Libertà Vigilata: Quando le Esigenze di Lavoro si Scontrano con la Pericolosità Sociale
L’applicazione di una libertà vigilata solleva spesso interrogativi complessi, specialmente quando le restrizioni imposte entrano in conflitto con le necessità quotidiane del soggetto, come l’attività lavorativa. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha offerto importanti chiarimenti sul bilanciamento tra le esigenze di controllo sociale e il diritto al lavoro, confermando la prevalenza delle prime quando la natura dell’impiego rischia di vanificare lo scopo della misura.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un individuo avverso l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza, che aveva confermato l’applicazione nei suoi confronti della misura di sicurezza della libertà vigilata per la durata di due anni. Il ricorrente sollevava due principali doglianze:
1. L’illogicità della valutazione sulla sua pericolosità sociale.
2. La mancata adozione di prescrizioni che rendessero la misura compatibile con la sua attività lavorativa, la quale richiedeva spostamenti su tutto il territorio nazionale.
Il Tribunale di Sorveglianza aveva basato la sua decisione su una condanna non definitiva a undici anni di reclusione per reati gravi come rapina aggravata e ricettazione, ritenendola un indicatore sufficiente della necessità di un periodo di “sperimentazione” e controllo.
La Compatibilità tra Libertà Vigilata e Lavoro Itinerante
Il punto cruciale del ricorso riguardava la compatibilità tra la libertà vigilata e un lavoro che impone continui spostamenti in tutta Italia. Il ricorrente chiedeva che le prescrizioni fossero modellate per consentirgli di proseguire la sua professione.
La Corte di Cassazione ha respinto questa argomentazione in modo netto. Ha chiarito che lo scopo primario della misura di sicurezza è quello di imporre obblighi di condotta per limitare le occasioni di commettere nuovi reati. Un provvedimento che consentisse al soggetto di spostarsi liberamente su tutto il territorio nazionale sarebbe intrinsecamente incompatibile con l’esercizio di una sorveglianza efficace da parte dell’autorità di pubblica sicurezza. Il controllo della condotta e il rispetto degli obblighi verrebbero, di fatto, resi impossibili, vanificando la funzione preventiva della misura.
La Valutazione della Pericolosità Sociale e la Libertà Vigilata
In merito alla presunta illogicità della valutazione sulla pericolosità sociale, la Corte ha ritenuto la motivazione del Tribunale di Sorveglianza pienamente ragionevole. I giudici hanno sottolineato come, ai sensi dell’art. 203 del codice penale, la pericolosità sociale si desuma anche dalle circostanze indicate nell’art. 133 c.p., tra cui rientra la “capacità a delinquere” desumibile dai precedenti penali.
Nel caso specifico, la pendenza di un procedimento per reati di grave allarme sociale, sfociato in una pesante condanna provvisoria, è stata considerata un elemento più che sufficiente a fondare un giudizio di pericolosità e a giustificare l’applicazione della libertà vigilata come strumento di verifica e contenimento.
Le Motivazioni della Decisione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, evidenziando come le censure del ricorrente fossero essenzialmente “in punto di fatto”. Il ricorso, infatti, non contestava una violazione di legge o un vizio logico manifesto nella motivazione, ma mirava a ottenere una diversa lettura degli elementi fattuali e una differente valutazione della pericolosità sociale.
Questo tipo di valutazione è precluso al giudice di legittimità, il cui compito è verificare la correttezza giuridica e la coerenza logica del ragionamento del giudice di merito, non sostituire la propria valutazione a quella già effettuata. Poiché la motivazione del Tribunale di Sorveglianza è stata giudicata logica e aderente ai dettami normativi, il ricorso non ha trovato accoglimento.
Conclusioni
L’ordinanza ribadisce un principio fondamentale in materia di misure di sicurezza: la finalità di prevenzione e controllo della pericolosità sociale prevale sulle esigenze lavorative del singolo, qualora queste siano oggettivamente incompatibili con l’effettività della sorveglianza. La decisione sottolinea inoltre come una condanna non definitiva per reati gravi possa costituire un valido fondamento per un giudizio di pericolosità sociale, legittimando l’applicazione della libertà vigilata. Infine, viene riaffermato il limite del sindacato della Corte di Cassazione, che non può entrare nel merito delle valutazioni di fatto riservate ai giudici dei gradi precedenti.
