il reato in considerazione della sua potenzialità ingannatoria verso il consumatore circa il luogo di fabbricazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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