Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 32168 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Relatore: NOME
Penale Sent. Sez. 3 Num. 32168 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Data Udienza: 11/09/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta da
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME
NOME COGNOME
SENTENZA
Sui ricorsi proposti da: COGNOME NOMECOGNOME nato a Castellana Grotte il 02/02/1954, COGNOME, nata a Castellana Grotte il 05/02/1954, avverso la sentenza del 18/01/2024 della Corte di appello di Bari; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott.ssa NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità dei ricorsi; udito l’avv. NOME COGNOME del foro di Lecce, difensore di fiducia dei ricorrenti, che ha concluso chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 4 ottobre 2017 il Tribunale di Bari condannava NOME COGNOME e NOME COGNOME previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ed unificazione dei reati sotto il vincolo della continuazione, alla pena di due anni di arresto e 15.000,00 euro di ammenda ciascuno, oltre al pagamento delle spese processuali, per i reati di cui agli artt. 110 cod. pen., 44, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001, 146 e 181 d.lgs. n. 42 del 2004, per aver realizzato in assenza di permesso di costruire e di autorizzazione paesaggistica opere edili di nuova costruzione e di ristrutturazione edilizia in imputazione meglio specificate (capo A), nonchØ del reato di cui agli artt. 110 cod. pen., 30 e 44, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001, per aver lottizzato abusivamente un vasto terreno di circa 112.000 metri quadri, ricadente in zona ‘E1-Agricola’ del piano regolatore generale del comune di Castellana Grotte, mediante la realizzazione di un fabbricato principale destinato a sale ristoranti, ricevimenti ed abitazione, costituito da piano interrato, piano seminterrato, piano terra e primo piano, nonchØ da residenze turistico-alberghiere ed opere meglio specificate nel capo A, senza la prescritta autorizzazione ed in violazione delle NTA del PRG vigente del comune di Castellana Grotte e del PUTT Puglia, in particolare realizzando una nuova definizione dell’assetto territoriale esistente, privandolo della funzione di tutela di caratteristiche agricole, naturali e paesaggistico-ambientali e conferendogli un assetto di tipo turistico alberghiero con conseguente modifica del carico insediativo riveniente dalla sopravvenienza di nuovi fabbisogni di aree per i servizi pubblici ed attrezzature collettive di cui i fruitori delle strutture sono portatori (capo B). Il Tribunale concedeva il beneficio della sospensione condizionale della pena ad entrambi gli imputati e ordinava la confisca del
R.G.N. 15038/2025
terreno di cui al capo B, nonchØ dell’ampliamento non autorizzato del fabbricato 1 di cui al capo A della rubrica.
Con sentenza in data 18 gennaio 2024 la Corte di appello di Bari dichiarava non doversi procedere nei confronti degli imputati per estinzione dei reati per intervenuta prescrizione, confermando nel resto la sentenza impugnata.
Avverso la sentenza della Corte di appello di Bari, NOME COGNOME e NOME COGNOME tramite i loro comuni difensori, propongono ricorso per cassazione, articolando cinque motivi.
2.1. Con il primo motivo, lamentano violazione di legge ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., e vizio di motivazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., in relazione al mancato riconoscimento dell’intero decorso del termine di prescrizione prima della pronuncia del Tribunale di Bari.
In sintesi, la difesa premette che il Tribunale di Bari aveva qualificato il fatto ascritto ai ricorrenti in termini di contravvenzione, non di delitto, anche per il reato paesaggistico ex art. 181 d.lgs. n. 42 del 2004, cosicchŁ, essendo cessata la permanenza in data 15/01/2013 con l’intervenuto sequestro degli immobili, dalla data del decreto di citazione a giudizio (25/02/2013), ultimo atto interruttivo del corso della prescrizione, alla data della sentenza di primo grado (04/10/2017) era abbondantemente decorso il termine di quattro anni corrispondente alla prescrizione breve, c.d. interfasica o intermedia, non essendo intervenuto, in quel lasso di tempo, un nuovo atto interruttivo, con la conseguenza che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perchØ il reato ascritto agli imputati si Ł estinto per intervenuta prescrizione prima ancora della pronuncia di primo grado, con conseguente revoca della confisca, non avendo i ricorrenti rinunciato alla prescrizione.
