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Licenza scommesse: operare senza è reato?

La Cassazione ha confermato il sequestro di un’agenzia che operava senza la necessaria licenza scommesse. Anche se il bookmaker estero di riferimento era stato discriminato in passato, la Corte ha ritenuto che le leggi di sanatoria successive avessero rimosso gli ostacoli. Non aderire a tali sanatorie rende l’attività illecita.

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Pubblicato il 22 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Licenza Scommesse: Reato Operare Senza Anche in Caso di Pregresse Discriminazioni

Operare nel settore delle scommesse senza la necessaria licenza scommesse è un tema complesso, specialmente quando entrano in gioco normative europee e presunte discriminazioni da parte dello Stato. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti cruciali, stabilendo che, una volta rimosse le barriere normative discriminatorie, chi sceglie di non regolarizzare la propria posizione non può più invocare tali discriminazioni come scusante e commette reato. Analizziamo insieme questa importante decisione.

Il Caso: Raccolta Scommesse Senza Autorizzazione

Il caso ha origine dal ricorso presentato dal legale rappresentante di un’agenzia di scommesse, contro un’ordinanza del Tribunale del riesame che confermava un decreto di sequestro preventivo. L’agenzia raccoglieva scommesse per conto di un noto bookmaker straniero senza essere in possesso dell’autorizzazione di polizia richiesta dall’art. 88 del T.U.L.P.S. e della necessaria concessione statale.

La difesa del ricorrente si basava su un argomento consolidato in passato: il bookmaker straniero era stato vittima di discriminazione nelle procedure di gara per l’assegnazione delle concessioni in Italia. Tale discriminazione, secondo la difesa, rendeva inesigibile il possesso del titolo autorizzativo, giustificando l’attività dell’agenzia.

La Procedura di Regolarizzazione Ignorata

Il punto cruciale della vicenda, tuttavia, risiede nelle normative introdotte successivamente per sanare queste situazioni. In particolare, la legge di stabilità del 2014 aveva previsto una procedura di regolarizzazione che permetteva agli operatori, anche esteri, di ottenere licenze temporanee e mettersi in regola. Sia il bookmaker straniero che l’agenzia ricorrente avevano deliberatamente scelto di non aderire a questa procedura.

La Decisione della Corte sulla Licenza Scommesse

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la legittimità del sequestro preventivo. Secondo i giudici, il ricorso era manifestamente infondato perché l’ordinamento italiano, proprio attraverso la legge di stabilità del 2014, aveva rimosso le ragioni di discriminazione nei confronti del bookmaker estero. L’ostacolo all’accesso al mercato era stato superato, offrendo una via legale per operare in Italia.

La Mancanza di Giustificazione per l’Operatività Illecita

La Corte ha sottolineato che, una volta creata una procedura di regolarizzazione ad hoc per sanare le pregresse discriminazioni, la scelta del bookmaker e dei suoi centri affiliati di non aderirvi li priva di qualsiasi giustificazione. Non è più possibile sostenere che la mancanza di licenza sia dovuta a un’illegittimità del sistema concessorio italiano. La decisione di operare al di fuori delle regole, pur avendo la possibilità di regolarizzarsi, configura pienamente l’ipotesi di reato.

Le Motivazioni: Perché la Mancanza di Licenza Scommesse è Reato?

Le motivazioni della Corte si fondano su un principio di coerenza e responsabilità. La giurisprudenza, sia nazionale che europea (sentenze Placanica, Costa-Cifone), aveva in passato disapplicato la normativa penale italiana quando questa puniva soggetti a cui era stato illegittimamente impedito l’accesso al mercato. Tuttavia, questo principio non crea una zona di immunità perpetua. Il legislatore italiano, recependo le critiche, ha introdotto con la legge di stabilità del 2014 una ‘sanatoria’ volta a rimediare agli effetti discriminatori dei precedenti bandi. Questa normativa transitoria aveva lo scopo preciso di consentire ai soggetti che operavano ‘comunque’ sul territorio di regolarizzare la propria posizione, ottenendo un titolo abilitativo provvisorio. La Corte ha stabilito che la mancata adesione a questa procedura rende irrilevante qualsiasi discussione sulle discriminazioni passate. L’operatore non può pretendere un ‘privilegio’ e continuare a operare illecitamente quando gli è stata offerta una concreta possibilità di mettersi in regola.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza ha importanti implicazioni pratiche per tutti gli operatori del settore del gaming. Innanzitutto, riafferma che il possesso della licenza scommesse e della concessione è un requisito imprescindibile per operare legalmente in Italia. In secondo luogo, chiarisce che le tutele accordate in passato agli operatori discriminati cessano nel momento in cui lo Stato fornisce strumenti idonei a superare tale discriminazione. La scelta di non utilizzare questi strumenti equivale a una decisione consapevole di porsi al di fuori della legalità, con tutte le conseguenze penali che ne derivano, come il sequestro delle attrezzature e l’incriminazione per esercizio abusivo di attività di gioco o scommessa. Di conseguenza, nessun operatore può più giustificare la propria attività illecita appellandosi a discriminazioni storiche se ha ignorato le opportunità di regolarizzazione offerte dalla legge.

È possibile gestire un’agenzia di scommesse senza licenza se il bookmaker estero di riferimento è stato storicamente discriminato dallo Stato italiano?
No. Secondo la Corte, una volta che lo Stato ha introdotto procedure di regolarizzazione per sanare le discriminazioni passate (come la legge di stabilità del 2014), l’operatore che sceglie di non aderirvi non può più invocare la pregressa discriminazione come giustificazione per operare senza licenza.

La procedura di regolarizzazione introdotta nel 2014 ha eliminato le discriminazioni passate?
Sì, la sentenza afferma che la finalità della normativa transitoria era proprio quella di porre rimedio ai presunti effetti discriminatori dei bandi precedenti, consentendo ai soggetti che operavano sul territorio di ottenere un titolo abilitativo e regolarizzare la propria attività.

Cosa succede se un operatore, pur avendone la possibilità, non aderisce alle procedure di regolarizzazione per ottenere una licenza scommesse?
L’operatore si pone volontariamente al di fuori della legalità. La sua attività è considerata illecita e sanzionata penalmente ai sensi dell’art. 4, comma 4-bis, della legge n. 401 del 1989. La mancata richiesta della licenza, quando possibile, rende irrilevante ogni questione relativa a eventuali discriminazioni subite in passato dal bookmaker straniero.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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