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Lieve entità: quando lo spaccio non è un reato minore

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per spaccio. La Corte ha escluso l’ipotesi di lieve entità a causa della continuità e professionalità dell’attività illecita, svolta per anni come unica fonte di reddito, confermando la decisione dei giudici di merito.

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Pubblicato il 21 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Spaccio e Lieve Entità: La Cassazione sulla Professionalità del Reato

La distinzione tra spaccio di sostanze stupefacenti e la sua configurazione come reato di lieve entità rappresenta un punto cruciale nel diritto penale, con conseguenze significative sulla pena applicabile. Con l’ordinanza in commento, la Corte di Cassazione torna a ribadire i criteri per valutare quando un’attività di spaccio, per le sue caratteristiche, non può beneficiare dell’attenuante della lieve entità, delineando il profilo di una condotta che, per professionalità e continuità, assume una gravità intrinseca.

I Fatti del Caso: Spaccio Continuato come Unica Fonte di Reddito

Il caso esaminato ha origine dal ricorso di un imputato, condannato sia in primo grado che in appello per il reato di spaccio di sostanze stupefacenti previsto dall’art. 73, comma 4, del D.P.R. 309/1990. L’imputato sosteneva che la sua condotta dovesse essere ricondotta alla fattispecie di lieve entità di cui al comma 5 dello stesso articolo.

Tuttavia, le corti di merito avevano già delineato un quadro fattuale chiaro e allarmante: l’imputato aveva posto in essere un’attività di spaccio prolungata e sistematica. In particolare, è emerso che:

* L’attività si protraeva da almeno tre anni.
* L’approvvigionamento era costante e rivolto a una vasta platea di consumatori.
* L’imputato aveva una disponibilità continua di sostanze da vendere e contatti stabili con i fornitori.
* L’attività di spaccio costituiva l’unica e redditizia fonte di sostentamento per sé e per il proprio nucleo familiare, data l’assenza di un’attività lavorativa lecita.

Esclusione della lieve entità: la valutazione complessiva

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato, confermando la valutazione dei giudici di merito. Il punto centrale della decisione risiede nella necessità di una valutazione complessiva di tutti gli elementi indicati dalla norma per determinare la gravità del fatto. Non si tratta di una mera valutazione quantitativa della droga ceduta, ma di un’analisi globale che include le modalità dell’azione, i mezzi utilizzati e le circostanze del reato.

La giurisprudenza costante, richiamata nell’ordinanza, stabilisce che l’ipotesi di lieve entità è riservata ai casi di ‘minima offensività penale’. Questo significa che la condotta deve essere marginale e non presentare indici di particolare pericolosità sociale. Le modalità con cui l’imputato ha agito sono state considerate ‘allarmanti’ e, pertanto, incompatibili con la configurazione di un reato minore.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su un principio consolidato: per escludere la lieve entità, è sufficiente che anche uno solo degli indici previsti dalla legge (mezzi, modalità, circostanze, quantità e qualità) assuma un carattere preponderante e negativo. Nel caso di specie, non si trattava di un singolo elemento, ma di una pluralità di fattori che, insieme, delineavano un quadro di spaccio professionale e non occasionale.

Gli elementi decisivi che hanno portato all’esclusione dell’ipotesi lieve sono stati:

1. La continuità e la durata: L’attività protratta per un arco temporale di almeno tre anni indica una deliberata e persistente scelta criminale.
2. L’organizzazione: La gestione di una ‘vasta platea di consumatori’ e i ‘continui contatti con le fonti di approvvigionamento’ denotano un livello di organizzazione che va oltre lo spaccio occasionale.
3. La professionalità: Il fatto che lo spaccio fosse l’unica fonte di reddito per l’imputato e la sua famiglia trasforma l’attività illecita in una vera e propria ‘professione’, rivelando una spiccata capacità a delinquere e un totale disprezzo per i beni giuridici protetti dalla norma.

Questi aspetti, considerati nel loro insieme, dimostrano un’offensività della condotta ben superiore a quella ‘minima’ richiesta per l’applicazione del comma 5 dell’art. 73.

Le Conclusioni

L’ordinanza della Cassazione offre un’importante lezione pratica: l’applicazione della fattispecie di lieve entità non è automatica e non può basarsi unicamente su considerazioni legate alla modesta quantità di stupefacente sequestrata in una singola occasione. Il giudice deve condurre un’analisi olistica della condotta dell’imputato. Quando emergono elementi sintomatici di una stabilità e professionalità dell’attività di spaccio, come la sua durata nel tempo, l’ampiezza del giro di clienti e il suo essere l’unica fonte di sostentamento, la qualificazione del reato come ‘lieve’ deve essere esclusa. La decisione riafferma che la risposta sanzionatoria deve essere proporzionata alla reale pericolosità sociale del reo, che in questo caso è stata ritenuta elevata e incompatibile con il trattamento di favore previsto per i fatti di minima gravità.

Quali elementi escludono la qualificazione dello spaccio come reato di lieve entità?
Secondo la Corte, elementi come il costante approvvigionamento di una vasta platea di consumatori, un’attività protratta per un arco temporale rilevante (almeno tre anni), la costante disponibilità di stupefacente e il fatto che lo spaccio costituisca l’unica fonte di reddito sono tutti fattori che, complessivamente, escludono la lieve entità del fatto.

È sufficiente un solo elemento per escludere la lieve entità?
Sì. La Corte ribadisce il principio secondo cui, nell’ambito della valutazione complessiva, anche uno solo degli elementi indicati dalla norma (mezzi, modalità, quantità, ecc.) può essere ritenuto talmente preponderante da escludere da solo che la lesione del bene giuridico sia di ‘lieve entità’.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché ritenuto manifestamente infondato. La motivazione della sentenza d’appello è stata considerata congrua, esaustiva e pienamente rispettosa dei canoni interpretativi della giurisprudenza di legittimità, avendo correttamente valutato le modalità ‘allarmanti’ della condotta come incompatibili con l’ipotesi di reato lieve.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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