2.2. Con il secondo motivo, lamentano erronea applicazione della legge penale ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., per violazione dell’art. 129 cod. proc. pen. ed illegittimità della confisca.
Premette la difesa che il giudice di primo grado potrà disporre la confisca solo ove, anteriormente al momento di maturazione della prescrizione, sia stato comunque accertato, nel contraddittorio delle parti, il fatto di lottizzazione nelle sue componenti oggettive e soggettive, per cui solo l’esistenza di una pronuncia di condanna, quanto meno in primo grado, rappresenta il requisito indispensabile per disporre la confisca. Osserva la difesa che, nel caso di specie, alla data del 25/02/2017, in cui era decorso il termine di prescrizione, il dibattimento non era stato chiuso e il pieno contraddittorio sulle prove si era svolto nelle udienze successive, per cui la confisca non era stata validamente disposta, essendo stato accertato il fatto solo in epoca successiva al momento estintivo del reato di lottizzazione abusiva.
2.3. Con il terzo motivo, lamentano erronea applicazione della legge penale ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., e illogicità della motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. in relazione alla confisca e alla sua sproporzione.
Deducono i ricorrenti di aver concordato con il pubblico ministero un piano di demolizione di tutte le opere diverse da quelle poste al servizio dell’attività di ristorazione e di quelle adibite ad uso abitativo del ricorrente NOME COGNOME e della figlia, sicchŁ la parte realizzata senza titolo dei villini Ł stata spontaneamente demolita dagli imputati, in tal modo escludendo qualsiasi lottizzazione abusiva. Lamenta ancora la difesa che la confisca ha riguardato l’ampliamento della sala ricevimento che non ha inciso nØ sulla destinazione d’uso dell’area, nØ sul carico urbanistico, avendo avuto ad oggetto il preesistente immobile in cui i ricorrenti esercitavano da molti anni regolarmente l’attività di sala ricevimenti.
2.4. Con il quarto motivo, lamentano erronea applicazione della legge penale ai sensi
dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., ed illogicità della motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. in relazione alla insussistenza delle ipotesi contestate.
In sintesi, la difesa richiama l’art. 37 delle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale di Castellana che non pone alcun divieto di esercizio dell’attività di ristorazione in zona agricola, attività del tutto compatibile con il contesto rurale in cui Ł inserita, non pregiudicando in alcun modo gli interessi tutelati dalle norme che disciplinano le aree agricole, tanto che nella città di Castellana vi sono altre 14 strutture che esercitano in zona agricola la medesima attività, mentre il mutamento di destinazione d’uso del corpo principale della sala ricevimenti Ł stato oggetto di sanatoria (provvedimenti n. 7 del 18/04/1991 e n. 135 del 29/07/2005).
Sostengono, inoltre, i ricorrenti che la destinazione di tipo alberghiero non risulta sorretta da alcun idoneo elemento probatorio: la destinazione alberghiera Ł stata desunta dalla presenza di una pluralità di manufatti di tipo villino, ma effettivamente i villini presenti sono solo due, l’uno adibito a residenza della figlia dei ricorrenti e del suo nucleo familiare, tanto che il pubblico ministero ne ha concesso la facoltà d’uso, l’altro Ł stato oggetto del piano di demolizione.
2.5. Con il quinto motivo, lamentano erronea applicazione della legge penale ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., ed illogicità della motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. in relazione alla contestazione della lottizzazione abusiva anzichØ del semplice abuso edilizio.
Osserva la difesa che la sentenza impugnata, che ha erroneamente ritenuto la lottizzazione abusiva, Ł fondata sulla errata premessa che sia stata conferita destinazione alberghiera agli interventi di ampliamento.
Deducono i ricorrenti l’insussistenza dei presupposti per la configurazione della lottizzazione abusiva, posto che a) l’opera di ampliamento della originaria sala ricevimenti era soggetta ad intervento autorizzatorio diretto, e non a preventiva approvazione di un piano di lottizzazione, sussistendo nella zona le necessarie opere di urbanizzazione primaria, b) le opere realizzate non hanno determinato una modificazione del territorio tale da creare una nuova maglia di tessuto urbano, c) l’ampliamento dell’originario immobile destinato a sala ricevimenti non ha comportato la realizzazione di nuove opere di urbanizzazione, d) la destinazione dell’area Ł rimasta sempre quella originariamente autorizzata (ristorazione), e) l’immobile era già dotato di tutti i necessari servizi, f) non sono stati effettuati atti di frazionamento e/o di compravendita da cui far discendere l’intento lottizzatorio.
