Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 34803 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 34803 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 11/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a SAN BENEDETTO DEL TRONTO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 25/11/2024 della Corte d ‘ appello di Roma Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
Udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
lette le conclusioni del PG, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto dichiararsi l ‘ inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 25 novembre 2024, la Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza pronunciata il 21 aprile 2015 -all ‘ esito di giudizio abbreviato – dal Giudice dell ‘ udienza preliminare del Tribunale della stessa città.
Con la sentenza confermata in appello, NOME COGNOME è stato ritenuto responsabile di un ‘ unica violazione dell ‘ art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, commessa a Roma il 13 aprile 2011, per aver detenuto a fini di spaccio: gr. 426 di hashish, gr. 4,795 di cocaina, gr. 35,168 di hashish e gr. 2,90 di marijuana. Per questo fatto, esclusa l ‘ ipotesi lieve di cui all ‘ art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90, COGNOME
è stato condannato alla pena di anni due, mesi otto di reclusione ed € 12.000 di multa, determinata partendo da una pena base di anni sei di reclusione ed € 27.000 di multa, ridotta ad anni quattro di reclusione ed € 18.000 di multa per la concessione delle attenuanti generiche, ulteriormente ridotta per la scelta del rito.
Per miglior comprensione della vicenda e dei motivi di ricorso è doveroso riferire che COGNOME è stato tratto a giudizio per violazione degli artt. 81, comma 2, cod. pen. e 73 d.P.R. n. 309/90 e giudicato una prima volta dal G.u.p. del Tribunale di Roma con sentenza del 14 dicembre 2012.
Il testo dell ‘ art. 73 d.P.R. n. 309/90 vigente a quella data era quello introdotto dall ‘ art. 4 bis del decreto-legge 30 dicembre 2005 n. 272 come modificato dalla legge 21 febbraio 2006 n. 49. Non era ancora intervenuta, infatti, la dichiarazione di illegittimità costituzionale di questa norma ad opera della sentenza n. 32 del 2014 della Corte costituzionale (che è stata pronunciata il 2 febbraio 2014 e pubblicata il 25 febbraio 2014).
Il testo all ‘ epoca vigente prevedeva, per la detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti comunque tabellate, la pena della reclusione da sei a venti anni e della multa da € 26.00 0 a € 260.000. Il quinto comma dell ‘ art. 73 prevedeva, inoltre, una circostanza attenuante ad effetto speciale, applicabile quando i fatti potevano considerarsi di lieve entità «per i mezzi, per la modalità o le circostanze dell ‘ azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze». In tal caso, la pena prevista era quella della reclusione da uno a sei anni e della multa da € 3.000 a € 26.000.
Facendo applicazione di questa normativa, il primo Giudice ritenne i fatti di particolare tenuità, applicò le attenuanti generiche e, operata la diminuzione conseguente alla scelta del rito, determinò la pena in anni due di reclusione ed € 6.000 di multa. All’imputato furono concessi i benefici della sospensione condizionale e della non menzione.
Contro questa sentenza il Procuratore generale presso la Corte di appello di Roma propose ricorso per Cassazione deducendo erronea applicazione della legge penale in relazione al riconoscimento della lieve entità del fatto. Il ricorso fu accolto dalla Sesta Sezione penale di questa Corte con sentenza n. 51204/14 del 12 novembre 2014. La sentenza di annullamento rilevò che era stato proprio il G.u.p., nella sentenza impugnata, a valutare come « ‘ non trascurabile ‘ il dato ponderale delle sostanze sequestrate, trattandosi di quantitativo da cui potevano trarsi oltre 1.300 dosi medie giornaliere» e a sottolineare che COGNOME aveva disponibilità di stupefacenti diversi, «di specifica strumentazione finalizzata alla pesatura e di materiale destinato al confezionamento di singole dosi droganti». L ‘ annullamento
con rinvio fu disposto ai fini di una nuova valutazione della sussistenza dell ‘ ipotesi di lieve entità. Secondo la sentenza rescindente, nel compiere tale valutazione, il giudice del rinvio doveva «accordare una particolare attenzione alla dimensione offensiva del caso concreto valutata nel suo complesso e, quindi, sia sotto il profilo della consistenza qualitativa e quantitativa, sia sotto il profilo delle caratteristiche dell ‘ azione».
