Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 29225 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 29225 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 02/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ROMA il 01/11/1968
avverso la sentenza del 30/10/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha chiesto accogliersi il ricorso e annullare con rinvio la sentenza impugnata e dell’avv
NOME COGNOME difensori di COGNOME, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 30/10/2024 la Corte d’appello di Roma confermò la sentenza con cui il Tribunale di Latina ritenne COGNOME NOME responsabile dei reati di cui agli artt. 44 let 95 d.P.R. 380/01 e, unificati i reati ex art. 81 cod. pen., lo condannò alla pena di mesi ot arresto ed € 35000,00 di ammenda con sospensione condizionale della pena.Fu, ancora, disposta “la confisca del lotto di terreno sito in Cori, alla località “lago Vetere”, di cui al foglio 45290 sub 4,6,7,8,9 e 10 e delle opere abusive ivi costruite”.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione COGNOME a mezzo del difensore, che, con il primo motivo, ha denunciato la violazione di legge processuale e la manifesta illogic
della motivazione. Si deduce che la Corte territoriale non aveva tenuto conto che gli immobili che insistevano sul sito risalivano agli anni ’50 per cui erano “sottratti alla legge urbanistic cui la loro demolizione e ricostruzione, assentita da atti amministrativi mai annullati, era tutto regolare.
2.1 Si contesta ancora la conclusione della Corte territoriale secondo cui “il rapporto pertinenzialità fra le opere accatastate al fg. 45 part. 290, sub 4,6,7,8,9 e 10 e quelle insi sul limitrofo fondo … accatastato… al foglio 45, part. 289 sub 1, 2 e 3 (ex particella 186) destinazione residenziale non risulta né in fatto dagli elaborati progettuali…né da alcuno provvedimenti anteriori alla DIA 16/7/2013”. Si assume che il vincolo di pertinenzialità è defin dall’art. 817 del cod. civ. il quale fa discendere l’instaurazione del vincolo dalla sola volontà del proprietario dell’immobile dominante e dall’effettiva destinazione a pertinenza di quelli serven Si sostiene, quindi, che COGNOME, divenuto proprietario degli immobili residenziali ubicati s part.11a 289 sub 1, 2 e 3, aveva destinato “i locali garage presenti nella particella 290…a immob a servizio di quelli residenziali”. “La mancata conoscenza”, ad avviso della difesa, della norm civilistica dettata dall’art. 817 cod. civ. aveva determinato un ulteriore errore di diritto, i giudici di merito ritenuto che non trovasse applicazione “l’art. 27-ter comma 3 del d.P. 380/01”, sull’assunto che gli immobili non appartenevano a categorie omogenee. In realtà, il vincolo di pertinenzialità attribuiva ai garage insistenti sulla particella 290 e agli immobili sulla particella 289 la medesima omogenea destinazione. E, difatti, il Comune di Cori aveva “assentito la SCIA con la quale, in applicazione della normativa introdotta nella legge regiona n. 21 del 2009”, era stato previsto l’ampiamento dei locali garage.
Con il secondo motivo, si denuncia la violazione dell’art. 606 comma 1 lett. a) pe esercizio di poteri riservati a organi amministrativi. Si lamenta che i giudici di merito avev disapplicato tutta una serie di atti amministrativi perfettamente legittimi che aveva correttamente valutato il vincolo di pertinenzialità esiste fra i garage e gli immobili real sulla particella n. 289.
Con il terzo motivo, si denuncia il vizio di motivazione in relazione all’elemento soggetti Si assume che, “con l’entrata in vigore dell’art. 27 ter comma 3 del d.P.R. 380/2001”, COGNOME s era rivolto al competente ente per trasformare i propri locali garage in abitazioni certo ch mutamento di destinazione sarebbe intervenuto tra immobili di categoria omogenea”. Per cui, avuto riguardo per “la sentenza del 3.2.1990, ric. Cancilleri” delle Sezioni unite, dov escludersi che fosse configurabile nei confronti dell’imputato il dolo richiesto per l’integra del reato di lottizzazione abusiva. Ma, ad avviso della difesa, a carico del ricorrente non configurabile neppure una condotta colposa, essendosi COGNOME limitato a dare attuazione ai provvedimenti amministrativi intervenuti e a recuperare immobili ab origine legittimamente realizzati. Si aggiunge che la stessa Corte territoriale non aveva potuto escludere che l’imputat
si fosse limitato a richiedere il cambio di destinazione senza realizzare alcun intervento edil sugli immobili.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile in quanto articolato in censure che non risultano proposte con gravame o che non si confrontano con la motivazione o manifestamente infondatk
Il primo motivo prospetta che gli immobili preesistenti sarebbero legittimi in quanto realiz prima del 1967.
Un tale dato non risulta dalla sentenza impugnata e non risulta neppure dedotto con i motivi di gravame.
La sentenza di primo grado, nella sintesi della Corte territoriale, indicava i manufatti insis sulla particella 290 foglio 45 come abusivi tant’è che COGNOME NOME, padre dell’imputato, nel 1995, aveva chiesto di sanarli.
