Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 7290 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6   Num. 7290  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 24/01/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
NOME, nato a Milano il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nato a Seminara (RC) il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 17/11/2022 della Corte di appello di Torino;
visti gli atti del procedimento, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso di COGNOME e l’inammissibilità di quello di COGNOME;
udito il difensore dei ricorrenti, AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’accoglimento dei ricorsi
RITENUTO IN FATTO
Con separati atti del loro difensore, NOME COGNOME e NOME COGNOME impugnano la sentenza della Corte di appello di Torino del 17 novembre 2022, che, in sede di rinvio dalla Corte di cassazione, ne ha confermato la condanna per il delitto di riciclaggio, commesso in concorso tra loro e con altre persone.
1.1. In sintesi, COGNOME, attraverso una società a lui riferibile, con atto d compravendita del 13 luglio 2005, si è reso fittizio acquirente di alcuni terreni nella
disponibilità effettiva del COGNOME e della sua famiglia, da questi ultimi acquisiti attraverso i proventi illegali del narcotraffico; terreni che COGNOME ha poi venduto ad ulteriori proprietari fittizi il 26 novembre 2008. Vero artefice di tali operazioni è stato principalmente NOME COGNOME, che ha agito per conto e nell’interesse di NOME COGNOME, del quale era uomo di fiducia.
1.2. Sulla base di tale ricostruzione dei fatti, la Corte d’appello, ravvisando distinti reati di riciclaggio per ognuno dei passaggi di proprietà di quei terreni, ha dichiarato prescritto, nei confronti di COGNOME, il reato da lui commesso con l’acquisto del 2005, mentre ne ha confermato la condanna per quello realizzato con la vendita del 2008.
Nei confronti di COGNOME, invece, ha ritenuto che la sua condotta delittuosa sia cessata con l’ultima di quelle successive compravendite fittizie, avvenuta il 30 luglio 2009, escludendo perciò la maturazione della prescrizione. A tal fine, la Corte d’appello ha valorizzato una conversazione intercettata nel novembre del 2017 tra NOME COGNOME e suo figlio NOME, in cui quest’ultimo riferiva che l’identità del titolare, a quel momento, della società proprietaria dei terreni era conosciuta da «zio NOME», identificato per l’imputato.
 NOME lamenta violazione di legge e vizi di motivazione in punto di determinazione della decorrenza del termine di prescrizione, con l’effetto che il reato sarebbe prescritto.
L’estensione del suo concorso in tutta la sequenza delle intestazioni fittizie sarebbe arbitraria, avendo le prime due sentenze di merito ritenuto che egli fosse consapevole della sola vendita in favore di COGNOME nel 2005. In particolare, la conversazione intercettata tra NOME ed NOME COGNOME non sarebbe avvenuta nel 2017, bensì il 15 aprile 2008, talché la sentenza si fonderebbe su un palese errore.
Inoltre, la motivazione sarebbe contraddittoria, perché la Corte d’appello qualifica il riciclaggio come reato a consumazione istantanea, ma che può atteggiarsi come reato permanente in caso di condotte tenute in un medesimo contesto e relative al medesimo bene, e tuttavia riconosce a carico di esso ricorrente plurimi e distinti reati, senza però dichiarare la prescrizione del primo di essi, come invece ha fatto per l’acquirente COGNOME.
Quest’ultimo lamenta i medesimi vizi della decisione, chiedendo perciò di dichiarare l’intervenuta prescrizione anche del reato relativo alla vendita da lui effettuata nel 2008, in quanto non sarebbe dimostrato che, in tale secondo episodio, egli, titolare puramente formale della società, abbia agito con intento
dissimulatorio, nella consapevolezza, cioè, della strumentalità anche di quell’ulteriore atto negoziale ad attività di riciclaggio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Nessuno dei due ricorsi può essere ammesso, postulando entrambi una rivalutazione delle condotte, tuttavia preclusa per effetto dell’ambito di cognizione delimitato dalla sentenza di annullamento cori rinvio di questa Corte (n. 7501 del 7 dicembre 2021, dep. 2022).
Tale sentenza, infatti, ha rinviato il processo al giudice di merito esclusivamente per decidere sul punto della configurabila o meno della circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1, cod. pen., con le eventuali conseguenze sul piano sanzionatorio, dichiarando inammissibili le restanti doglianze rassegnate dai ricorrenti e, dunque, rendendo intangibile la ricostruzione dei fatti di causa e la valutazione giuridica cornpiutane dai giudici di merito.
 Tanto dicasi per NOME, per il quale la sentenza rescindente ha confermato il coinvolgimento in tutta la sequenza delle compravendite di quei terreni, peraltro specificamente valorizzando la citata telefonata in cui NOME ed NOME COGNOME fanno riferimento a «NOME» e collocandola a novembre del 2017.
Il ricorso, dunque, non soltanto chiede alla Corte di pronunciarsi su un punto già deciso dalla Corte di cassazione, ciò che è espressamente vietato dal codice di rito (art. 628 ,comma 2, cod. proc. pen.); ma fonda altresì la propria richiesta sulla rivalutazione di una circostanza di fatto, che al giudice di legittimità è preclusa a prescindere.
Le stesse considerazioni valgono, a maggior ragione, per COGNOME, il quale vorrebbe, peraltro sulla base di pure e semplici asserzioni, che la Corte di cassazione rivalutasse addirittura le intenzioni del suo agire, e quindi s’impegnasse, anche per lui, in un giudizio di puro fatto su questione già decisa.
L’inammissibilità dei ricorsi comporta obbligatoriamente – ai sensi dell’art. 616, cod. proc. pen. – la condanna dei proponenti al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi una loro assenza di colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità (vds. Corte Cost., sent. n. 186 del 13 giugno 2000). Detta somma, considerando la manifesta assenza di pregio delle doglianze addotte, va fissata in tremila euro per ognuno di essi.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2024.