Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 1461 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 1461 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Napoli il 13/12/1966
avverso la sentenza del 15/3/2023 della Corte di appello di Napoli; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiarare inammissibile il ricorso;
lette le conclusioni del difensore del ricorrente, Avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 15/3/2023, la Corte di appello di Napoli confermava la pronuncia emessa il 20/10/2020 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli Nord, con la quale NOME COGNOME era stato giudicato colpevole del delitto di cui agli artt. 291-bis, 291-ter, d.P.R. 2.3 gennaio 1973, n. 43.
Propone ricorso per cassazione l’imputato, deducendo i seguenti motivi:
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erronea applicazione della legge penale in relazione alla sussistenza del reato e all’interpretazione dell’art. 438 cod. proc. pen. Il COGNOME sarebbe stato condannato pur in assenza di prova circa la lavorazione all’estero del tabacco in sequestro, invero mai accertata e mai oggetto di indagine. Al riguardo, a nulla varrebbe l’ammissione di responsabilità quanto alla condotta, né la scelta del rito abbreviato che non potrebbe comportare alcuna inversione dell’onere della prova;
erronea applicazione della legge penale con riguardo al rapporto tra la fattispecie contestata e l’art. 474, comma 2, cod. pen. La Corte di appello avrebbe omesso di motivare in ordine alla possibilità di riqualificare il fatto ai sensi quest’ultima norma, da ritenere speciale rispetto all’altra alla luce della presenza di un marchio (di sigarette) contraffatto;
erronea applicazione della circostanza aggravante di cui all’art. 291-ter cod. pen. La sentenza avrebbe confermato l’aggravante dell’aver commesso il fatto utilizzando un mezzo appartenente ad altri, senza però rilevare che tale concetto avrebbe portata più ampia rispetto a quello di proprietà; d’altronde, quando il legislatore ha inteso riferirsi a quest’ultimo istituto, lo avrebbe fatto sempr espressamente. Peraltro, la ratio dell’aggravante risiederebbe nell’ostacolo posto all’attività di indagine, che potrebbe essere intralciata quanto all’individuazione degli autori; ebbene, ciò non risulterebbe nel caso di specie, in quanto il veicolo sequestrato sarebbe intestato al figlio del ricorrente, quel che non avrebbe reso affatto più difficoltosa l’attività della polizia giudiziaria;
illogicità e contraddittorietà della motivazione quanto alle circostanze attenuanti generiche. Premesso che queste erano state riconosciute dal primo Giudice con giudizio di equivalenza sull’aggravante e che l’atto di appello ne chiedeva l’applicazione con prevalenza, la Corte – errando sul contenuto del motivo – avrebbe affermato l’insussistenza di elementi per riconoscere le circostanze medesime. Le due sentenze, pertanto, sarebbero contraddittorie, specie perché la seconda sminuirebbe l’ammissione degli addebiti, mentre la prima fonderebbe su questa il riconoscimento delle stesse generiche; analogamente, poi, quanto all’indicazione della fonte di approvvigionamento, negata dalla Corte d’appello ma riconosciuta nella prima sentenza;
erronea applicazione dell’art. 300, d.P.R. n. 43 del 1973. Contrariamente a quanto affermato dalla Corte di appello, l’applicazione della libertà vigilata non potrebbe seguire automaticamente all’irrogazione della pena in misura superiore a un anno, occorrendo sempre la verifica della pericolosità sociale del soggetto, mai presunta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
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Il ricorso risulta fondato quanto all’ultimo motivo.
Con riguardo al primo motivo, la Corte di appello ed il primo Giudice hanno correttamente evidenziato che l’intero tabacco sequestrato al Ragosta era privo del contrassegno di Stato e recava marchi stranieri, quali “Regina”, “Regina Super slinn”, “Chesterfield”, “Stix”, “Minhck”; l’imputato aveva affermato che i primi due marchi, in realtà, erano stati prodotti in Italia, ma tale circostanza era risulta sprovvista di ogni conferma documentale, e la richiesta di rito abbreviato non era stata subordinata ad alcuna verifica in tal senso. Nessuna inversione dell’onere della prova, dunque, ma una adeguata ripartizione dello stesso tra le parti: a fronte di plurimi marchi (di contrabbando) di apparente produzione estera, in ragione del nome, avrebbe infatti costituito onere della difesa dimostrarne la differente provenienza italiana, ma di ciò la stessa non si è fatta carico.
Anche il secondo motivo di ricorso è infondato.