E’ pervenuta memoria degli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME difensori di fiducia dei ricorrenti, contenente motivi aggiunti in relazione al primo e al terzo motivo di ricorso.
3.1. Contestano i ricorrenti la memoria del Procuratore generale nella parte in cui Ł stato affermato che la questione dell’avvenuto compimento della prescrizione prima della sentenza di primo grado non sia stata dedotta nel giudizio di primo grado e non abbia poi costituito motivo di appello, nØ sia stata dedotta nel giudizio di impugnazione, in ragione della motivazione della sentenza impugnata e, soprattutto, della circostanza che la questione, essendosi su di essa pronunciata la Corte di appello, non può essere sottratta al controllo di legittimità. Ribadiscono i ricorrenti che, successivamente alla data del sequestro, non Ł stata posta in essere alcuna attività, nØ materiale, nØ negoziale, tranne le attività di ripristino dei luoghi in esecuzione di un piano di demolizione autorizzato dal pubblico ministero. La prescrizione del reato Ł quindi maturata, al piø tardi, il 25/02/2017, con la
conseguenza che tutte le attività istruttorie espletate successivamente a tale data, nel giudizio di primo grado e in quello di appello, in particolare l’acquisizione della relazione del consulente del pubblico ministero e l’esame del consulente medesimo su cui si fonda l’affermazione di responsabilità degli imputati, sono illegittime ed inutilizzabili per violazione dell’art. 129 cod. proc. pen. Contestano ancora i ricorrenti la memoria del Procuratore generale nella parte in cui Ł stato affermato che il tema della incompletezza della istruttoria alla data della maturata prescrizione non era stato dedotto con l’atto di appello, non essendo stato tenuto conto del quinto motivo dell’atto di appello alle pagine 16 ss.
3.2. Eccepisce la difesa che l’attività istruttoria posta in essere dalla Corte di appello, a partire dalla prima udienza del 26/01/2023, al fine del compiuto accertamento della sussistenza degli elementi idonei a giustificare la confisca delle aree Ł inutilizzabile per violazione dell’art. 129 cod. proc. pen., essendo stata comunque espletata in epoca successiva al 04/10/2017, epoca di maturazione del termine lungo di prescrizione.
Eccepisce, inoltre, la difesa la violazione dei principi di adeguatezza e proporzionalità nell’applicazione della confisca, perchØ confermata sulla base della attività istruttoria posta in essere in violazione dell’art. 129 cod. proc. pen., peraltro non considerando che il ripristino dello stato dei luoghi era stato pressochŁ integrale, non avendo riguardato il solo fabbricato principale e l’ampliamento non autorizzato di tale corpo principale, opere costituenti un profilo marginalissimo rispetto alle attività oggetto di contestazione per il reato di lottizzazione abusiva, in tal modo omettendo di valutare gli elementi indicati dalla CEDU, ovverosia la possibilità di adottare misure meno restrittive, quali la demolizione delle opere non conformi alle disposizioni pertinenti o l’annullamento del progetto di lottizzazione, la natura illimitata della sanzione derivante dal fatto che può comprendere indifferentemente aree edificate e non edificate e anche appartenenti a terzi, il grado di colpa o di imprudenza dei ricorrenti o, quanto meno, il rapporto tra la loro condotta e il reato in questione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo e il secondo motivo di ricorso, congiuntamente esaminati perchØ incentrati sul tema della intervenuta prescrizione del reato, sono inammissibili perchØ non prospettati nei motivi di appello e, quindi, nuovi.
1.1. Infatti, non sono deducibili con il ricorso per cassazione questioni che non abbiano costituito oggetto di motivi di gravame, dovendosi evitare il rischio che in sede di legittimità sia annullato il provvedimento impugnato con riferimento ad un punto della decisione che Ł stato intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello, con conseguente inconfigurabilità di un vizio di motivazione (Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, COGNOME, Rv. 270316; Sez. 2, n. 34044 del 20/11/2020, COGNOME, Rv. 280306).