2.1. Il G.u.p. del Tribunale di Roma, investito del giudizio di rinvio, ha pronunciato sentenza in data 21 aprile 2015. Di conseguenza, doveva tenere conto ai fini della decisione della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell ‘ art. 4 bis del d.l. n. 272/2005 (introdotto dalla legge di conversione n. 49/2006), per effetto della quale aveva ripreso vigore il precedente testo dell ‘ art. 73 d.P.R. n. 309/90, che prevedeva per la detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti due diverse fattispecie incriminatrici.
Puniva, infatti:
al primo comma, con la reclusione da otto a venti anni e con la multa da € 25.822 ad € 258.228 l e condotte aventi ad oggetto le sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle tabelle I e III previste dall ‘ art. 14 del medesimo d.P.R.;
al quarto comma, con la reclusione da due a sei anni e con la multa da € 5.164 a € 77.468 la detenzione a fini di spaccio delle sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle tabelle II e IV.
Doveva tenere conto, inoltre, della modifica dell ‘ art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90 introdotta dall ‘ art. 2 del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 146, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014 n. 10, per effetto della quale la disposizione di cui all ‘ art. 73, comma 5, d.P.R. 30/90 non prevedeva più una circostanza attenuante, ma un autonomo titolo di reato, punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da € 3.000 ad € 26.000 .
In sintesi, il giudice del rinvio, oltre a dover applicare i principi di diritto indicati dalla sentenza rescindente, doveva anche valutare in concreto, ai sensi dell ‘ art. 2 cod. pen., quale, tra le diverse disposizioni succedutesi nel tempo, fosse complessivamente più favorevole all ‘ imputato e dovesse pertanto trovare applicazione.
Nel compiere tale valutazione, il G.u.p. ha ritenuto che dovesse essere applicata, perché più favorevole all ‘ imputato, la disciplina vigente all ‘ epoca del fatto (accertato il 13 aprile 2011). Ha rilevato a tal fine che questa disciplina (poi dichiarata incostituzionale) prevedeva un ‘ unica fattispecie incriminatrice -punita con la reclusione da sei a venti anni e con la multa da € 26.000 ad € 260.000 senza distinguere tra ‘droghe leggere’ e ‘droghe pesanti’ e che, applicando il testo dell’art. 73 d.P.R. 309/90 conseguente alla sentenza della C orte costituzionale, la detenzione a fini di spaccio della cocaina e quella dell ‘ hashish e della marijuana
avrebbero integrato distinti reati, ancorché uniti dal vincolo della continuazione, il più grave dei quali (la detenzione a fini di spaccio di cocaina) punito con una pena pari nel minimo a otto anni di reclusione ed € 25.822 di multa.
A queste conclusioni il Giudice è giunto dopo aver escluso la lieve entità del fatto (e, quindi, l ‘ applicabilità dell ‘ art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/90) sulla base di una valutazione complessiva della condotta illecita, «avuto riguardo alla contestualità spazio-temporale della detenzione di sostanze da parte dello COGNOME».
2.2. Contro la sentenza pronunciata dal G.u.p. il 21 aprile 2015, il difensore dell ‘ imputato ha proposto appello dolendosi che fosse stata ritenuta più favorevole la normativa dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale e che, ai fini della applicazione dell ‘ art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90, le condotte contestate, aventi ad oggetto sostanze diversamente tabellate, non fossero state ritenute suscettibili di valutazioni differenti. Secondo il difensore, poiché la disciplina conseguente alla sentenza della Corte costituzionale prevede due distinte fattispecie incriminatrici, l ‘ applicazione dell ‘ art. 73, comma 5, avrebbe dovuto essere valutata separatamente per ciascuna di esse. In tesi difensiva, in ragione del dato ponderale, la lieve entità avrebbe potuto essere riconosciuta per la detenzione di cocaina (grammi 4,795 di sostanza, contenenti gr. 3,300 di principio attivo, corrispondenti a 22 dosi singole). Pertanto, sarebbe stato più grave il reato di cui all ‘ art. 73, comma 4, punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da € 5.164 ad € 77.468 . Questo avrebbe consentito di partire da una pena base inferiore ai sei anni di reclusione e, dunque, pur tenuto conto dell ‘ aumento per continuazione, avrebbe consentito di determinare la pena finale in misura inferiore a quella applicata dal Giudice di primo grado.
L ‘ appello è stato respinto con la sentenza oggetto del presente ricorso.