Tale istanza confligge con il processo inferenziale sviluppato dal difensore, secondo cui l’epoc di ultimazione dei manufatti doveva essere necessariamente precedente all’anno 1960, risultando il sito estrattivo aver cessato la propria attività in epoca precedente, comprendendosi perché, in tale ipotesi ricostruttiva, il dante causa dell’imputato avrebbe chiest di sanare, con domanda del 1/4/1995, il piano terra e il primo piano dell’immobile di quattr piani, avente la destinazione d’uso magazzino, realizzato sulla particella 290 sub 1 del foglio 4
Oltre che tardivo, inoltre, l’argomento difensivo è meramente assertivo non indicando l’atto probatorio dal quale il dato inserito nel ragionamento probatorio sviluppato nel ricor discenderebbe e come lo stesso si concili con l’istanza di sanatoria da cui si dipanano le tram motivazionali dei giudici di merito.
La Corte territoriale, ancora, riprendendo quanto in proposito rilevato dal Tribunal sottolinea i molteplici profili di illegittimità del permesso di costruire n. 28 del 30 rilevando che: la concessione in sanatoria n. 9/2008 del 1/4/2008 non era stata ancora rilasciat quando, il 16/10/2007, era stata presentata la domanda di demolizione e ricostruzione che aveva determinato l’adozione del permesso di costruire n. 28/08; l’istanza di sanatoria riguardava sol una parte dell’edificio originario; gli immobili ricostruiti, nelle tavole di progetto, prese caratteristiche tali che ne rivelavano la vocazione residenziale, caratteristiche che aveva determinato la sospensione dei lavori con ordinanza n. 2 del 10/2/2009, un mese dopo revocata con ordinanza del 1/3/2009, che aveva accolto la domanda di variante presentata da COGNOME NOME permettendo il mantenimento di alcune delle difformità che conferivano vocazione residenziale all’edificio.
Tali profili di illegittimità sono semplicemente ignorati dal ricorso.
Ampio spazio ha, nella motivazione del Tribunale, siccome sintetizzata nella sentenza della Corte territoriale, la DIA del 2013 che rappresentava, per la prima volta, gli immobili insistevano sulla particella 290 come aventi destinazione residenziale.
Tale passaggio dell’argomentazione è, invece, oggetto delle censure della difesa che osserva che la volontà del proprietario aveva impresso un vincolo di pertinenzialità agli immobili ubica sulla particella 290 in favore di quelli edificati sulla particella n. 289 del fg. 45.
Tale argomento confligge con il consolidato principio di legittimità secondo cui “in materi edilizia, affinché un manufatto presenti il carattere della pertinenza si richiede che abbia propria individualità, che sia oggettivamente preordinato a soddisfare le esigenze di un edifici principale legittimamente edificato, che sia sfornito di autonomo valore di mercato, che abbia ridotte dimensioni, che sia insuscettibile di destinazione autonoma e che non si ponga in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti (Sez. 3, n. 25669 del 30/05/2012, COGNOME, Rv 253064 – 01).
Nel caso di specie, le sentenze danno motivatamente atto che già prima della DIA del 2013 gli immobili presentavano finiture e dotazioni non compatibili con la destinazione d’uso qual garage o magazzini. Si è, quindi, in presenza di manufatti autonomi, aventi un apprezzabile valore di mercato, la cui utilizzazione era del tutto slegata da quella degli immobili edificati particella n. 289.
Il ricorso, ancora, non si confronta con la motivazione della Corte d’appello che ha rileva che il rapporto di pertinenzialità, che aveva conferito destinazione residenziale agli immob realizzati sulla particella 290, era per la prima volta delineato nella DIA del 2013 per perdersen però, definitivamente traccia negli atti negoziali dell’anno successivo relativi alle unità abi illecitamente realizzate.
Immune da censure, quindi, è il ragionamento dei giudici di merito che hanno ritenuto che la natura non residenziale attribuita dalla concessione in sanatoria n. 9/2008 e dal permesso di costruire n. 28/2008 non permetteva di realizzare immobili destinati a civile abitazione nel particella n. 290 e, conseguentemente, che il permesso a costruire 30/2015 rilasciato da COGNOME era illegittimo.
Manifestamente infondato risulta il secondo motivo del ricorso che addebita ai giudici di merito di aver usurpato una funzione amministrativa ritenendo illegittimi gli atti amministrat che avevano permesso il recupero degli immobili insistenti sull’area.
