LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Lieve entità spaccio: i criteri della Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato che chiedeva il riconoscimento del fatto di lieve entità spaccio. La Corte ha confermato la decisione di merito, sottolineando che elementi come la reiterazione delle condotte, la quantità di dosi, la stabilità delle forniture e l’entità dei guadagni escludono la possibilità di qualificare il reato come di minore gravità, richiedendo una valutazione complessiva di tutti gli indici sintomatici.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 20 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Lieve Entità Spaccio: Quando la Reiterazione Esclude il Fatto di Minore Gravità

Il concetto di lieve entità spaccio, previsto dall’articolo 73, comma 5, del Testo Unico sugli Stupefacenti, rappresenta un’importante valvola di sicurezza del nostro sistema penale, consentendo di distinguere tra attività criminali strutturate e condotte occasionali di minore allarme sociale. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e dipende da una valutazione complessiva del caso. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce quali elementi ostacolano il riconoscimento di questa attenuante, confermando un orientamento rigoroso.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato contro una sentenza della Corte d’Appello di Firenze. La difesa contestava principalmente due aspetti: la mancata qualificazione dei reati di spaccio come fatto di “lieve entità” e l’eccessività dell’aumento di pena applicato per la continuazione tra i vari episodi delittuosi. Secondo il ricorrente, la sua attività non possedeva le caratteristiche di gravità tali da giustificare la condanna inflitta.

La Valutazione sulla Lieve Entità Spaccio

La Corte di Cassazione ha respinto il primo motivo di ricorso, ritenendolo inammissibile. I giudici hanno evidenziato che la Corte d’Appello aveva già correttamente esaminato e motivato la sua decisione, escludendo la lieve entità spaccio sulla base di elementi concreti e non illogici. La valutazione complessiva della vicenda ha tenuto conto di:

* Quantitativo delle dosi: Il numero totale di dosi detenute e cedute è stato un primo fattore determinante.
* Reiterazione della condotta: L’attività di spaccio si è protratta per diversi mesi, dimostrando una persistenza nel tempo che mal si concilia con l’occasionalità.
* Stabilità delle forniture: Le cessioni avvenivano con cadenze molto ravvicinate, indicando un’organizzazione stabile e non un’attività sporadica.
* Entità dei guadagni: La somma di denaro sequestrata al momento del controllo è stata considerata un chiaro indicatore dei profitti illeciti, incompatibile con un fatto di lieve entità.

La Corte ha ribadito il principio, già sancito dalle Sezioni Unite, secondo cui l’accertamento della lieve entità richiede un’analisi globale di tutti gli indici sintomatici previsti dalla norma, senza potersi soffermare su un singolo aspetto.

L’Aumento di Pena per la Continuazione

Anche il secondo motivo di ricorso, relativo all’aumento di pena per la continuazione, è stato giudicato inammissibile. La Corte ha ritenuto che la valutazione del giudice di merito, che aveva considerato equivalenti in termini di gravità i vari episodi di cessione continuata, non fosse manifestamente illogica. Di conseguenza, l’aumento di pena applicato è stato ritenuto congruo e giustificato.

Le Motivazioni

La decisione della Suprema Corte si fonda sul principio che il giudizio di legittimità non può trasformarsi in una nuova valutazione dei fatti. Il ricorso è stato giudicato inammissibile perché si limitava a riproporre le stesse argomentazioni già adeguatamente vagliate e respinte nei gradi di merito, senza individuare vizi logici o giuridici nella motivazione della sentenza impugnata. La Corte d’Appello aveva applicato correttamente i principi giurisprudenziali consolidati, valorizzando una pluralità di elementi che, nel loro insieme, delineavano una condotta criminale non marginale, ma dotata di una certa organizzazione e redditività. Tale approccio olistico è l’unico corretto per stabilire se un fatto possa rientrare nell’ipotesi attenuata del comma 5 dell’art. 73.

Le Conclusioni

Questa ordinanza rafforza un importante principio: la qualificazione di un fatto come lieve entità spaccio non può basarsi su una visione parziale o isolata, ma deve scaturire da un’attenta analisi complessiva. La durata dell’attività, la sua frequenza, la quantità di sostanza trattata e i profitti generati sono tutti indicatori cruciali che, se presenti con una certa consistenza, portano a escludere il beneficio. La decisione serve da monito: la sistematicità e l’organizzazione, anche a un livello non imprenditoriale, sono sufficienti per configurare un reato in tutta la sua gravità, con le relative conseguenze sanzionatorie, inclusa la condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria in caso di inammissibilità del ricorso.

Quali elementi escludono la qualificazione di un reato di spaccio come fatto di lieve entità?
Secondo la Corte, la qualificazione di lieve entità è esclusa da una valutazione complessiva che consideri elementi come il quantitativo totale di dosi cedute, la reiterazione delle condotte per più mesi, la stabilità e frequenza delle forniture e l’entità dei guadagni desumibili dal denaro sequestrato.

Perché il ricorso in Cassazione è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi proposti erano meramente riproduttivi di censure già correttamente esaminate e respinte dalla Corte di merito con argomenti giuridici corretti e privi di manifesta illogicità. In sostanza, non contestava vizi di legittimità della sentenza, ma tentava di ottenere una nuova valutazione dei fatti.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La dichiarazione di inammissibilità comporta, oltre alla conferma della decisione impugnata, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una sanzione pecuniaria (in questo caso, 3.000 euro) in favore della Cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati