Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 8478 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 8478 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a SESTO SAN GIOVANNI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 23/09/2022 della CORTE APPELLO di MILANO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Milano del 27 settembre 2019, ha rideterminato in anni 7 e mesi 2 di reclusione ed euro trentunnnila di multa la pena inflitta nei confronti di COGNOME NOME in relazione ai reati di cui agli artt. 81, 110 e 73, commi 1 e 6, d.P.R. n. 309 del 1990 (detenzione e cessione di stupefacenti di plurime dosi di cocaina tra l’estate 2014 e il 17 gennaio 2015).
L’imputato, a mezzo del proprio difensore, ricorre per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello per violazione di legge per omessa riqualificazione dei reati nelle corrispondenti fattispecie criminose previste dall’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990.
3. Il ricorso è inammissibile.
Con riferimento all’unico motivo di ricorso, va preliminarmente evidenziato che il ricorrente formula numerose censure anche relativamente alla sua identificazione e all’affermazione di responsabilità, per le quali emerge inequivocabilmente un difetto di devoluzione, in quanto con l’atto di appello erano stati prospettate doglianze solo sulla qualificazione giuridica del fatto e sul trattamento sanzionatorio.
Va poi ricordato che le Sezioni Unite di questa Corte (S.U., n. 51063 del 27/09/2018, COGNOME, non massimata sul punto) hanno precisato che, ai fini dell’operazione di qualificazione del fatto, non può essere attribuito agli elementi positivamente indicati nella norma incriminatrice un aprioristico significato negativo assorbente e, quindi, a priori ed in astratto, carattere ostativo alla qualificazione del fatto come di lieve entità, dovendo emergere, come detto, una siffatta conclusione dalla valutazione complessiva dello stesso e dalla riscontrata incapacità degli altri indici selezionati dal comma 5 dell’art. 73 di neutralizzarne la carica negativa. Fra questi indici anche la valenza del dato ponderale, al di fuori dei casi nei quali assume valore preponderante negativo per la sua significatività, deve essere determinata in concreto, al confronto con le altre circostanze del fatto rilevanti.
Al riguardo, la fattispecie autonoma di cui al comma quinto cit. è così configurabile nelle ipotesi di cosiddetto piccolo spaccio, che si caratterizza per una complessiva minore portata dell’attività dello spacciatore e dei suoi eventuali complici, con una ridotta circolazione di merce e di denaro nonché di guadagni limitati e che ricomprende anche la detenzione di una provvista per la vendita che, comunque, non sia superiore – tenendo conto del valore e della tipologia della sostanza stupefacente a dosi conteggiate a “decine” (Sez. 6, n. 15642 del 27/01/2015, Driouech, Rv. 263068).
E’ stato altresì affermato che, in tema di stupefacenti, la qualificazione del fatto ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, non può essere ricavata sulla base del solo parametro quantitativo, desunto dal dato statistico relativo alle pronunce rese in un determinato ufficio giudiziario che hanno riconosciuto la minore gravità del fatto, posto che, per l’accertamento della lieve entità, si deve far rifer mento all’apprezzamento complessivo degli indici che la norma richiama (Sez. 6, n. 7464 del 28/11/2019, dep. 2020, Riccio, Rv. 278615).
In linea coi suesposti principi, la Corte territoriale ha escluso la possibilità riqualificare i reati contestati nell’ipotesi più lieve di cui al comma quinto dell’art. cit., evidenziando l’incessante commercio di cocaina evincibile dal contenuto delle numerose conversazioni intercettate, dal possesso di numerose dosi e di danaro in contanti, dalla lunga durata dell’attività illecita e dalla professionalità dimostrata ne ricevere gli ordini telefonici dei clienti.
Per tali ragioni nella sentenza impugnata i reati in questione sono stati logicamente considerati quale espressione di un’attività organizzata – sia pur in modo rudimentale, ma connotata di gravità e non occasionale – di spaccio di stupefacenti da reperire e da diffondere in modo sistematico.
La Corte di merito, pertanto, ha svolto un’analitica valutazione di tutti i parametri richiamati espressamente dall’art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990, sia quelli concernenti l’azione (mezzi, modalità e circostanze della stessa), sia quelli attinenti all’oggetto materiale del reato (quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa), escludendo con motivazione immune da censure l’ipotesi della lieve entità.
Dall’esauriente apparato argonnentativo emergono con evidenza le ragioni dell’impossibilità di considerare le fattispecie di minima offensività.
Il ricorrente formula censure non attinenti alla fattispecie concreta e non si confronta col più ampio apparato argomentativo, che ha illustrato tutti i profili oggettiv e soggettivi della vicenda criminosa.
Per tali ragioni il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in euro tremila, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen..
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento dell spese processuali e della somma di euro tremila alla Cassa delle Ammende. Così deciso in Roma il 14 febbraio 2024.