Nella motivazione della citata pronuncia n. 29707 del 08/03/2017, Ł stato precisato che “il parametro dei poteri di cognizione del giudice di legittimità Ł delineato dall’art. 609 cod. proc. pen., comma 1, il quale ribadisce in forma esplicita un principio già enucleato dal sistema, e cioŁ la commisurazione della cognizione di detto giudice ai motivi di ricorso proposti. Detti motivi – contrassegnati dall’inderogabile “indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto” che sorreggono ogni atto d’impugnazione (art. 581 cod. proc. pen., comma 1, lett. d), e art. 591 cod. proc. pen., comma 1, lett. c) – sono funzionali alla delimitazione dell’oggetto della decisione impugnata ed all’indicazione delle relative questioni, con modalità specifiche al ricorso per cassazione. La disposizione in esame deve infatti essere letta in correlazione con quella dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 3 nella parte in cui prevede la non deducibilità in cassazione delle questioni non prospettate nei motivi di appello. Il combinato disposto delle due norme impedisce la proponibilità in
cassazione di qualsiasi questione non prospettata in appello, e costituisce un rimedio contro il rischio concreto di un annullamento, in sede di cassazione, del provvedimento impugnato, in relazione ad un punto intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello: in questo caso, infatti Ł facilmente diagnosticabile in anticipo un inevitabile difetto di motivazione della relativa sentenza con riguardo al punto dedotto con il ricorso, proprio perchØ mai investito della verifica giurisdizionale”.
E tale conclusione vale anche quando venga genericamente prospettata nei motivi di appello una censura solo successivamente illustrata in termini specifici con la proposizione del ricorso in cassazione.
Orbene, nel caso in esame, la questione della prescrizione intervenuta prima della emissione della sentenza di primo grado non era stata dedotta davanti al giudice di primo grado (cfr., conclusioni riportate in sentenza), nØ aveva costituito oggetto dei motivi di appello o comunque era stata dedotta davanti ai giudici di secondo grado (cfr., memoria depositata all’udienza del 26/01/2023). Del pari, non era stata sollevata la questione della incompletezza dell’istruttoria e, quindi, del mancato accertamento della lottizzazione al momento della maturata prescrizione individuata in ricorso nella data del 25/02/2017, vale a dire al decorso dei quattro anni dalla emissione del decreto di citazione a giudizio avvenuta il 25/02/2023.
1.2. In ogni caso, diversamente da quanto prospettato nel primo motivo di ricorso, Ł ormai consolidato il principio secondo cui, anche in presenza di dichiarazione di estinzione del reato di lottizzazione abusiva, il giudice possa disporre la confisca urbanistica; la confisca di cui all’art. 44, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001 prescinde dalla necessità di una sentenza di condanna formale, potendosi fondare, la legittimità del provvedimento ablatorio, su un accertamento del fatto nelle sue componenti oggettive e soggettive, nel contraddittorio delle parti e dunque anche con le forme di una pronuncia di estinzione del reato per prescrizione.
Invero, la giurisprudenza di legittimità, nella sua piø autorevole composizione (Sez. U, n. 13539 del 30/01/2020, COGNOME, Rv. 278870), ha precisato che, in tema di lottizzazione abusiva, la confisca di cui all’art. 44, comma 2, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, può essere disposta anche in presenza di una causa estintiva del reato determinata dalla prescrizione, purchØ la sussistenza del fatto sia stata già accertata, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, nell’ambito di un giudizio che abbia assicurato il pieno contraddittorio e la piø ampia partecipazione degli interessati, fermo restando che, una volta intervenuta detta causa, il giudizio, in applicazione dell’art. 129, comma 1, cod. proc. pen., non può proseguire al solo fine di compiere il predetto accertamento.
NØ può essere sostenuto, secondo le citate Sezioni Unite, che, in tema di provvedimenti sanzionatori che conseguono all’accertamento di una lottizzazione abusiva, possa desumersi dalla disciplina in materia l’esistenza di una sorta di pregiudiziale penale, ovvero di previa verifica della sussistenza della responsabilità penale di cui all’art. 44, comma 1, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001 come del resto piø volte affermato dalla giurisprudenza amministrativa (così, Cons. Stato, Sez. 6, n. 2082 del 3/04/2018; negli stessi termini, Cons. Stato, Sez. 6, n. 1888 del 26/03/2018; Cons. Stato, Sez. 6, n. 1878 del 23/03/2018; cfr. TAR Toscana, Sez. 3, n. 1643 del 19/12/2018; TAR Toscana, n. 509 del 30/03/2015; T.A.R. Toscana, Sez. 3, Sent. n. 893 del 29/05/2014).