La doglianza ripropone posizioni ancorate ai principi della Sezioni Unite Giordano (n. 3 de 31/1/1987, Rv. 175115) che da decenni la giurisprudenza ordinaria e amministrativa ha abbandonato, rilevando:
quanto all’incidenza di un provvedimento amministrativo su un reato già commesso, che il giudice penale deve “controllare, pieno iure, la sussistenza dei presupposti per la su emanazione e dei requisiti di forma e di sostanza richiesti dalla legge per il corretto esercizio potere di rilascio” ( Sez. 3, n. 9331 del 21/11/2023, Di Miglio);
che il rilascio del titolo abilitativo edilizia non esclude “l’affermazione della respons penale per i reati di edificazione abusiva o di lottizzazione abusiva ove si riscontri la diff dell’opera realizzata, o realizzanda, rispetto agli strumenti normativi urbanistici ovvero norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale, e non impone nemmeno una “disapplicazione” dell’atto amministrativo, limitandosi, il giudice, ad accertare la conformità fatto concreto alla fattispecie astratta descrittiva del reato, poiché una volta che const contrasto tra la lottizzazione e la normativa urbanistica, giunge all’accertamento dell’abusi realizzazione di opere edilizie prescindendo da qualunque giudizio sull’atto amministrativo (cf Sez. U, n. 11635 del 12/11/1993, COGNOME, Rv. 195359, nonché, più recente, Sez. 3, n. 55003 del 16/0672016, COGNOME, Rv 269288; Sez. 3, n. 36366 del 16/06/2015, COGNOME, Rv. 265034, e Sez. F, n. 33600 del 23/08/2012, COGNOME, Rv. 253426)” (Sez. 3, n. 33051 del 10/05/2017, P.g. e altri in proc. COGNOME e altri, Rv. 270644 – 01; più di recente Sez. 3, n. 45587 del 14/11/2 Marro).
A tali principi si è attenuata la Corte territoriale che non soltanto ha individuato, per og dei titoli abilitati intervenuti, gli eclatanti profili di illegittimità che impedivano che incidere sulla rilevanza penale delle opere realizzate ma ha, soprattutto, valutato globalment l’intervento sottolineando che costituiva attuazione ” di un complessivo disegno lottizzatori posto in essere in spregio alla destinazione impressa alla zona dal Piano Regolatore Generale”, volto a “mutare la destinazione agricola dell’area senza alcun riguardo agli strumenti urbanisti che la disciplinano”.
5. Generico, in quanto non si confronta con la motivazione della Corte territoriale, risult terzo motivo, prospettante la “mancanza dell’elemento soggettivo del reato”.
Va, in primo luogo, precisato che risulta ormai da tempo superato l’arresto giurisprudenziale richiamato in ricorso secondo cui il reato di lottizzazione abusiva è una contravvenzione di natur necessariamente dolosa (Sez. U, n. 2720 del 03/02/1990, COGNOME, Rv. 183494), essendo stato ripetutamente affermato, a partire da Sez. 3, n. 39916 del 01/07/2004, Rv. 230084, il principi secondo il quale il reato di lottizzazione abusiva non si configura come una contravvenzione esclusivamente dolosa, atteso che potendo realizzarsi sia per il difetto di autorizzazione lottizzare sia per contrasto con le prescrizioni di legge o con gli strumenti urbanistici, la s sia nella forma negoziale che materiale, può essere commessa anche per colpa (Sez. 3, n. 36940 dell’11/05/2005, Rv. 232189; Sez. 3, n. 17865 del 17/03/2009, Rv. 243750; Sez. 3, n. 38799 del 16/09/2015, Rv. 264718; Sez. 3, n. 15205 del 15/11/2019, dep. 2020, Capuano, Rv. 278915 – 02).
Ma, soprattutto, il motivo, prospettante che COGNOME aveva confidato nella legittimità dei ti edilizi rilasciati ai suoi danti causa non si confronta minimamente con la motivazione ch sorregge la decisione che imputata a COGNOME una pervicace volontà di mutare la destinazione agricola dell’area in spregio agli strumenti urbanistici vigenti.
Entrambe le sentenze di merito sottolineano come è con la DIA del 2013, presentata da COGNOME
NOME, per la prima volta venne formalizzata la destinazione residenziale di immobile che negli atti precedenti erano sempre rappresentati come magazzini o garage per i quali non era stato
mai autorizzato il cambio di destinazione, e come una tale trasformazione si ponesse in stridente contrasto non solo con la destinazione agricola dell’area ma anche con le previsioni dell’art. 5
L.R. 38/99 che prevedeva un lotto minimo di mq. 3000,00 per l’edificazione.
Non vi è, quindi, alcun margine di dubbio in ordine alla sussistenza del dolo configurato dai giudici di merito avendo l’imputato perseguito pervicacemente l’obiettivo di stravolgere l
destinazione agricola assegnata all’area dagli strumenti urbanistici mediante la trasformazione di locali magazzino preesistenti in tre villette autonome.
5. Il ricorso è, quindi, inammissibile e il ricorrente, conseguentemente, deve esser condannato al pagamento del grado del processo.
Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare i
colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi somma, determinata in via equitativa, di C 3.000,00 in favore della Cassa
delle ammende, esercitando la facoltà introdotta dall’art. 1, comma 64, I. n. 103 del 2017, di aumentare oltre il massimo la sanzione prevista dall’art. 616 cod. proc. pen. in caso d inammissibilità del ricorso, considerate le ragioni dell’inammissibilità stessa come sopr indicate.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende Così deciso il 2/7/2025