La Corte di appello di Roma ha ritenuto che la valutazione della lieve entità del fatto dovesse essere necessariamente unitaria perché la detenzione della cocaina e la detenzione della marijuana e dell ‘ hashish sono state accertate «in un unico contesto spazio-temporale». Ha condiviso, inoltre, le considerazioni sviluppate dal Giudice di primo grado e ha sostenuto che l ‘ applicazione della normativa vigente a seguito della sentenza della Corte costituzionale avrebbe comportato un trattamento meno favorevole di quello derivante in concreto dall’applicazione delle norme dichiarate incostituzionali.
Contro la sentenza pronunciata dalla Corte di appello di Roma, il difensore di NOME COGNOME ha proposto tempestivo ricorso, deducendo violazione di legge e vizi di motivazione.
Osserva il difensore:
che, a seguito della citata sentenza della Corte costituzionale, è tornato in vigore il testo dell ‘ art. 73 precedente alle modifiche apportate dal d.l. 272/05, come modificato dalla legge 49/2006;
che, pertanto, la disciplina oggi vigente prevede due diverse fattispecie incriminatrici per i fatti aventi ad oggetto ‘droghe leggere’ e per quelli aventi ad oggetto ‘droghe pesanti’ ;
che, secondo la giurisprudenza di legittimità più recente, la diversità di sostanze stupefacenti oggetto della condotta non è di per sé ostativa alla configurabilità dell ‘ ipotesi lieve.
Il ricorrente richiama a sostegno Sez. U. n. 51063 del 27/09/2018, Rv. 274076, ricorda che, ancora oggi, a distanza di quattordici anni dai fatti, l ‘ imputato è incensurato e sottolinea che l ‘ occasionalità della condotta ben può rilevare ai fini della valutazione della lieve entità del fatto.
Con memoria scritta tempestivamente depositata il Procuratore generale ha concluso per l ‘ inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorrente è accusato di aver detenuto a fini di spaccio gr. 461,168 di hashish (pari a 1.338 dosi medie singole), gr. 2,90 di marijuana (pari a 22 dosi medie singole), gr. 4,796 di cocaina (pari a 22 dosi medie singole). Il fatto è stato accertato a Roma il 13 aprile 2011 e la sentenza impugnata, esclusa la lieve entità del fatto, ha fatto applicazione dell ‘ art. 73 d.P.R. 309/90 nel testo introdotto dall ‘ art. 4 bis del d.l. n. 272/2005 come modificato dalla legge n. 49/2006 (dichiarato incostituzionale con la sentenza Corte cost. n. 32/2014 ) ritenendolo più favorevole di quello attualmente vigente. Di conseguenza ha ritenuto integrata l ‘ unica fattispecie incriminatrice prevista all ‘ epoca dall ‘ art. 73, comma 1, d.P.R. 309/90 e ha confermato la pena di anni due mesi otto di reclusione ed € 12.000 di multa inflitta in primo grado.
Il ricorrente si duole che i giudici di merito abbiano ritenuto di non poter ricondurre la detenzione di cocaina entro l ‘ ambito operativo dell ‘ art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90 e abbiano valorizzato a tal fine la contestuale detenzione di sostanze diverse. In tesi difensiva, i giudici di primo e secondo grado sarebbero giunti a queste conclusioni sulla base di una valutazione unitaria del fatto che sarebbe giustificata dall ‘ applicazione dell ‘ art. 73 d.P.R. n. 309/90 nel testo vigente quando il reato fu commesso, ma non lo sarebbe se i giudici avessero applicato la disciplina conseguente alla dichiarazione di illegittimità costituzionale. La difesa rileva che,
a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014, l ‘ art. 73 d.P.R.
309/90 prevede, al comma 1 e al comma 4, due distinte fattispecie incriminatrici e ciò comporta che la valutazione della lieve entità del fatto debba essere compiuta con riferimento a ciascuna di esse. Nel caso di specie, dunque, i giudici di merito avrebbero dovuto valutare se la detenzione di gr. 4,796 di cocaina potesse essere considerata di lieve entità e la circostanza che, insieme alla cocaina, COGNOME avesse detenuto anche hashish e marijuana non ostava a tale valutazione. A sostegno di queste argomentazioni, la difesa ricorda che, come autorevolmente affermato dalle Sezioni unite con la sentenza n. 51063 del 27/09/2018 (Rv. 274076), «La diversità di sostanze stupefacenti oggetto della condotta non è di per sé ostativa alla configurabilità del reato di cui all ‘ art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990».