Anche il Giudice delle leggi (Corte cost. n. 49 del 2015) e la Corte Edu (Corte E.D.U. del 28 giugno 2018, G.I.E.M. c. Italia, Corte E.D.U. del 29 ottobre 2013, Varvara c. Italia) hanno ritenuto legittima la confisca dei beni oggetto di lottizzazione abusiva anche quando
non sia intervenuta sentenza di condanna, purchŁ vi sia stato un pieno accertamento della responsabilità personale di chi Ł soggetto alla misura ablativa (così la sentenza della Corte costituzionale n. 49 del 2015 e n. 187 del 2015).
Sul punto, le Sezioni Unite COGNOME hanno affermato la valenza, rispondente a principi di ordine costituzionale, dell’obbligo di immediata declaratoria della causa di estinzione del reato posto dall’art. 129, comma 1, cod. proc. pen., unicamente derogabile, in melius, dal comma 2 della stessa norma, laddove già risulti con evidenza la sussistenza di una causa di proscioglimento nel merito e, in peius, nel senso, cioŁ, di consentire ugualmente la prosecuzione del processo ai fini dell’adozione di provvedimenti lato sensu sanzionatori, solo in presenza di norme che espressamente statuiscano in tal senso.
L’art. 129 cod. proc. pen. Ł stato da sempre interpretato dalla Corte di legittimità come espressivo di un obbligo per il giudice di pronunciare con immediatezza, nel momento di sua formazione ed indipendentemente da quello che sia «lo stato e il grado del processo», sicchØ, secondo le citate Sezioni unite «l’art. 129 si muove nella prospettiva di troncare, allorchØ emerga una causa di non punibilità, qualsiasi ulteriore attività processuale e di addivenire immediatamente al giudizio, anche se fondato su elementi incompleti ai fini di un compiuto accertamento della verità da un punto di vista storico».
Due sono, infatti, secondo quanto affermato in particolare da Sez. U, n. 17179 del 27/02/2002, Conti, Rv. 221403, le funzioni fondamentali che assolve tale norma, la prima essendo quella di favorire l’imputato innocente (o comunque da prosciogliere o assolvere), prevedendo l’obbligo dell’immediata declaratoria di cause di non punibilità “in ogni stato e grado del processo”, e, la seconda, quella di agevolare in ogni caso l’exitus del processo, ove non appaia concretamente realizzabile la pretesa punitiva dello Stato; implicita in tali funzioni ve ne sarebbe poi una terza, consistente nel fatto che l’art. 129 cit. rappresenta, sul piano processuale, la proiezione del principio di legalità stabilito sul piano del diritto sostanziale dall’art. 1 cod. pen.
Il giudice di primo grado, dunque, contrariamente a quanto dedotto nel primo motivo di ricorso, potrà disporre la confisca anche in presenza di una causa estintiva determinata dalla prescrizione del reato, purchŁ, anteriormente al momento di maturazione della prescrizione, sia stato comunque già accertato, nel contraddittorio delle parti, il fatto di lottizzazione nelle sue componenti oggettive e soggettive; fermo restando che, una volta intervenuta una causa estintiva del reato, il giudizio non può, in applicazione dell’art. 129, comma 1, cod. proc. pen., proseguire al solo fine di compiere il predetto accertamento.
1.3. Quanto al secondo motivo di ricorso, la giurisprudenza di legittimità (per tutte Sez. 3, n. 43235 dell’11/10/2023, Estero, Rv. 285287) Ł ferma nel ritenere che la prescrizione del reato possa essere dichiarata anche solo in presenza della avvenuta acquisizione di talune delle prove richieste e ammesse, e, quindi, anche a prescindere dalla intervenuta raccolta dell’intero corredo probatorio proposto dalle parti, in linea con il chiaro dettato normativo di cui al primo comma dell’art. 129 cod. proc. pen., per cui ‘in ogni stato e grado del processo, il giudice, il quale riconosce che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non Ł previsto dalla legge come reato ovvero che il reato Ł estinto o che manca una condizione di procedibilità, lo dichiara di ufficio con sentenza’.
