Lieve Entità e Ricorso in Cassazione: Quando la Valutazione dei Fatti Blocca l’Appello
La recente ordinanza della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti sui limiti del ricorso in sede di legittimità, specialmente quando si discute della qualificazione di un reato di spaccio come fatto di lieve entità. La decisione conferma un principio fondamentale del nostro sistema processuale: la Cassazione è giudice della legge, non del fatto. Analizziamo insieme questa pronuncia per comprenderne le implicazioni pratiche.
I Fatti di Causa
Il caso riguarda due soggetti condannati dalla Corte d’Appello per spaccio di sostanze stupefacenti. L’attività illecita si svolgeva in una nota “piazza di spaccio” e presentava caratteristiche di notevole organizzazione. Gli imputati occultavano piccoli quantitativi di droga in luoghi appartati, prelevandoli all’occorrenza per la cessione e provvedendo a rifornirsi continuamente da una fonte vicina. La sostanza sequestrata, tra cocaina ed eroina, era sufficiente per circa cento dosi medie. Uno degli imputati ha presentato ricorso in Cassazione lamentando il mancato riconoscimento dell’ipotesi di lieve entità del reato, mentre il secondo ha contestato la determinazione della pena e il diniego delle attenuanti generiche.
L’Analisi della Corte sul Concetto di Lieve Entità
La Corte Suprema ha dichiarato inammissibile il primo ricorso, incentrato sulla questione della lieve entità. I giudici hanno ribadito che l’accertamento di tale circostanza implica una valutazione complessiva di tutti gli elementi della fattispecie concreta. La Corte d’Appello aveva già compiuto questa analisi, escludendo la lieve entità non solo per il dato quantitativo (cento dosi), ma soprattutto per le caratteristiche organizzative della condotta.
L’attività era reiterata, si svolgeva in una “piazza di spaccio”, prevedeva l’occultamento dello stupefacente e un rifornimento costante, indicando un’attività organizzata e rivolta a un numero indefinito di acquirenti. Secondo la Cassazione, questa valutazione della Corte d’Appello è immune da vizi logici e, pertanto, non può essere messa in discussione nel giudizio di legittimità, il cui scopo non è rivalutare i fatti, ma solo verificare la corretta applicazione della legge.
Il Secondo Ricorso: Le Questioni Nuove e l’Inammissibilità
Anche il secondo ricorso è stato dichiarato inammissibile, ma per una ragione di natura puramente procedurale. L’imputato aveva sollevato questioni relative alla determinazione della pena e al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Tuttavia, tali doglianze non erano state presentate nel precedente atto di appello. Il principio giuridico applicato è chiaro: non è possibile introdurre per la prima volta nel giudizio di Cassazione motivi di ricorso che non siano stati precedentemente devoluti al giudice dell’appello. Il ricorso per Cassazione non può trasformarsi in una terza istanza di merito.
Le Motivazioni della Decisione
La decisione della Suprema Corte si fonda su due pilastri distinti ma ugualmente solidi. Per il primo ricorrente, la motivazione è sostanziale: la valutazione sulla lieve entità del fatto è un apprezzamento di merito che, se logicamente argomentato dal giudice dei gradi precedenti, non può essere riconsiderato in Cassazione. La Corte non può sostituire la propria valutazione a quella, plausibile, della Corte d’Appello. Per il secondo ricorrente, la motivazione è procedurale: l’articolo 616 del codice di procedura penale e i principi generali del processo impediscono di portare all’attenzione della Cassazione questioni non dibattute in appello, per garantire un corretto e ordinato svolgimento dei gradi di giudizio.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame ribadisce con fermezza la distinzione tra giudizio di merito e giudizio di legittimità. Insegna che le battaglie sui fatti, come la qualificazione della lieve entità, devono essere combattute e argomentate solidamente nei primi due gradi di giudizio. Arrivare in Cassazione con censure di natura valutativa è una strategia destinata al fallimento se la motivazione della sentenza impugnata appare coerente e logica. Inoltre, la pronuncia sottolinea l’importanza di strutturare l’atto di appello in modo completo, includendo tutte le censure che si intendono far valere, pena l’impossibilità di proporle successivamente. La conseguenza dell’inammissibilità è stata, per entrambi i ricorrenti, non solo la conferma della condanna, ma anche l’obbligo di pagare le spese processuali e una sanzione pecuniaria di 3.000 euro.
È possibile contestare la valutazione sulla “lieve entità” di un reato di spaccio direttamente in Cassazione?
No, non è possibile se la contestazione riguarda la valutazione dei fatti. La Corte di Cassazione può intervenire solo se la motivazione della sentenza precedente è illogica o contraddittoria, ma non può sostituire la propria valutazione a quella del giudice di merito.
Cosa succede se un imputato solleva motivi di ricorso in Cassazione che non aveva presentato in Appello?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. Le questioni non devolute con l’atto di appello non possono essere dedotte per la prima volta nel giudizio di legittimità.
Quali sono le conseguenze della dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle ammende, che nel caso di specie è stata fissata in 3.000 euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 13288 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 13288 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/03/2024
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME NOME a NAPOLI il DATA_NASCITA
NOME NOME a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 23/10/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che il ricorso di COGNOME NOME, che lamenta il vizio di motivazione in relazione all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, è inammissibile perché di natura valutativa e non scandito dalla necessaria analisi critica delle argomentazioni poste a base della sentenza impugnata, la quale (p. 8 e ss.), nel fare corretta applicazione del principio secondo cui l’accertamento della lieve entità del fatto implica una valutazione complessiva degli elementi della fattispecie concreta, selezionati in relazione a tutti gli indici sintomatici prev dalla disposizione (Sez. U, n. 51063 del 27/09/2018, Murolo, Rv. 274076), con un apprezzamento fattuale immune da vizi logici – e quindi non censurabile in sede di legittimità – ha escluso la qualificazione del fatto in termini di “li entità” (cfr. p. 6-7 della sentenza impugnata) valorizzando non tanto e non solo la reiterazione dell’attività illecita e il non trascurabile dato ponderale de stupefacente sequestrato, corrispondente a cento dosi medie tra cocaina ed eroina, ma le caratteristiche della condotta, attuata in una notoria “piazza di spaccio”, mediante occultamento di piccoli quantitativi di stupefacente in un luogo appartato, da cui veniva prelevato dagli imputati all’occorrenza, che provvedano poi al rifornimento di altra droga, che veniva reperita nelle immediate vicinanza, in prossimità del palazzo ove avveniva l’attività di cessione, caratteristiche ritenute indicative, certamente in modo non implausibile sul piano logico, di un’attività organizzata, prolungata e rivolta a un numero indiscrimiNOME di soggetti, come peraltro accertato durante il servizio di osservazione da parte della p.g.;
rilevato che il ricorso di COGNOME NOME, che deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine alla determinazione della pena e al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, è parimenti inammissibile in quanto le questioni non erano state devolute con l’atto di appello, sicché non possono essere dedotte, per la priva volta, nel giudizio di legittimità;
stante l’inammissibilità dei ricorsi e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., no ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. Sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 15/03/2024.