Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 47056 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 47056 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 28/11/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME nato a BUSTO ARSIZIO il 17/03/1991 AHMETOVIC ALEX (ALIAS MESAREVIC ALEX) nato a MODENA il 01/01/1995
avverso la sentenza del 15/04/2024 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Bologna ha confermato la sentenza del Tribunale di Modena, emessa il 13 dicembre 2018, che aveva condannato i ricorrenti alla pena di giustizia in relazione al reato di rapina, commesso presso un distributore di carburante, allorquando i due imputati avevano minacciato COGNOME Giacomo ottenendo di rifornire la propria autovettura a spese della persona offesa, dalla quale ottenevano ulteriori cinque euro.
Ricorrono per cassazione NOME e NOME (alias NOME, a mezzo del loro comune difensore e con unico atto, attraverso il quale deducono:
violazione di legge per non avere la Corte ritenuto di concedere la circostanza attenuante della lieve entità del fatto, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 86 del 2024;
violazione di legge in ordine alla qualificazione giuridica del fatto come rapina anziché come truffa aggravata da un pericolo immaginario, non avendo la Corte tenuto conto dell’assenza di minaccia nei confronti della persona offesa, della cui disattenzione, nell’erogazione del carburante, gli imputati avrebbero approfittato, chiedendo cinque euro alla vittima per mero accattonaggio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato nei limiti di seguito precisati.
Il secondo motivo, che ha priorità logica, è inammissibile perché non specifico. I ricorrenti non si confrontano con la motivazione del provvedimento impugnato, nella parte in cui la Corte di appello ha escluso che il fatto potesse ricondursi ad una truffa, valorizzando le dichiarazioni della persona offesa, ritenuta attendibile senza vizi logici, secondo cui l’atteggiamento tenuto dagli imputati l’aveva intimorita e spaventata e per tale ragione ella si era risolta a cedere alle pressioni prevaricatrici dei ricorrenti (che erano in tre), anche in relazione alla richiesta d danaro, consegnando loro l’unica somma in suo possesso.
Nel che, la sussistenza della minaccia idonea a configurare il reato di rapina e non quello di truffa.
E’ fondato il primo motivo.
1.1. Deve, preliminarmente, rilevarsi che la sentenza della Corte costituzionale n. 86 del 2024 è stata depositata il 13 maggio, data successiva alla sentenza impugnata, sicché il ricorrente non aveva alcuna possibilità di porre la questione nel giudizio di appello.
1.2. La Corte costituzionale, con la sentenza citata, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 628, secondo comma, del codice penale, nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve enti in via consequenziale e per le stesse ragioni, è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 628, primo comma, cod. pen.
1.3. Si è introdotta, pertanto, nell’ordinamento una circostanza attenuante comune, come tale idonea ad essere bilanciata con eventuali circostanze aggravanti, considerazione che è resa evidente non solo dal tenore dell’art. 69 cod.pen., ma anche dalla circostanza che,al cospetto della Corte costituzionale, era stato portato un caso di rapina impropria aggravata dal numero delle persone, al pari di una delle due vicende concrete che avevano dato luogo alla sentenza n. 120 del 2023 relativa al delitto di estorsione, laddove la Corte costituzionale ha adottato omologa statuizione.
1.4. Ne consegue che, in linea di principio, la contestazione di una circostanza aggravante comune non è risolutiva al fine di escludere l’applicazione dell’attenuante oggi applicabile ai delitti di rapina e di estorsione, occorrendo una valutazione caso per caso e, in sede di legittimità, in relazione al giudizio in concreto espresso dal giudice di merito come può trarsi dalle sentenze di primo e secondo grado.
A questo proposito, si è già condivisibilmente affermato, nella giurisprudenza di legittimità e con argomentazioni applicabili al caso in esame – cfr. Sez. 2, n. 9820 del 26/01/2024, COGNOME, Rv. 286092 -che l’attenuante della lieve entità del fatto, prevista dall’art. 311 cod. pen. ed applicabile anche al delitto di estorsione a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 120 del 2023, postula una valutazione del fatto nel suo complesso, sicché non è configurabile se la lieve entità difetti con riguardo all’evento in sè considerato o con riguardo alla natura, alla specie, ai mezzi, alle modalità e alle circostanze della condotta ovvero, ancora, in relazione all’entità del danno o del pericolo conseguente al reato. (In applicazione del principio, la Corte ha giudicato immune da censure la decisione che aveva escluso tale attenuante sul rilievo che l’imputato era recidivo e la vittima era ottantenne).
Al contrario, gli indici che devono essere presi in considerazione per ritenere sussistente la circostanza attenuante ineriscono alla estemporaneità della condotta, alla modestia dell’offesa personale alla vittima, all’esiguità delle somme estorte e all’assenza di profili organizzativi.
Più in particolare, nella sentenza della Corte costituzionale n. 86 del 2024, al paragrafo 5.9., si specifica: “mette conto ribadire quanto già osservato nella sentenza n. 120 del 2023 a proposito dell’estorsione, cioè che gli indici dell’attenuante di lieve entità del fatto – estemporaneità della condotta, scarsità dell’offesa personale alla vittima, esiguità del valore sottratto, assenza di profil organizzativi – garantiscono che la riduzione della pena sia riservata alle ipotesi
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di lesività davvero minima, per una condotta che pur sempre incide sulla libertà di autodeterminazione della persona”.
1.5. Nel caso in esame, la circostanza aggravante delle più persone riunite è stata ritenuta dai giudici di merito subvalente rispetto alla circostanza attenuante di cui all’art. 62, prima comma, n. 4), cod.pen. ed alle circostanze attenuanti generiche; di tal che, il giudice di primo grado, ha effettuato, in ossequio ai criteri stabiliti dall’art. 69 cod.pen., due riduzioni rispetto alla pena base.
La sentenza di primo grado (fg. 9) è giunta a tale statuizione, confermata dalla Corte di appello, ritenendo le “modalità non particolarmente pericolose dell’azione”, il “modesto importo della somma oggetto di sottrazione”, i “limitati effetti dannosi connessi all’azione minacciosa perpetrata ai danni della vittima”, la mancanza di organizzazione stante il “proposito meramente estemporaneo volto all’impossessamento di beni di scarso valore”.
Si tratta di elementi idonei a legittimare, in astratto, anche l’ulteriore concessione dell’attenuante del fatto di lieve entità, valutazione di merito non adottabile in questa sede.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente all’omesso riconoscimento della circostanza attenuante del fatto di lieve entità e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Bologna.
Dichiara inammissibili nel resto i ricorsi.
Così deciso, il 28/11/2024.