Allo stesso modo, la nozione di ‘pieno accertamento’ del fatto ai fini di una pronuncia di confisca non si correla in alcun modo ad una data tipologia di prove da esaminare (tantomeno necessariamente e congiuntamente a tutte quelle proposte dall’accusa e dalla difesa) e tantomeno ad una ritenuta completezza del compendio probatorio. Del resto, il principio per cui l’accertamento di un fatto possa avvenire anche solo con parte delle prove
prospettate e ammesse, e persino in funzione di condanna, Ł immanente nel sistema, se solo si pensi alla formale disciplina per cui, seppure a date condizioni, il giudice può anche revocare l’ammissione di prove già ammesse (cfr. art. 190, comma 3, cod. proc. pen.).
Deve essere sottolineato come, nel caso concreto, l’acquisizione nel giudizio di primo grado della consulenza tecnica dell’arch. NOME COGNOME che i ricorrenti sostengono essere intervenuta dopo il decorso del termine di prescrizione dei reati, sia avvenuta con il consenso delle parti (v. pagina 1 della sentenza di primo grado). Allo stesso modo, l’audizione del predetto consulente tecnico in sede di rinnovo dibattimentale in appello Ł avvenuta su specifica richiesta del Procuratore generale e della difesa degli imputati.
In ogni caso, la verifica dell’acquisizione, alla data di maturazione del tempo necessario a prescrivere, di prove necessarie e sufficienti a ritenere accertato il reato in ogni sua componente, oggettiva e soggettiva, Ł questione di fatto sindacabile in sede di legittimità nei limiti stabiliti dagli artt. 606 e 609 cod. proc. pen. e sempre che tale questione sia stata devoluta in sede di merito (Sez. 3, n. 11389 del 14/12/2023, dep. 2024, Oddo, Rv. 286049).
Nella fattispecie in esame, pertanto, il predetto accertamento, non essendo stato dedotto nel giudizio di appello ed avendo natura fattuale, non può essere devoluto per la prima volta in sede di legittimità.
Il terzo motivo di ricorso Ł infondato.
Sul tema della proporzionalità della misura ablatoria, giova ricordare che la Corte EDU, nell’esaminare la dedotta violazione dell’art. 1 del Protocollo 1 alla Convenzione EDU («Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale. Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende») ha precisato che l’articolo contiene tre norme distinte (la prima, espressa nella prima frase del primo comma e di carattere generale, enuncia il principio del rispetto della proprietà; la seconda, contenuta nella seconda frase dello stesso comma, riguarda la privazione di proprietà e la subordina a determinate condizioni; quanto alla terza, inserita nel secondo comma, essa riconosce agli Stati il potere, tra altri, di regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale e di assicurare il pagamento delle ammende) tra di loro correlate, poichØ la seconda e la terza riguardano particolari esempi di violazione del diritto di proprietà e devono essere interpretate alla luce del principio sancito dalla prima, operando un rinvio alla propria giurisprudenza (tra altre, James e altri c. Regno Unito, 21 febbraio 1986, § 37, serie A n. 98, e Iatridis c. Grecia, n. 31107/96, § 55, CEDU 1999-11). Pertanto, l’ingerenza dell’autorità pubblica nel godimento del diritto al rispetto dei beni, da un lato, deve avere un fondamento giuridico, poichØ la privazione della proprietà Ł consentita solo alle condizioni previste dalla legge; dall’altro, deve avvenire in modo che sia assicurato un giusto equilibrio tra le esigenze d’interesse generale e quelle del singolo, alla stregua di un ragionevole rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito, secondo alcuni indicatori espressamente elencati al § 301 della decisione (la possibilità di adottare misure meno restrittive, quali la demolizione di opere non conformi alle disposizioni pertinenti o l’annullamento del progetto di lottizzazione; la natura illimitata della sanzione derivante dal fatto che può comprendere indifferentemente aree edificate e non edificate e anche aree appartenenti a terzi; il grado di colpa o di imprudenza dei ricorrenti o, quanto meno, il rapporto tra la loro condotta e il reato in questione). La Corte EDU ha anche sottolineato l’importanza degli obblighi procedurali di cui
all’art. 1 cit., poichØ l’ingerenza nei diritti ivi previsti non può essere legittimamente esercitata in 6 assenza di un contraddittorio che rispetti il principio della parità delle armi e consenta di discutere aspetti importanti per l’esito della causa.