Poiché invoca l’applicazione dell’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90 con riferimento alla detenzione di cocaina, il ricorso pone soltanto in apparenza un problema di successione di leggi nel tempo. Chiede, infatti, a questa Corte di valutare se, nel caso concreto, la motivazione con la quale è stata esclusa la lieve entità di questo fatto sia congrua e conforme ai principi di diritto che regolano la materia.
Non v’è dubbio che una successione di leggi nel tempo vi sia stata anche con riferimento all ‘ art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/90 (trasformato da circostanza attenuante a titolo autonomo di reato). Tuttavia, questa modifica normativa ha lasciato immutata l ‘ indicazione dei parametri alla stregua dei quali la lieve entità del fatto deve essere valutata. Sia prima che dopo la riforma, la detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti (e tale è la condotta tipica della quale NOME COGNOME è stato ritenuto responsabile) può essere ritenuta di lieve entità «per i mezzi, per la modalità o le circostanze dell ‘ azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze». Non sono mai cambiati, dunque, i parametri cui l’interprete deve far riferimento nel valutare la concreta offensività del fatto e la maggiore o minore ‘rimproverabilità’ della condotta illecita : la lieve entità del fatto non può essere ritenuta tenendo conto solo della qualità e quantità delle sostanze; il legislatore esige che, a tal fine, si faccia riferimento anche ai mezzi, alle modalità e alle circostanze dell ‘ azione.
In conformità alle indicazioni legislative, la giurisprudenza ha sempre sottolineato che la valutazione della lieve entità del fatto deve essere compiuta in concreto, tenendo conto non solo del dato qualitativo e quantitativo, ma della condotta complessivamente considerata. Con la sentenza n. 51063/2018 (citata dal ricorrente), le Sezioni Unite hanno sviluppato tale linea interpretativa. Come è stato opportunamente chiarito (pag. 16 della motivazione): «ritenere che la valutazione degli indici di lieve entità elencati dal comma 5 dell ‘ art. 73 debba
essere complessiva, significa certamente abbandonare l ‘ idea che gli stessi possano essere utilizzati dal giudice alternativamente, riconoscendo o escludendo la lieve entità del fatto anche in presenza di un solo indicatore di segno positivo o negativo, a prescindere dalla considerazione degli altri». Implica però, allo stesso tempo, «che tali indici non debbano tutti indistintamente avere segno positivo o negativo» e possano instaurarsi tra gli stessi rapporti di compensazione o neutralizzazione idonei a consentire un giudizio unitario sulla concreta offensività del fatto anche quando le circostanze che lo caratterizzano risultano prima facie contraddittorie. In altri termini, la maggiore o minore espressività del dato quantitativo deve essere valutata in concreto nel confronto con le altre circostanze del fatto rilevanti secondo i parametri normativi di riferimento. Ferma la possibilità che, nel rispetto delle condizioni illustrate, il dato ponderale possa assumere comunque valore negativo assorbente, ciò significa che anche la detenzione di quantitativi non minimi può essere ritenuta non ostativa alla qualificazione del fatto ai sensi dell ‘ art. 73, comma 5, e, per converso, che la fattispecie in questione può essere esclusa, anche in casi di detenzione di pochi grammi di stupefacente, all ‘ esito di una valutazione complessiva delle altre circostanze rilevanti.
Nella sentenza in parola, il massimo Consesso di legittimità è stato chiamato ad esaminare in dettaglio proprio l ‘ ipotesi della contestuale detenzione a fini di spaccio di sostanze diversamente tabellate (idonea ad integrare gli estremi delle diverse fattispecie incriminatrici previste dai commi 1 e 4 dell ‘ art. 73 d.P.R. 309/90 nel testo vigente a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale) e, nel ribadire che il giudizio sulla lieve entità del fatto deve essere frutto di una valutazione complessiva dei mezzi delle modalità, delle circostanze dell ‘ azione oltre che della qualità e quantità delle sostanze, ha sottolineato: da un lato, che la diversità di sostanze stupefacenti oggetto della condotta non è di per sé ostativa alla configurabilità dell ‘ ipotesi lieve; dall ‘ altro, che di questo dato è comunque doveroso tenere conto, non essendo possibile «isolare la condotta relativa ad un tipo di stupefacente senza considerare il contesto in cui la stessa è stata realizzata, poiché in tal modo si finirebbe per non valutare le circostanze e le modalità dell ‘ azione e quindi, in definitiva, per contravvenire all ‘ indicazione normativa» (così, testualmente, pag. 22 della motivazione).
