Lieve entità stupefacenti: la Cassazione ribadisce il peso della quantità
Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sul tema della lieve entità stupefacenti, un’ipotesi di reato attenuata prevista dall’articolo 73, comma 5, del Testo Unico sugli Stupefacenti. La pronuncia chiarisce un principio fondamentale: un quantitativo ingente di droga può, da solo, essere sufficiente a escludere l’applicazione di questa fattispecie più favorevole, confermando un orientamento ormai consolidato. Il caso riguardava due persone che avevano impugnato la sentenza di condanna della Corte d’Appello, sperando in una riqualificazione del fatto in reato di lieve entità.
I fatti del processo e i motivi del ricorso
Due soggetti venivano condannati nei gradi di merito per detenzione di sostanze stupefacenti. La difesa presentava ricorso in Cassazione basandosi principalmente su due argomenti: la richiesta di applicazione della fattispecie di lieve entità stupefacenti e, per uno degli imputati, la contestazione sul diniego delle circostanze attenuanti generiche. Il fulcro della questione era la valutazione del quantitativo sequestrato: 300 grammi di sostanza lorda, da cui si potevano ricavare 94,37 grammi di principio attivo, equivalenti a 3.774 dosi medie. Secondo la difesa, la Corte d’Appello avrebbe errato nel non qualificare il fatto come di lieve entità.
La valutazione della lieve entità stupefacenti e la decisione della Corte
La Corte di Cassazione ha dichiarato i ricorsi inammissibili, ritenendoli una mera riproposizione di censure già correttamente respinte dalla Corte d’Appello. Il punto centrale della decisione risiede nel concetto di “valore negativo assorbente” del dato quantitativo. I giudici hanno stabilito che una quantità di droga così elevata, capace di generare quasi 4.000 dosi, è un elemento talmente preponderante da escludere a priori la possibilità di considerare il fatto di lieve entità. La Corte ha richiamato un precedente delle Sezioni Unite (sent. Murolo, n. 51063/2018), che aveva già stabilito come il dato quantitativo possa essere l’unico elemento decisivo per negare la fattispecie attenuata, rendendo superflua l’analisi di altri parametri.
Il rigetto degli altri motivi
Anche gli altri motivi di ricorso sono stati giudicati inammissibili. La doglianza sulla quantificazione della pena è stata ritenuta generica. Allo stesso modo, è stata respinta la richiesta di concessione delle attenuanti generiche per uno degli imputati. La Corte ha ricordato che le attenuanti generiche non sono un diritto derivante dalla mera assenza di elementi negativi sulla personalità, ma richiedono la presenza di elementi positivi che, nel caso di specie, non solo mancavano, ma erano contrastati dalla presenza di specifici precedenti penali a carico dell’imputato.
Le motivazioni
La motivazione della Corte si fonda su principi giuridici chiari e consolidati. In primo luogo, l’inammissibilità scatta quando i motivi di ricorso sono generici o si limitano a riproporre argomenti già esaminati e motivatamente respinti nei precedenti gradi di giudizio. Nel merito, viene ribadito che per valutare la lieve entità stupefacenti, il giudice deve considerare tutti gli indici previsti dalla norma (quantità, qualità, mezzi, modalità dell’azione), ma il dato quantitativo, se particolarmente significativo, può assumere un ruolo decisivo e assorbente. Infine, per quanto riguarda le attenuanti generiche, la loro concessione è una facoltà discrezionale del giudice, che deve essere motivata dalla presenza di elementi positivi di valutazione, non dalla semplice assenza di elementi negativi.
Le conclusioni
L’ordinanza in esame rappresenta un’importante conferma per gli operatori del diritto. Chi si trova a difendere in casi di detenzione di stupefacenti deve essere consapevole che, di fronte a quantitativi ingenti, la strategia di puntare sulla riqualificazione del fatto in lieve entità ha scarse probabilità di successo. La pronuncia sottolinea inoltre l’importanza di formulare motivi di ricorso specifici e non meramente ripetitivi, pena la declaratoria di inammissibilità. La condanna finale degli imputati al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria è la diretta conseguenza procedurale di un ricorso giudicato inammissibile per colpa dei ricorrenti.
Un quantitativo elevato di droga è sufficiente a escludere il reato di lieve entità stupefacenti?
Sì, secondo l’ordinanza, il dato quantitativo della sostanza stupefacente può avere un ‘valore negativo assorbente’ tale da escludere, da solo, la qualificazione del fatto come di lieve entità, a prescindere dalla valutazione di altri parametri.
Per quale motivo è stato respinto il ricorso sul diniego delle attenuanti generiche?
Il ricorso è stato ritenuto generico e manifestamente infondato. La Corte ha precisato che la concessione di tali attenuanti richiede elementi di segno positivo sulla personalità del soggetto, che non erano stati forniti. Inoltre, la presenza di precedenti penali specifici a carico dell’imputato costituiva un elemento ostativo.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
In base a quanto stabilito dall’art. 616 del codice di procedura penale e confermato in questa ordinanza, quando un ricorso è dichiarato inammissibile per colpa del ricorrente, quest’ultimo viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 19596 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 19596 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/05/2025
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a ROMA il 27/12/1999 COGNOME nato a MARINO il 06/07/1966
avverso la sentenza del 25/10/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Ritenuto che il primo motivo dei ricorsi presentati, con atti separati ma di contenuto pressoc sovrapponibile, nell’interesse di NOME COGNOME e di NOME COGNOME che deduce il vizio di motivazione e la violazione di legge in relazione alla mancata qualificazione del fat sensi del comma 5 dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 – è inammissibile perché meramente riproduttivo di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argom giuridici dalla Corte di merito, la quale, con motivazione immune da profili di illo manifesta – e quindi non censurabile in sede di legittimità – ha escluso la qualificazione fatto in termini di “lieve entità” valorizzando, quale elemento avente “valore negat assorbente” (cfr. Sez. U, n. 51063 del 27/09/2018, COGNOME, Rv. 274076, in motivazione), i dato quantitativo dello stupefacente sequestrato, pari a 300 gr. di sostanza lordo e a 94,37 di principio attivo, da cui erano ricavabili 3.774 dosi medie;
rilevato che il secondo motivo del ricorso di NOME COGNOME che lamenta il vizio motivazione in relazione alla quantificazione della pena, è inammissibile perché del tut generico, e avendo comunque la Corte di merito ribadito la congruità della pena inflitta considerazione del quantitativo dello stupefacente e dei precedenti penali dell’imputata;
rilevato che il secondo motivo del ricorso di NOME COGNOME che lamenta il vizio motivazione e la violazione di legge in relazione al diniego delle circostanze attenua generiche, è inammissibile perché generico e, comunque, manifestamente infondato, in quanto la Corte di merito ha ribadito l’assenza di elementi valutabili a tal fine, peraltro nem indicati dalla difesa con l’appello, in ciò facendo corretta applicazione del principio second l’applicazione delle circostanze in esame non costituisce un diritto conseguente all’assenza elementi negativi connotanti la personalità del soggetto, ma richiede elementi di segn positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di concessione delle stesse (Sez. n. 24128 del 18/03/2021, COGNOME. Rv. 281590), e ha comunque individuato, quale elemento ostativo, i precedenti penali specifici di cui è gravato l’imputato;
stante l’inammissibilità dei ricorsi e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisa assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 18 del 13/06/2000), alla condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 9 maggio 2025.