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Lieve entità: quando è esclusa per lo spaccio

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per spaccio, confermando la decisione dei giudici di merito di escludere l’ipotesi di lieve entità. La valutazione si è basata su un’analisi complessiva degli indici sintomatici: la quantità rilevante della sostanza, la sua suddivisione in dosi nascoste in più punti dell’abitazione e lo stato di disoccupazione dell’imputato, considerato indicativo del fatto che vivesse dei proventi dell’attività illecita.

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Pubblicato il 21 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Lieve Entità nello Spaccio: Quando la Quantità e il Contesto Contano

L’applicazione dell’ipotesi di lieve entità nei reati di spaccio di stupefacenti è una questione centrale nel diritto penale, capace di modificare radicalmente l’entità della pena. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito i criteri per escludere tale attenuante, sottolineando l’importanza di una valutazione complessiva che va oltre il solo dato quantitativo della sostanza. Vediamo nel dettaglio il caso e i principi affermati dai giudici.

I Fatti di Causa

Un individuo, condannato in primo grado dal Tribunale di Velletri per il reato di cui all’art. 73, comma 4, del Testo Unico Stupefacenti, vedeva la sua pena parzialmente ridotta dalla Corte d’Appello di Roma. La condanna finale era di un anno e quattro mesi di reclusione e 2.666 euro di multa.

Non soddisfatto della decisione, l’imputato proponeva ricorso per Cassazione, lamentando due vizi principali: la mancata riqualificazione del fatto nell’ipotesi di lieve entità (prevista dal comma 5 dello stesso articolo) e una motivazione insufficiente riguardo alla determinazione della pena, ritenuta troppo distante dal minimo edittale.

L’Esclusione della Lieve Entità: un’Analisi Complessiva

Il cuore del ricorso verteva sulla richiesta di riconoscere la lieve entità del fatto. La difesa sosteneva che le circostanze concrete non fossero così gravi da giustificare la condanna per l’ipotesi ordinaria di spaccio.

La Corte di Cassazione, tuttavia, ha ritenuto il motivo manifestamente infondato. Ha confermato l’operato della Corte territoriale, la quale aveva correttamente applicato i principi stabiliti dalle Sezioni Unite. L’accertamento della lieve entità, infatti, non può basarsi su un singolo elemento, ma richiede una valutazione globale di tutti gli indici sintomatici previsti dalla norma.

Nel caso specifico, i giudici hanno considerato:

1. Il dato quantitativo: La quantità della sostanza sequestrata è stata ritenuta rilevante.
2. Le modalità della condotta: La sostanza era già suddivisa in dosi e occultata in diverse stanze e mobili dell’abitazione. Questo dettaglio è stato interpretato come un chiaro segnale di un’attività organizzata e in attesa di potenziali acquirenti.
3. Il contesto personale: L’imputato risultava disoccupato. Tale circostanza, secondo la Corte, rafforzava la convinzione che egli vivesse dei proventi derivanti dall’attività di spaccio.

L’apprezzamento congiunto di questi elementi è stato giudicato logico e sufficiente a escludere l’ipotesi meno grave.

La Discrezionalità del Giudice nella Determinazione della Pena

Anche il secondo motivo di ricorso, relativo alla presunta carenza di motivazione sulla quantificazione della pena, è stato respinto. La Cassazione ha ricordato un principio consolidato: la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito. Per assolvere all’obbligo di motivazione, è sufficiente che il giudice dia conto dei criteri seguiti (art. 133 c.p.) con espressioni sintetiche come “pena congrua” o “pena equa”, oppure con un semplice richiamo alla gravità del reato. Una spiegazione dettagliata e analitica è necessaria solo quando la pena inflitta sia di gran lunga superiore alla misura media di quella prevista dalla legge, circostanza non verificatasi nel caso di specie.

Le Motivazioni della Decisione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. Le motivazioni della Corte d’Appello sono state ritenute prive di illogicità manifeste. La valutazione complessiva degli elementi di fatto – quantità della droga, suddivisione in dosi, occultamento strategico e status di disoccupazione – ha fornito una base solida e coerente per negare la qualificazione del fatto come di lieve entità. L’analisi dei giudici di merito è stata considerata un apprezzamento di fatto, insindacabile in sede di legittimità se, come in questo caso, adeguatamente motivato.

Conclusioni

Questa ordinanza riafferma che per ottenere il riconoscimento della lieve entità non basta appellarsi a un singolo aspetto favorevole. È indispensabile che l’intero quadro fattuale deponga per una minore offensività della condotta. Elementi come la preparazione delle dosi e l’assenza di un’attività lavorativa lecita possono essere interpretati come indici di una non trascurabile professionalità nell’attività di spaccio, ostacolando così l’applicazione della più benevola fattispecie prevista dal comma 5 dell’art. 73 d.P.R. 309/1990. La decisione sottolinea inoltre l’ampia discrezionalità del giudice nel commisurare la pena entro i limiti edittali, richiedendo una motivazione rafforzata solo in casi eccezionali.

Quali elementi escludono la qualificazione di un fatto di spaccio come di “lieve entità”?
Secondo la sentenza, la qualificazione di lieve entità può essere esclusa sulla base di una valutazione complessiva che consideri il rilevante dato quantitativo della sostanza, la sua suddivisione in dosi, l’occultamento in diverse parti dell’abitazione (indicativo di un’attesa di acquirenti) e la condizione di disoccupazione dell’imputato, che suggerisce che viva dei proventi dello spaccio.

Lo stato di disoccupazione dell’imputato è sufficiente a dimostrare che vive dei proventi dello spaccio?
Nel contesto di questa decisione, lo stato di disoccupazione non è stato l’unico elemento, ma uno degli indici che, valutato insieme agli altri (quantità, suddivisione in dosi), ha portato i giudici a ritenere che l’imputato vivesse dell’attività illecita, contribuendo così a escludere la lieve entità.

Il giudice deve sempre spiegare dettagliatamente perché ha scelto una certa pena?
No. La Corte di Cassazione ha ribadito che una spiegazione specifica e dettagliata è richiesta solo quando la pena inflitta è di gran lunga superiore alla misura media prevista dalla legge. In altri casi, sono sufficienti espressioni sintetiche come “pena congrua” o un richiamo alla gravità del reato per adempiere all’obbligo di motivazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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