Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 17942 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 17942 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOMENOME COGNOME
Data Udienza: 11/03/2025
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a CANTU’ il 28/11/1972
COGNOME NOME nato a PALERMO il 10/05/1970
avverso la sentenza del 25/06/2024 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza del 25 giugno 2024 la Corte di appello di Palermo, in parziale riforma della pronuncia del G.U.P. del locale Tribunale del 13 luglio 2023, ha ridotto la pena inflitta a COGNOME NOME nella misura di anni sei, mesi otto di reclusione ed euro 30.000,00 di multa e rideterminato la pena applicata a NOME in anni quattro di reclusione ed euro 17.333,00 di multa in ordine al reato di cui all’art. 73 D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati, a mezzo dei loro difensori, deducendo, con due differenti atti: violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’omessa riqualificazione del fatto ai sensi dell’art 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990; violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo all’omessa concessione delle circostanze attenuanti generiche (COGNOME Nicola); violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’erronea configurazione della responsabilità penale, per essere sussistente, al più, un’ipotesi di favoreggiamento personale con causa di esclusione della punibilità ex art. 384 cod. pen.; violazione di legge e vizio di motivazione per mancata riqualificazione del reato ai sensi dell’art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990 (NOME COGNOME.
I ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, in quanto proposti con motivi non deducibili in questa sede di legittimità.
2.1. E infatti, con riguardo alla censura di entrambi i ricorrenti circa l mancata riqualificazione del reato ai sensi dell’art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990, deve essere osservato come il riconoscimento dell’ipotesi della lieve entità richieda un’adeguata valutazione complessiva del fatto, in relazione a mezzi, modalità e circostanze dell’azione, qualità e quantità della sostanza con riferimento al grado di purezza, in modo da pervenire all’affermazione di lieve entità in conformità ai principi costituzionali di offensività e proporzionalità del pena (cfr. Sez. 6, n. 1428 del 19/12/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 271959-01), per cui il giudice è tenuto a valutare complessivamente tutti gli elementi normativamente indicati, e, quindi, sia quelli concernenti l’azione (mezzi, modalità e circostanze della stessa), sia quelli che attengono all’oggetto materiale del reato (quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa), dovendo conseguentemente escludere il riconoscimento dell’attenuante quando anche uno solo di questi elementi porti ad escludere che la lesione del bene giuridico protetto sia di lieve entità (così, tra le tante, Sez. n. 39977 del 19/09/2013, Tayb, Rv. 256610-01).
E’ necessario, cioè, che la qualificazione del fatto ai sensi dell’art. 73 comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990 costituisca l’approdo della valutazione complessiva di tutte le circostanze del fatto rilevanti per stabilire la sua enti alla luce dei criteri normativizzati e che tale percorso valutativo, così ricostruit si rifletta nella motivazione della decisione, dovendo il giudice dimostrare di avere vagliato tutti gli aspetti normativamente rilevanti e spiegare le ragioni della ritenuta prevalenza eventualmente riservata solo ad alcuni di essi.
Risulta allora che, nel caso di specie, la Corte territoriale, correttamente valutando i plurimi e variegati dati probatori disponibili, ha offerto un motivazione pienamente adeguata in ordine al disposto diniego del riconoscimento della fattispecie della lieve entità (cfr. pp. 4 e s. della sentenza impugnata), essendo stati posti in rilievo alcuni aspetti rivelatori dell professionalità con cui l’attività di spaccio veniva svolta da parte degli imputati, perciò negando la ricorrenza della più lieve ipotesi sulla base di elementi cui ha ritenuto di attribuire una rilevanza maggiormente significativa rispetto ad altri ai fini dell’esclusione della minima offensività.
2.2. Parimenti inammissibile è la seconda doglianza eccepita da parte di COGNOME Nicola, relativa alla mancata concessione in suo favore delle circostanze attenuanti generiche, avendo la Corte di appello ben rappresentato e giustificato, in punto di diritto, le ragioni di esclusione del riconoscimento di tale beneficio esprimendo una motivazione priva di vizi logici e coerente con le emergenze processuali, in quanto tale insindacabile in sede di legittimità (cfr. pp. 5 e s.).
2.3. Stesso giudizio deve essere espresso, infine, pure con riguardo alla censura introduttiva eccepita da parte di NOMECOGNOME considerato che essa, lungi dal confrontarsi con la congrua e logica motivazione resa dalla Corte territoriale in replica alle analoghe doglianze eccepite con l’atto di appello – nell quale erano state congruamente evidenziate le ragioni di non configurabilità della condotta dell’imputata quale ipotesi di favoreggiamento personale (cfr. pp. 2 e ss.) – reitera le medesime considerazioni critiche espresse nel precedente atto impugnatorio, proposto avverso la sentenza di primo grado.
Per come ripetutamente chiarito da questa Corte di legittimità (cfr., ex plurimis, Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv. 254584-01), la funzione tipica dell’impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce. Tale critica argomentata si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 cod. proc. pen.), devono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale dell’atto di impugnazione, cioè, è innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale (con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano i
dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta.
Risulta di chiara evidenza, pertanto, che se il motivo di ricorso, come nel caso in esame, non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, per ciò
solo si destina all’inammissibilità, venendo meno in radice l’unica funzione per la quale è previsto e ammesso (la critica argomentata al provvedimento).
E’ inammissibile, quindi, il ricorso per cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con l’atto di appello e motivatamente respinti in secondo
grado, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato ma limitandosi, in maniera generica, a lamentare una
presunta carenza o illogicità della motivazione (così, tra le altre: Sez. 2, n.
27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970-01; Sez. 3, n. 44882 del
18/07/2014, COGNOME Rv. 260608-01; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, COGNOME
Rv. 243838-01).
3. All’inammissibilità dei ricorsi segue, per legge, la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali ed alla somma di euro 3.000,00 ciascuno
in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero (Corte Cost., sent. n. 186/2000).
P. Q. M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma 1’11 marzo 2025
Il Consigliere estensore