Sulla base di tali indicazioni, la giurisprudenza di questa Corte ha affermato che, ai fini della valutazione della conformità della confisca al principio di protezione della proprietà di cui all’art. 1 del Prot. n. 1 CEDU, come interpretato dalla pronuncia della Grande Camera della Corte EDU del 28 giugno 2018, G.I.RAGIONE_SOCIALE, assume rilievo anche l’aspetto dell’individuazione dei beni oggetto della misura, nel senso che il provvedimento ablatorio Ł legittimo se limitato ai beni immobili direttamente interessati dall’attività lottizzatoria e ad essa funzionali (Sez. 3, n. 14743 del 20/02/2019, COGNOME, Rv. 275392; Sez. 3, n. 31282 del 27/03/2019, COGNOME, Rv. 277167; Sez. 3, n. 38484 del 05/07/2019, COGNOME Rv. 277322; Sez. 3, n. 47280 del 12/09/2019, Cancelli, Rv. 277363).
E’ stato anche precisato che Ł conforme al principio di protezione della proprietà di cui all’art. 1 del Prot. n. 1 CEDU, come interpretato dalla pronuncia della Grande Camera della Corte EDU del 28 giugno 2018, G.I.ERAGIONE_SOCIALE, la confisca di tutta l’area oggetto della lottizzazione, compresi gli edifici sulla stessa realizzati, laddove la complessiva operazione edilizia realizzata abbia determinato il completo stravolgimento della destinazione urbanistica dei terreni (Sez. 3, n. 7756 del 03/10/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278167: nella fattispecie esaminata la zona, destinata all’allevamento e all’agricoltura, era stata destinata a finalità residenziali; nello stesso senso, Sez. 3, n. 40784 del 03/10/2024, Testa, non mass.).
Ed Ł quanto accaduto nel caso di specie in cui la Corte territoriale ha confermato quanto accertato dal giudice di primo grado, vale a dire che un’area di circa dodici ettari era stata interessata da trasformazioni urbanistiche ed edilizie di notevole rilevanza, consistenti in realizzazione di viabilità di collegamento, recinzioni di altezza variabile fino a tre metri, muri di contenimento, alterazioni dell’assetto morfologico del terreno, realizzazione di nuovi edifici, ristrutturazione di edifici esistenti con modifiche di prospetti, sagome, volumi e superfici, realizzazione di giardini, viali pavimentati, aree di parcheggio, aiuole, vasche, fontane e diversi impianti tecnologici, in tal modo conferendo all’area interessata un diverso assetto territoriale, tale da creare una nuova maglia di tessuto urbano e una nuova definizione dell’assetto territoriale conseguente alla trasformazione della destinazione agricola dei terreni in destinazione turistico-alberghiera.
NØ assume rilievo ai fini della valutazione della proporzionalità della misura ablatoria, il dedotto piano di demolizione di tutte le opere diverse da quelle poste al servizio dell’attività commerciale di ristorazione e di quelle adibite ad uso abitativo del ricorrente e della figlia, alla luce del principio affermato da questa Corte, secondo cui Ł solo la effettiva ed integrale eliminazione di tutte le opere eseguite in attuazione dell’intento lottizzatorio, nonchØ dei pregressi frazionamenti, con conseguente ricomposizione fondiaria e catastale dei luoghi nello stato preesistente ed in assenza di definitive trasformazioni, se dimostrata, a rendere superflua la confisca dei terreni perchØ misura sproporzionata alla luce dei parametri di valutazione del principio di protezione della proprietà di cui all’art. 1 del Prot. n. 1 della Convenzione EDU, come interpretato dalla pronuncia della Corte EDU del 28 giugno 2018, G.IRAGIONE_SOCIALE Italia (Sez. 3, n. 12640 del 05/02/2020, COGNOME, Rv. 278765). Nella fattispecie, infatti, si Ł trattato di un intervento di ripristino solo parziale: la Corte territoriale, oltre a mettere in evidenza il grado di colpa e di imprudenza degli imputati e la loro condotta del tutto indifferente alle potestà dell’Amministrazione pubblica, del tutto ignorata nella realizzazione di opere importanti, sottolinea la portata limitata dell’attività di ripristino, all’esito
della quale l’area continua a non avere alcunchŁ di agricolo.
