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Libertà Vigilata: Lavoro e Pericolosità Sociale

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un individuo sottoposto alla misura della libertà vigilata. L’uomo contestava sia la valutazione della sua pericolosità sociale, basata su una condanna non definitiva, sia il mancato adeguamento delle prescrizioni alla sua attività lavorativa che richiedeva spostamenti su tutto il territorio nazionale. La Corte ha stabilito che la valutazione della pericolosità era ragionevole e che l’esigenza di vigilanza prevale sulla necessità lavorativa, rendendo di fatto incompatibile la misura con un impiego itinerante a livello nazionale.

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Pubblicato il 2 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Libertà Vigilata: Quando le Esigenze di Lavoro si Scontrano con la Pericolosità Sociale

L’applicazione di una libertà vigilata solleva spesso interrogativi complessi, specialmente quando le restrizioni imposte entrano in conflitto con le necessità quotidiane del soggetto, come l’attività lavorativa. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha offerto importanti chiarimenti sul bilanciamento tra le esigenze di controllo sociale e il diritto al lavoro, confermando la prevalenza delle prime quando la natura dell’impiego rischia di vanificare lo scopo della misura.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un individuo avverso l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza, che aveva confermato l’applicazione nei suoi confronti della misura di sicurezza della libertà vigilata per la durata di due anni. Il ricorrente sollevava due principali doglianze:
1. L’illogicità della valutazione sulla sua pericolosità sociale.
2. La mancata adozione di prescrizioni che rendessero la misura compatibile con la sua attività lavorativa, la quale richiedeva spostamenti su tutto il territorio nazionale.

Il Tribunale di Sorveglianza aveva basato la sua decisione su una condanna non definitiva a undici anni di reclusione per reati gravi come rapina aggravata e ricettazione, ritenendola un indicatore sufficiente della necessità di un periodo di “sperimentazione” e controllo.

La Compatibilità tra Libertà Vigilata e Lavoro Itinerante

Il punto cruciale del ricorso riguardava la compatibilità tra la libertà vigilata e un lavoro che impone continui spostamenti in tutta Italia. Il ricorrente chiedeva che le prescrizioni fossero modellate per consentirgli di proseguire la sua professione.

La Corte di Cassazione ha respinto questa argomentazione in modo netto. Ha chiarito che lo scopo primario della misura di sicurezza è quello di imporre obblighi di condotta per limitare le occasioni di commettere nuovi reati. Un provvedimento che consentisse al soggetto di spostarsi liberamente su tutto il territorio nazionale sarebbe intrinsecamente incompatibile con l’esercizio di una sorveglianza efficace da parte dell’autorità di pubblica sicurezza. Il controllo della condotta e il rispetto degli obblighi verrebbero, di fatto, resi impossibili, vanificando la funzione preventiva della misura.

La Valutazione della Pericolosità Sociale e la Libertà Vigilata

In merito alla presunta illogicità della valutazione sulla pericolosità sociale, la Corte ha ritenuto la motivazione del Tribunale di Sorveglianza pienamente ragionevole. I giudici hanno sottolineato come, ai sensi dell’art. 203 del codice penale, la pericolosità sociale si desuma anche dalle circostanze indicate nell’art. 133 c.p., tra cui rientra la “capacità a delinquere” desumibile dai precedenti penali.

Nel caso specifico, la pendenza di un procedimento per reati di grave allarme sociale, sfociato in una pesante condanna provvisoria, è stata considerata un elemento più che sufficiente a fondare un giudizio di pericolosità e a giustificare l’applicazione della libertà vigilata come strumento di verifica e contenimento.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, evidenziando come le censure del ricorrente fossero essenzialmente “in punto di fatto”. Il ricorso, infatti, non contestava una violazione di legge o un vizio logico manifesto nella motivazione, ma mirava a ottenere una diversa lettura degli elementi fattuali e una differente valutazione della pericolosità sociale.

Questo tipo di valutazione è precluso al giudice di legittimità, il cui compito è verificare la correttezza giuridica e la coerenza logica del ragionamento del giudice di merito, non sostituire la propria valutazione a quella già effettuata. Poiché la motivazione del Tribunale di Sorveglianza è stata giudicata logica e aderente ai dettami normativi, il ricorso non ha trovato accoglimento.

Conclusioni

L’ordinanza ribadisce un principio fondamentale in materia di misure di sicurezza: la finalità di prevenzione e controllo della pericolosità sociale prevale sulle esigenze lavorative del singolo, qualora queste siano oggettivamente incompatibili con l’effettività della sorveglianza. La decisione sottolinea inoltre come una condanna non definitiva per reati gravi possa costituire un valido fondamento per un giudizio di pericolosità sociale, legittimando l’applicazione della libertà vigilata. Infine, viene riaffermato il limite del sindacato della Corte di Cassazione, che non può entrare nel merito delle valutazioni di fatto riservate ai giudici dei gradi precedenti.

Una condanna non definitiva può giustificare l’applicazione della libertà vigilata?
Sì, secondo l’ordinanza, una condanna provvisoria per reati gravi, come rapina aggravata e ricettazione, costituisce un elemento ragionevole per desumere la pericolosità sociale di un individuo e giustificare l’applicazione della misura di sicurezza della libertà vigilata.

La libertà vigilata deve essere sempre compatibile con l’attività lavorativa del soggetto?
No. La Corte ha stabilito che se l’attività lavorativa, per sua natura, è incompatibile con le finalità di controllo e sorveglianza della misura (come un lavoro che richiede spostamenti su tutto il territorio nazionale), le esigenze di pubblica sicurezza prevalgono, rendendo legittimo un provvedimento che limita tale attività.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile perché le contestazioni del ricorrente erano rivolte al merito della valutazione dei fatti (come il giudizio sulla sua pericolosità), piuttosto che a vizi di legge o a palesi illogicità della motivazione. La Cassazione non può riesaminare i fatti, ma solo verificare la corretta applicazione delle norme.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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