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Luogo aperto al pubblico: carcere e oltraggio a P.U.

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di una detenuta condannata per oltraggio a pubblico ufficiale. La Corte conferma che un carcere è un luogo aperto al pubblico e che la mera possibilità di percezione delle offese da parte di più persone (altre detenute) è sufficiente per configurare il reato, senza necessità di identificare i presenti o che questi abbiano effettivamente udito le ingiurie.

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Pubblicato il 20 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Oltraggio in Carcere: Quando una Cella è un Luogo Aperto al Pubblico?

La recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta un tema di grande interesse pratico: la configurabilità del reato di oltraggio a pubblico ufficiale all’interno di un istituto penitenziario. La questione centrale ruota attorno alla definizione di luogo aperto al pubblico, un elemento essenziale per la sussistenza di questo specifico reato. La Suprema Corte, con una decisione netta, ha ribadito principi giuridici consolidati, fornendo chiarimenti cruciali per operatori del diritto e non solo.

Il Fatto: Offese nel Reparto Femminile

Il caso ha origine da una sentenza della Corte d’Appello che aveva condannato una detenuta per il reato previsto dall’art. 341-bis del codice penale. L’imputata aveva pronunciato espressioni ingiuriose nei confronti di alcuni pubblici ufficiali all’interno della Casa Circondariale. Il fatto si era svolto nel reparto femminile, alla presenza di numerose altre detenute.

La difesa della ricorrente ha tentato di smontare l’accusa basando il ricorso in Cassazione su due argomenti principali: l’assenza della presenza di “più persone” e, soprattutto, la non qualificabilità del carcere come “luogo aperto al pubblico”.

Il Ricorso e la Qualificazione del Carcere come luogo aperto al pubblico

Secondo la tesi difensiva, un istituto penitenziario non potrebbe essere considerato un luogo aperto al pubblico, data la sua natura restrittiva e di accesso limitato. Di conseguenza, verrebbe a mancare uno degli elementi costitutivi del reato di oltraggio, che richiede appunto che l’offesa avvenga in un luogo pubblico o aperto al pubblico e in presenza di più persone.

La difesa sosteneva che le mura di un carcere creassero un ambiente privato, escludendo la pubblicità richiesta dalla norma. Tuttavia, questa interpretazione è stata fermamente respinta sia in appello sia, in via definitiva, dalla Cassazione.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, definendolo “meramente riproduttivo” di censure già correttamente valutate e respinte dal giudice di merito. Gli Ermellini hanno ribadito due principi fondamentali.

In primo luogo, richiamando una propria precedente pronuncia (Sez. 6, n. 26028 del 15/05/2018), la Corte ha affermato senza esitazioni che le celle e gli ambienti penitenziari devono essere considerati un luogo aperto al pubblico. La nozione giuridica di “luogo aperto al pubblico” non coincide con quella di “luogo pubblico” (come una piazza o una via). Include, infatti, tutti quei luoghi dove l’accesso è consentito a determinate categorie di persone (in questo caso, detenuti, agenti di polizia penitenziaria, personale amministrativo, avvocati, ecc.) a determinate condizioni. Il carcere rientra pienamente in questa definizione.

In secondo luogo, per quanto riguarda il requisito della “presenza di più persone”, la Corte ha sottolineato che non è necessaria né l’identificazione dei presenti né la prova che essi abbiano effettivamente percepito le frasi offensive. È sufficiente, per integrare il reato, la mera possibilità che le offese potessero essere percepite dalle persone presenti (nel caso di specie, le altre detenute), come stabilito in un’altra sentenza di riferimento (Sez. 6, n. 29406 del 06/06/2018).

Conclusioni: Le Implicazioni della Pronuncia

La decisione consolida un orientamento giurisprudenziale chiaro: offendere l’onore e il prestigio di un pubblico ufficiale all’interno di un carcere, alla potenziale portata uditiva di altre persone, integra a tutti gli effetti il reato di oltraggio. Questa pronuncia ha importanti implicazioni pratiche, poiché stabilisce che le tutele previste per i pubblici ufficiali operano pienamente anche in contesti apparentemente “chiusi” come un istituto di pena. La qualificazione del carcere come luogo aperto al pubblico ai fini dell’art. 341-bis c.p. è dunque un principio cardine che definisce i confini della liceità dei comportamenti anche in contesti di detenzione.

Un carcere può essere considerato un ‘luogo aperto al pubblico’ ai fini del reato di oltraggio a pubblico ufficiale?
Sì, secondo la costante giurisprudenza della Corte di Cassazione, le celle e gli ambienti penitenziari sono qualificati come luogo aperto al pubblico, in quanto l’accesso è consentito a specifiche categorie di persone a determinate condizioni.

Per configurare il reato di oltraggio, è necessario che le persone presenti abbiano effettivamente sentito le offese?
No, la legge e la giurisprudenza ritengono che non sia necessaria l’effettiva percezione delle offese. È sufficiente la mera possibilità che le persone presenti nel luogo aperto al pubblico potessero sentirle.

Perché il ricorso in questo caso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché si è limitato a riproporre le stesse argomentazioni già correttamente esaminate e respinte dalla Corte d’Appello, senza introdurre nuovi e validi motivi di censura contro la sentenza impugnata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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