5.1. Contrariamente a quanto affermato, la Corte di appello si è pronunciata sul rapporto tra la norma contestata e la fattispecie di cui all’art. 474, comma 2, cod. pen. (detenzione per la vendita di prodotti industriali, anche esteri, con marchi contraffatti), sottolineando in modo adeguato la differente portata dei due reati e della ratio che li distingue, tali da non poter riscontrare un rapporto di specialità. Mentre l’art. 474 cod. pen., infatti, costituisce un delitto contro la fe pubblica, il cui disvalore si riscontra nella idoneità del prodotto contraffatto alterato ad ingannare il pubblico e ad indurlo ad identificare erroneamente la merce stessa come proveniente da un determinato produttore, l’art. 291-bis in esame tutela la necessità che prodotti provenienti dall’estero siano sottoposti alla prevista imposizione fiscale e alle leggi doganali, al fine di evitare un evidente danno per l’erario. La contestazione mossa al COGNOME, dunque, risulta corretta, e la risposta offerta dalla Corte di appello non merita censura.
Il ricorso risulta infondato anche quanto al terzo motivo, che lamenta il riconoscimento della circostanza aggravante di cui all’art. 291-ter, comma 1, d.P.R. n. 43 del 1973 (contrabbando commesso adoperando mezzi di trasporto appartenenti a persone estranee al reato), sul presupposto che il concetto di appartenenza sarebbe ben più ampio rispetto alla mera intestazione e che, nel caso di specie, la riferibilità del mezzo al figlio del ricorrente non avrebbe costituit alcun ostacolo all’attività di indagine.
6.1. Al riguardo, basti qui richiamare – con la Corte di appello – il costante e condiviso indirizzo secondo cui in tema di contrabbando doganale, ai fini della configurabilità della circostanza aggravante dell’utilizzo di mezzo di trasporto appartenente ad un terzo estraneo al reato deve ritenersi sufficiente la dimostrazione della titolarità del mezzo in capo a soggetto non imputato, senza che sia necessaria altresì la prova della innocenza di costui. Si è osservato, ancora,
che la legge impone la confisca del bene anche ai danni del terzo proprietario estraneo al reato, addossando a quest’ultimo – proprio sul presupposto dell’assenza di concorso nel fatto criminoso – l’onere di provare, al fine di evitarne la confisca obbligatoria ed ottenerne la restituzione, di non averne potuto prevedere, nemmeno a titolo di colpa, l’illecito impiego anche occasionale da parte di terzi e di non essere incorso in un difetto di vigilanza (Sez.3 n.36834 del 07/10/2010, Rv.248567; Sez. 3, 11.7.2007, n. 41876, COGNOME, Rv 238053). (tra le altre, Sez. 3, n. 36834 del 7/10/2010, COGNOME, Rv. 248567. Successivamente, tra le molte, Sez. 3, n. 24332 del 22/3/2018, Monaco, non massimata). La maggior gravità della condotta, dunque, non si coglie nell’ostacolo che l’agente avrebbe posto alle indagini, ma nel coinvolgimento in queste di soggetti che alle stesse debbono rimanere estranei.
Risulta infondato, di seguito, anche il quarto motivo in tema di circostanze attenuanti generiche.
7.1. Premesso che, effettivamente, la Corte di appello ha interpretato male la censura (peraltro riportata in termini esatti nella sintesi dei motivi di gravame), pronunciandosi sulla concedibilità stessa delle attenuanti e non sul rapporto di queste – già riconosciute in primo grado – con l’aggravante menzionata; tanto premesso, il Collegio osserva che comunque la sentenza, negando tout court le attenuanti per difetto di presupposti, né ha escluso, a maggior ragione, una maggior efficacia rispetto all’aggravante riconosciuta, così da non potersi superare il giudizio di bilanciamento in equivalenza operato dal Tribunale.
E’ fondato, per contro, l’ultimo motivo di censura, che contesta alla Corte di appello la conferma della misura di sicurezza della libertà vigilata ex art. 300, d.P.R. n. 43 del 1973 – in assenza di ogni valutazione circa la pericolosità sociale del soggetto. Questa Corte, infatti, con ampia motivazione alla quale si rimanda, ha già affermato che la misura di sicurezza in oggetto, anche in materia di violazioni doganali, può essere applicata soltanto previo accertamento della pericolosità sociale del condannato, senza il ricorso ad alcuna forma di presunzione. (Sez. 3, n. 15574 del 14/1/2020, COGNOME, Rv. 279007: in motivazione, si è precisato che il riferimento all’avverbio “sempre”, contenuto nell’art. 300 d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, deve ritenersi tacitamente abrogato dalla legge 10 ottobre 1986, n. 663, che ha espressamente abrogato l’art. 204 cod. pen. ed ha espunto dall’ordinamento qualsiasi ipotesi di applicazione “automatica” delle misure di sicurezza. Successivamente, Sez. 3, n. 4207 del 26/10/2022, Rocco, non massimata).
8.1. La sentenza, pertanto, deve essere annullata con rinvio limitatamente all’applicazione della misura di sicurezza della libertà vigilata, c:on rigetto nel rest ed affermazione di irrevocabilità della responsabilità penale.
4.1.;
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al capo relativo alla misura di sicurezza, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Napoli. Rigetta il ricorso nel resto. Visto l’art. 624 cod. proc. pen dichiara l’irrevocabilità della sentenza in ordine all’affermazione della penale responsabilità dell’imputato.
Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2023
Il Presidente