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Lieve entità: quando è esclusa per droga? Cassazione

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato condannato per spaccio di sostanze stupefacenti, il quale richiedeva l’applicazione dell’ipotesi di lieve entità. La Corte ha confermato la decisione dei giudici di merito, escludendo la lieve entità sulla base di plurimi elementi: l’ingente quantitativo di cocaina (200 grammi), l’elevato principio attivo (86,7%), il notevole valore economico (circa 16.000 euro) e le modalità organizzate dell’azione, che suggerivano un inserimento in contesti criminali più ampi.

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Pubblicato il 11 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Lieve entità nel traffico di droga: la Cassazione chiarisce i criteri di esclusione

L’applicazione della circostanza della lieve entità nei reati connessi agli stupefacenti rappresenta un tema cruciale, capace di modificare significativamente l’esito sanzionatorio per l’imputato. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione torna a delineare con fermezza i confini di questa attenuante, confermando che la sua concessione non è automatica e deve basarsi su una valutazione complessiva di tutti gli indici della condotta. Il caso in esame offre uno spunto di riflessione fondamentale per comprendere quando la gravità del fatto sia tale da precludere ogni possibile attenuazione della pena.

I Fatti del Caso

Un soggetto veniva condannato dalla Corte d’Appello per il reato di cui all’art. 73, comma 1, del D.P.R. 309/1990, per la detenzione di un considerevole quantitativo di sostanza stupefacente. Nello specifico, si trattava di 200 grammi di cocaina, caratterizzata da un principio attivo molto elevato, pari all’86,7%. Il valore economico della droga era stato stimato in circa 16.000 euro.

L’imputato, non rassegnato alla condanna, proponeva ricorso per cassazione, affidandosi a un unico motivo: il mancato riconoscimento dell’ipotesi della lieve entità. A suo avviso, la Corte d’Appello avrebbe errato nel non qualificare il fatto come di minore gravità, nonostante le sue argomentazioni difensive.

La Decisione della Corte di Cassazione e il diniego della lieve entità

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. I giudici di legittimità hanno pienamente condiviso e avallato il percorso logico-giuridico seguito dalla Corte d’Appello. La decisione evidenzia come il giudice di secondo grado avesse correttamente esaminato tutti gli elementi a disposizione, giungendo a una conclusione motivata e coerente.

La Cassazione ribadisce il proprio ruolo di giudice della legittimità, il cui compito non è rivalutare nel merito le prove, ma verificare che la decisione impugnata sia immune da vizi logici e giuridici. In questo caso, la ricostruzione dei fatti e l’inquadramento giuridico operati dalla Corte territoriale sono stati ritenuti precisi, circostanziati e corretti.

Le Motivazioni della Corte: Criteri per escludere la lieve entità

La Corte ha ritenuto la censura dell’imputato infondata, basandosi su una serie di indicatori oggettivi che, nel loro complesso, dipingevano un quadro di notevole gravità. Gli elementi decisivi per escludere la lieve entità sono stati:

1. Il dato quantitativo e qualitativo

Il possesso di 200 grammi di cocaina è stato considerato un quantitativo di per sé significativo. A ciò si è aggiunto l’elevatissimo principio attivo (86,7%), dal quale si sarebbe potuto ricavare un numero eccezionalmente alto di dosi medie singole, ulteriormente aumentabile con l’utilizzo di sostanze da taglio.

2. Il valore economico

Il valore di mercato, stimato in 16.000 euro, è stato qualificato come “ingente”, confermando la portata non marginale dell’operazione illecita.

3. Le modalità dell’azione

Un elemento cruciale è stato rappresentato dalle modalità con cui l’imputato si era procurato la droga. Egli si era recato appositamente in un’altra città per prelevare il cospicuo quantitativo. Questo comportamento, secondo la Corte, non era compatibile con un’attività di spaccio svolta in modo autonomo e individuale. Al contrario, suggeriva un’operatività strutturata e un collegamento con associazioni criminali, denotando un’offensività ben superiore a quella di un piccolo spacciatore.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche

L’ordinanza in esame consolida un principio fondamentale: la valutazione sulla lieve entità non può limitarsi al solo dato ponderale della sostanza, ma deve essere il risultato di un’analisi globale che tenga conto di tutti gli indici sintomatici della gravità del reato. La presenza simultanea di un elevato quantitativo, alta purezza, ingente valore economico e modalità operative organizzate costituisce un ostacolo insormontabile al riconoscimento dell’attenuante. Per gli operatori del diritto, questa pronuncia ribadisce l’importanza di analizzare ogni aspetto della condotta per inquadrare correttamente la fattispecie, mentre per i cittadini sottolinea come il coinvolgimento in attività di traffico strutturate, anche se non formalmente inquadrate in un’associazione, venga severamente sanzionato dall’ordinamento.

Quando può essere esclusa l’ipotesi della lieve entità in un reato di spaccio?
Secondo la Corte, l’ipotesi di lieve entità può essere esclusa quando sono presenti più indicatori di gravità, come un quantitativo significativo di sostanza, un elevato principio attivo, un ingente valore economico e modalità dell’azione che suggeriscono un’attività non isolata ma collegata a contesti criminali più ampi.

Quali elementi ha considerato la Corte per valutare la gravità del fatto?
La Corte ha considerato quattro elementi principali: 1) il dato ponderale (200 grammi di cocaina); 2) il dato qualitativo (principio attivo dell’86,7%); 3) il valore economico (circa 16.000 euro); 4) le modalità dell’azione (il viaggio specifico per prelevare la droga, indicativo di un’attività organizzata).

Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, come in questo caso, non viene esaminato nel merito. Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale, anche al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, qui quantificata in 3.000 euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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