Una condanna non definitiva può giustificare l’applicazione della libertà vigilata?
Sì, secondo l’ordinanza, una condanna provvisoria per reati gravi, come rapina aggravata e ricettazione, costituisce un elemento ragionevole per desumere la pericolosità sociale di un individuo e giustificare l’applicazione della misura di sicurezza della libertà vigilata.
La libertà vigilata deve essere sempre compatibile con l’attività lavorativa del soggetto?
No. La Corte ha stabilito che se l’attività lavorativa, per sua natura, è incompatibile con le finalità di controllo e sorveglianza della misura (come un lavoro che richiede spostamenti su tutto il territorio nazionale), le esigenze di pubblica sicurezza prevalgono, rendendo legittimo un provvedimento che limita tale attività.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile perché le contestazioni del ricorrente erano rivolte al merito della valutazione dei fatti (come il giudizio sulla sua pericolosità), piuttosto che a vizi di legge o a palesi illogicità della motivazione. La Cassazione non può riesaminare i fatti, ma solo verificare la corretta applicazione delle norme.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 18673 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 18673 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 30/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CATANIA il 23/05/1974
avverso l’ordinanza del 18/09/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di CATANIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO
Esaminato il ricorso proposto dal difensore di COGNOME NOME avverso l’ordinanza con cui in data 18.9.2024 il Tribunale di Sorveglianza di Catania ha rigettato l’appello proposto, ex art. 680, comma 1, cod. proc. pen., avverso il provvedimento con cui in data 11.6.2024 il Magistrato di Sorveglianza di Catania gli aveva applicato la misura di sicurezza della libertà vigilata per due anni;
Rilevato che il ricorso lamenta la illogicità e la contraddittorietà del provvedimento impugnato nella parte in cui valuta la pericolosità sociale del condannato, nonché la mancanza di motivazione sulla richiesta subordinata di fissare prescrizioni che determinassero la compatibilità della libertà vigilata con lo svolgimento dell’attività lavorativa di Faro;
Considerato, quanto alla valutazione della pericolosità sociale, che l’elemento su cui il Tribunale di Sorveglianza basa l’affermazione della necessità di una “sperimentazione” e di una verifica di un anno di libertà vigilata è una pendenza per i reati di rapina aggravata e ricettazione in relazione ai quali il ricorrente ha subito una condanna provvisoria ad undici anni di reclusione: si tratta di una motivazione ragionevole, del tutto aderente al dettato dell’art. 203, comma 2, cod. pen. secondo il quale la pericolosità sociale si desume dalle circostanze di cui all’art. 133 cod. pen., fra cui è compresa anche la capacità a delinquere desumibile dai precedenti;
Considerato, quanto alla doglianza riguardante la omessa considerazione della possibilità di stabilire prescrizioni della misura di sicurezza compatibili con il lavoro, che l’attività lavorativa del ricorrente si svolge su tutto il territorio nazionale e che il giudice deve imporre alla persona in stato di libertà vigilata obblighi di condotta idonei ad evitare o limitare le occasioni di commissione di nuovi reati, sicché un provvedimento che avesse previsto la possibilità per Faro di spostarsi in tutta Italia sarebbe stato incompatibile con l’esercizio della sorveglianza, da parte dell’autorità di pubblica sicurezza, della condotta e del rispetto degli obblighi;
Ritenuto, pertanto, che il ricorso prospetti essenzialmente doglianze in punto di fatto, a fronte di una motivazione non manifestamente illogica, così da dover essere dichiarato inammissibile, in quanto si è limitato a sollecitare una non consentita rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione con l’adozione di parametri di valutazione diversi da quelli adottati nell’ordinanza impugnata;
Aggiunto che alla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in
favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 30.1.2025