Secondo la difesa, la detenzione di cocaina ascritta all ‘ imputato potrebbe essere valutata di lieve entità trattandosi di 4,795 grammi di sostanza. Così argomentando il ricorso non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata e della sentenza di primo grado.
I giudici di merito hanno osservato, infatti, che la percentuale media di prodotto puro presente nei 4,795 grammi di sostanza contenente cocaina era del
69% (pari a gr. 3,300 di principio attivo) e dalla stessa avrebbero potuto essere ricavate 22 dosi medie singole. Hanno sottolineato, inoltre, che COGNOME deteneva, insieme alla cocaina, una quantità elevata di hashish dalla quale avrebbero potuto essere ricavate più di 1.300 dosi medie singole e hanno ritenuto che, trattandosi di sostanze detenute in un unico contesto spazio temporale e contestualmente destinate alla cessione, la detenzione della cocaina, non potesse essere considerata di lieve entità. Hanno ritenuto, dunque, che l ‘ intervento della Corte costituzionale a seguito del quale la detenzione di sostanze diversamente tabellate comporta l ‘ applicazione di fattispecie incriminatrici differenti, non potesse comunque determinare l ‘ applicazione dell ‘ art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90 né per la detenzione di cocaina né per la detenzione dell’hashish e della marijuana . La sentenza impugnata richiama sul punto le argomentazioni sviluppate dal giudice di primo grado (pag. 3 della sentenza del G.u.p.), che ha escluso la lieve entità dei fatti, non solo per l ‘ eterogeneità delle sostanze detenute, ma anche in ragione del «dato ponderale, affatto trascurabile», «del grado di purezza», del rinvenimento «di strumentazione idonea alla suddivisione in dosi» e ha sottolineato che tali circostanze consentono di ritenere l ‘ inserimento dell ‘ imputato nel «circuito illecito» dello spaccio.
La motivazione è congrua, scevra da profili di contraddittorietà o manifesta illogicità e conforme ai principi di diritto che regolano la materia perché, nell ‘ escludere che la detenzione della cocaina sia qualificabile come fatto di lieve entità, tiene conto, oltre che del numero di dosi medie ricavabili dalla sostanza e del grado di purezza elevato della stessa, anche della contestuale detenzione di rilevanti quantità di hashish, non illogicamente considerata indicativa dell ‘ esistenza di una vasta clientela «in grado di assorbire i quantitativi rinvenuti».
Per quanto esposto il motivo è inammissibile. Non si confronta, infatti, con la motivazione sviluppata dai giudici di merito per escludere che la detenzione di cocaina possa essere qualificata ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/90 e non tiene conto della consolidata giurisprudenza in materia, secondo la quale il fatto deve essere complessivamente valutato e, dunque, non è possibile isolare la condotta relativa ad un tipo di stupefacente senza considerare il contesto in cui la stessa è stata realizzata.
La circostanza che, a seguito della sentenza della Corte cost. n. 32 del 2014, la detenzione di sostanze diversamente tabellate non integri più un unico reato, ma due reati diversi, non incide su questa valutazione perché, all’evidenza, non fa venir meno il dato obiettivo della diversità delle sostanze. Un dato che ben può essere valorizzato, unitamente ad altri, quale indice della pericolosità della condotta e della complessiva non lieve entità del fatto (sull’argomento , fra le tante: Sez. 3, n. 47671 del 09/10/2014, Rv. 261161, pag. 3 della motivazione).
4. Pur dovendosi prendere atto dell’inammissibilità del ricorso, in questa sede di legittimità è doveroso rilevare che la sentenza impugnata è incorsa in errore di diritto quando ha ritenuto che fossero più favorevoli all’imputato le norme dichiarate incostituzionali.