La decisione Ł dunque sorretta da motivazione congrua e corretta in diritto.
Il quarto e il quinto motivo di ricorso, esaminati congiuntamente perchØ connessi, sono infondati.
Contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, gli imputati hanno realizzato un insieme di opere edilizie non integranti singoli abusi edilizi, ma comportanti una trasformazione urbanistica ed edilizia dei terreni, secondo un disegno urbanistico unitario dell’area in pregiudizio della riserva pubblica di pianificazione, che aveva impresso all’area una destinazione agricola, sottolineando come il complesso di edificazioni incriminato Ł quasi tutto abusivo (cfr., pagina 5 della sentenza di secondo grado) in una prospettiva residenziale o turistico alberghiera incompatibile con la destinazione agricola dell’area. L’affermazione della difesa circa la inesistenza della destinazione alberghiera Ł smentita dalla Corte territoriale sulla base dello stato dei luoghi che, sviluppando plurimi organismi edilizi autonomi raccordati tra loro attraverso opere di viabilità, recinzioni ed impianti di illuminazione esterna, che i ricorrenti non precisano in che termini fossero destinati a pertinenze necessarie dell’attività di ristorazione, rivela una destinazione turisticoalberghiera. Per altro verso, se Ł vero che l’art. 37 delle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale non pone divieti di esercizio dell’attività di ristorazione in zona agricola, Ł stato logicamente e correttamente affermato dalla Corte territoriale, in sintonia con i principi affermati dalla giurisprudenza amministrativa, che l’attività di ristorazione deve delinearsi a completamento di un’attività anzitutto di produzione agricola, che invece non risulta svolta, neanche in misura marginale, concludendo senza vizi logici che l’accertato mutamento di destinazione rende non rilevante l’aumento del carico urbanistico, comunque riscontrabile nelle opere di viabilità, di elettricità, termiche concretamente realizzate parallelamente alla realizzazione dei fabbricati, con una lottizzazione di tipo materiale e non negoziale, che dunque prescinde da atti di frazionamento e/o di compravendita.
Deve essere rimarcato, infine, che il sopravvenuto rilascio di un permesso di costruire può eventualmente legittimare, ricorrendone i presupposti, soltanto le opere che costituiscono oggetto della lottizzazione, ma non comporta alcuna valutazione di conformità di tutta la lottizzazione alle scelte generali di pianificazione urbanistica, con la conseguenza che il rilascio di piø titoli abilitativi nell’area interessata da una lottizzazione abusiva non rende lecita tale attività (Sez. 3, n. 44517 del 17/07/2019, COGNOME, Rv. 277261; Sez. 3, n. 28532 del 23/6/2009, COGNOME, Rv. 244441; Sez. 3, n. 9982 del 21/11/2007, dep. 2008, COGNOME, Rv. 23898). Questa Corte ha, infatti, piø volte affermato come possa incidere sulla confisca correlata al reato di lottizzazione abusiva solo uno specifico atto dell’Autorità amministrativa competente che riconosca ex post la conformità della lottizzazione agli strumenti urbanistici generali vigenti sul territorio (Sez. 3, n. 4373 del 13/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258921; nello stesso senso, Sez. 3, n. 18527 del 24/03/2022, COGNOME, non mass.; Sez. 3, n. 43591 del 18/2/2015, COGNOME, Rv. 265153, secondo cui l’eventuale autorizzazione ex post a lottizzare non estingue il reato di lottizzazione abusiva, ma, qualora la sanatoria per la lottizzazione sia stata legittimamente concessa, ciò può incidere solo sulla confisca che non può essere disposta dal Giudice penale in quanto l’Autorità amministrativa competente, riconoscendo ex post la conformità della lottizzazione agli strumenti urbanistici generali vigenti sul territorio, ha inteso evidentemente lasciare il terreno lottizzato alla disponibilità dei proprietari, rinunciando implicitamente ad acquisirlo al patrimonio indisponibile del Comune).
Sulla base delle considerazioni che precedono, i ricorsi devono essere rigettati e i
ricorrenti devono essere condannati al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così Ł deciso, 11/09/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME