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Lieve entità stupefacenti: quando non è concessa

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per detenzione di stupefacenti, il quale chiedeva il riconoscimento della lieve entità del fatto. La Suprema Corte ha confermato la decisione dei giudici di merito, escludendo l’ipotesi della lieve entità stupefacenti a causa della notevole quantità, della diversa tipologia di droghe (hashish e marijuana), e del possesso di strumenti per il confezionamento come un bilancino e numerose bustine, elementi che complessivamente indicavano un’attività non occasionale.

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Pubblicato il 2 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Lieve entità stupefacenti: i criteri per l’esclusione secondo la Cassazione

L’applicazione dell’ipotesi di reato di lieve entità stupefacenti, prevista dall’art. 73, comma 5, del d.P.R. 309/1990, rappresenta un punto cruciale in molti procedimenti penali. Questa norma permette di applicare pene notevolmente più miti quando il fatto è considerato di minima offensività. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce quali elementi ostacolano tale qualificazione, confermando che la valutazione non può limitarsi alla sola quantità della sostanza.

I Fatti del Caso

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un giovane condannato per detenzione di sostanze stupefacenti ai sensi dell’art. 73, comma 4, del Testo Unico Stupefacenti. L’imputato aveva presentato ricorso in Cassazione dopo che la Corte d’Appello aveva confermato la sua condanna, rigettando la richiesta di riqualificare il reato nella fattispecie di lieve entità stupefacenti.

I motivi del ricorso si concentravano su due aspetti principali: la presunta erronea motivazione sulla mancata concessione dell’attenuante e una critica generale alla coerenza logica della sentenza d’appello.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. Secondo i giudici, le argomentazioni presentate dall’imputato non erano censure di legittimità, bensì mere “doglianze in punto di fatto”. In altre parole, il ricorrente non contestava un’errata applicazione della legge, ma tentava di ottenere una nuova e diversa valutazione delle prove, attività preclusa nel giudizio di Cassazione.

La Corte ha inoltre condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di 3.000 euro alla Cassa delle Ammende, ravvisando una colpa nella proposizione di un ricorso privo dei requisiti di ammissibilità.

Le Motivazioni: perché non si configura la lieve entità stupefacenti?

Il cuore della decisione risiede nelle motivazioni con cui la Cassazione ha avallato il ragionamento della Corte d’Appello. Per escludere la lieve entità stupefacenti, i giudici hanno valorizzato una serie di elementi oggettivi che, letti congiuntamente, delineavano un quadro incompatibile con la minima offensività del fatto. Nello specifico, sono stati considerati decisivi:

1. Quantità e Qualità della Sostanza: L’imputato deteneva due diversi tipi di droga, marijuana e hashish, da cui era possibile ricavare un numero cospicuo di dosi medie singole (194 di marijuana e 108 di hashish). La diversità e la quantità complessiva sono state ritenute significative.
2. Modalità di Custodia: La droga era custodita in parte presso l’esercizio commerciale dove l’imputato lavorava e in parte presso la sua abitazione. Questa duplice localizzazione è stata interpretata come un indice di un’attività strutturata.
3. Strumenti per il Confezionamento: Il ritrovamento, sia sul luogo di lavoro che a casa, di un bilancino di precisione, di numerose bustine vuote (ben 120 con chiusura a pressione solo sul luogo di lavoro) e di altri strumenti per il confezionamento delle dosi è stato un elemento chiave. La presenza di tale materiale è stata considerata una prova inequivocabile di un’attività destinata alla cessione a terzi e non a un consumo personale o a un’attività occasionale.

La Corte ha sottolineato come la sentenza d’appello avesse fornito una motivazione “argomentata e puntuale”, analizzando tutti questi aspetti e spiegando logicamente perché il fatto non potesse essere considerato di lieve entità.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: per ottenere il riconoscimento della lieve entità stupefacenti, non è sufficiente che la quantità di droga sia modesta. Il giudice deve compiere una valutazione globale del fatto, considerando tutti gli indici a disposizione: i mezzi utilizzati, le modalità dell’azione e la qualità/quantità delle sostanze.

La presenza di strumenti tipicamente associati all’attività di spaccio, come bilancini e bustine, unita alla detenzione di diverse tipologie di sostanze, costituisce un forte ostacolo all’applicazione dell’attenuante. Per la difesa, diventa quindi essenziale non limitarsi a contestare genericamente la valutazione del giudice di merito, ma individuare, se presenti, specifici vizi logici o errori palesi nell’interpretazione delle prove (il cosiddetto “travisamento della prova”), unici argomenti validi nel giudizio di legittimità.

Quando un reato di detenzione di stupefacenti può essere considerato di ‘lieve entità’?
Secondo la pronuncia, la valutazione non si basa solo sulla quantità della sostanza. Il giudice deve analizzare l’intero contesto, inclusi i mezzi, le modalità dell’azione e la qualità delle droghe. Un fatto è di lieve entità solo se tutti questi indicatori convergono nel dimostrare una minima offensività complessiva.

Perché il ricorso in Cassazione è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché le critiche mosse dall’imputato erano considerate ‘doglianze in punto di fatto’. Invece di contestare errori nell’applicazione della legge, il ricorrente chiedeva una nuova valutazione delle prove, attività che non è permessa alla Corte di Cassazione, il cui compito è verificare la corretta applicazione del diritto e la logicità della motivazione.

Quali elementi oggettivi hanno escluso la lieve entità nel caso di specie?
Gli elementi decisivi sono stati: a) la detenzione di due diverse tipologie di droga (marijuana e hashish) per un totale di oltre 300 dosi ricavabili; b) la custodia delle sostanze sia presso l’abitazione che sul luogo di lavoro; c) il possesso di strumenti per il confezionamento e la vendita, come un bilancino di precisione e un numero elevato di bustine vuote.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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