Ed invero, il G.u.p. del Tribunale di Roma è potuto giungere a questa conclusione perché si è pronunciato in data 21 aprile 2015 e, a quella data, applicando la disciplina dichiarata incostituzionale, la pena minima prevista per la violazione dell’art. 73, comma 1, d.P.R. 309/90 era pari ad anni sei di reclusione ed € 26.000 di multa (a fronte della pena minima di anni otto di reclusione ed € 25.822 di multa prevista dal medesimo art. 73 nel testo vigente a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale). Come sottolineato dal giudice di primo grado, inoltre, nel caso di specie (essendo stata accertata la detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti diversamente tabellate) , l’applicazione della normativa vigente a seguito della sentenza Corte cost. n. 32 del 2014, avrebbe determinato la necessità di un aumento di pena per continuazione che non era necessario, invece, applicando la norma dichiarata incostituzionale.
La situazione era ben diversa, però, il 25 novembre 2024, quando è stata pronunciata la sentenza impugnata. Era intervenuta, infatti, la sentenza n. 40 del 2019 con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato l ‘ illegittimità costituzionale dell ‘ art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309/90 -nel testo vigente a seguito della sentenza n. 32/2014 -«nella parte in cui in cui prevede la pena minima edittale della reclusione nella misura di otto anni anziché di sei anni». Inoltre, il reato di cui all’art. 73, comma 4, d.p.r. 309/90, commesso il 13 aprile 2011, era ormai estinto per prescrizione.
La disciplina derivante dalle sentenze della Corte costituzionale n. 32/2014 e n. 40/2019 era dunque, in concreto, più favorevole all’imputato perché la pena prevista per la violazione dell’art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309/90 era inferiore nel minimo (anni sei di reclusione ed € 25.822 di multa a fronte di anni sei di reclusione ed € 26.000 di multa) e perché il reato di cui all’art. 73, comma 4, d.P.R. n. 309/90 era estinto per prescrizione.
Poiché non ha ritenuto applicabile al caso di specie le norme vigenti a seguito delle sentenze della Corte cost. n. 32/2014 e n. 40/2018 e non ha dichiarato estinto per prescrizione il reato di cui all’art. 73, comma 4, d.P.R. n. 309/90 ascritto ad NOME COGNOME, la Corte di appello è incorsa in errore di diritto.
Nella parte in cui ha comportato la mancata dichiarazione di estinzione del reato di cui all ‘ art. 73, comma 4, d.P.R. n. 309/90 l ‘ errore non è emendabile in ragione della inammissibilità del ricorso col quale la difesa ha lamentato violazione di legge e vizi di motivazione per la mancata applicazione dell’art. 73, comma 5,
d.P.R. n. 309/90 alla detenzione di cocaina. Ed invero, la dichiarazione di prescrizione del reato di cui all’art. 73 , comma 4, d.P.R. 309/90 non è stata chiesta nei motivi di appello né dedotta con l’atto di ricorso. A questo proposito è sufficiente ricordare che, come autorevolmente affermato dalle Sezioni unite di questa Corte, «l’ inammissibilità del ricorso per cassazione preclude la possibilità di rilevare d ‘ ufficio, ai sensi degli artt. 129 e 609 comma secondo, cod. proc. pen., l ‘ estinzione del reato per prescrizione maturata in data anteriore alla pronuncia della sentenza di appello, ma non rilevata né eccepita in quella sede e neppure dedotta con i motivi di ricorso» (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Rv. 266818).
Quanto al trattamento sanzionatorio, l ‘ errore nel quale la Corte di appello è incorsa non ha determinato l’illegalità della pena inflitta . La pena base, infatti, è stata determinata nella misura di anni sei di reclusione ed € 27.000 di multa, pari al minimo edittale previsto dall’art. 73 d.P.R. n. 309/90 come modificato dalla Corte costituzionale con la sentenza n.40/2018 e prossima al minimo della pena pecuniaria come risultante dalla sentenza della Corte costituzionale n. 32/2014. Non trovano applicazione, dunque, i principi affermati dalle Sezioni unite con la sentenza n. 33040 del 26/02/2015, Rv. 264207, secondo la quale l’illegalità della pena conseguente a dichiarazione di incostituzionalità di norme riguardanti il trattamento sanzionatorio è rilevabile d’ufficio dalla Corte di cassazione anche in caso di inammissibilità del ricorso.
All ‘ inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il ricorrente non versasse in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve essere disposto a suo carico, a norma dell ‘ art. 616 cod. proc. pen., l ‘onere di versare la somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, somma così determinata in considerazione delle ragioni di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso l ‘ 11 settembre 2025
Il AVV_NOTAIO estensore Il Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME