Liberazione condizionale requisiti: quando la buona condotta non basta
L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale nell’ambito dell’esecuzione della pena: i liberazione condizionale requisiti. La Suprema Corte ha stabilito che, per ottenere questo importante beneficio, non sono sufficienti né una regolare condotta durante la detenzione né l’età avanzata del condannato. È necessario, invece, dare prova di un cambiamento profondo, effettivo e irreversibile, che testimoni un sincero pentimento e un definitivo allontanamento dal passato criminale. Questo principio è stato affermato nel respingere il ricorso di un detenuto ultraottantenne con un lungo curriculum di reati.
I Fatti di Causa
Il caso riguarda un uomo, nato nel 1945, che ha presentato ricorso contro la decisione del Tribunale di Sorveglianza di Napoli. Quest’ultimo aveva negato la sua richiesta di liberazione condizionale. Nel suo appello, il detenuto lamentava che il Tribunale non avesse adeguatamente considerato due elementi a suo favore: il comportamento tenuto durante l’esecuzione della pena, considerato sintomo di ravvedimento, e la sua età avanzata (superiore agli ottant’anni), che renderebbe la detenzione carceraria particolarmente afflittiva e incompatibile con le finalità rieducative della pena.
L’Analisi della Cassazione sui requisiti della Liberazione Condizionale
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo che le argomentazioni del ricorrente fossero mere “doglianze in fatto”. In altre parole, il detenuto non contestava una errata applicazione della legge, ma chiedeva alla Suprema Corte una nuova valutazione dei fatti, un compito che non rientra nelle sue competenze. La Cassazione non è un giudice di terzo grado che può riesaminare il merito della vicenda, ma un giudice di legittimità, il cui ruolo è garantire l’uniforme e corretta interpretazione della legge.
Le Motivazioni della Decisione
La Corte ha confermato la validità del ragionamento del Tribunale di Sorveglianza. Le motivazioni per il diniego si fondano su una serie di elementi negativi che, nel loro complesso, impediscono di ritenere raggiunto quel “sicuro ravvedimento” richiesto dall’art. 176 del codice penale. In particolare, è stato evidenziato che:
1. La Carriera Criminale: A carico del soggetto risultano dieci condanne per reati commessi tra il 1964 e il 2006, tra cui reati di notevole gravità come il favoreggiamento personale aggravato dal metodo mafioso e l’associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti.
2. Procedimenti Pendenti: Risultano ancora pendenti due procedimenti per ricettazione e violazione della legge sugli stupefacenti, a dimostrazione di una persistente inclinazione a delinquere.
3. La Sottrazione all’Esecuzione: Un elemento decisivo è stata la recente condotta del ricorrente, che si è reso irreperibile per sottrarsi a un ordine di esecuzione della pena emesso a fine 2019, venendo rintracciato solo alcuni mesi dopo. Questo comportamento, secondo la Corte, milita in senso contrario a un presunto processo di recupero e affrancamento dal passato.
In sintesi, i giudici hanno concluso che non è emersa alcuna “concreta condotta” che dimostri un cambiamento effettivo e un pentimento profondo. La semplice buona condotta in carcere e la precedente concessione della liberazione anticipata non sono sufficienti a soddisfare i più stringenti liberazione condizionale requisiti.
Conclusioni
Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: la liberazione condizionale non è un automatismo legato al trascorrere del tempo o a un comportamento formalmente corretto in istituto. È un beneficio che presuppone una revisione critica del proprio passato e la dimostrazione, con fatti concreti e coerenti, di aver intrapreso un percorso di cambiamento irreversibile. La sottrazione alla giustizia e un curriculum criminale significativo sono ostacoli quasi insormontabili, poiché contraddicono la presunzione di un avvenuto e sicuro ravvedimento, elemento cardine per la concessione del beneficio.
La buona condotta in carcere è sufficiente per ottenere la liberazione condizionale?
No, secondo questa ordinanza, la buona condotta carceraria e la precedente concessione della liberazione anticipata non sono, da sole, sufficienti. È richiesta la prova di un profondo, sincero e irreversibile ravvedimento, che dimostri un totale distacco dal passato criminale.
L’età avanzata del detenuto può essere un fattore determinante per la concessione della liberazione condizionale?
Sebbene l’età sia un elemento da considerare, in questo caso non è stata ritenuta decisiva. La Corte ha dato maggior peso alla mancanza di prove di un effettivo pentimento e alla pericolosità sociale del soggetto, desunta dalla sua lunga carriera criminale e da comportamenti recenti, come la sottrazione all’esecuzione della pena.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le lamentele del ricorrente (le “doglianze”) riguardavano la valutazione dei fatti (come l’interpretazione del suo comportamento e della sua età), e non la violazione di norme di legge. La Corte di Cassazione non può riesaminare i fatti di un caso, ma solo controllare la corretta applicazione del diritto da parte dei giudici dei gradi precedenti.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 6659 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 6659 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 25/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 27/09/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Rilevato in fatto e considerato in diritto
Ritenuto che le censure dedotte nel ricorso di NOME COGNOME, come altresì supportate da successiva memoria difensiva, relative alla violazione di legge e al vizio di motivazione in riferimento al dettato dell’art.176 cod. pen. (per non avere valorizzato, ai fini della concessione della liberazione condizionale, il complessivo comportamento tenuto dal condannato durante l’esecuzione della pena, sintomatico senza dubbio di ravvedimento), nonché alla violazione dell’art. 47-ter, comma 1, I. 26 luglio 1975, n. 354 (per non avere preso in considerazione l’età del condannato, superiore ad ottant’anni, intrinsecamente incompatibile con la detenzione carceraria) non sono consentite in sede di legittimità, perché costituite da mere doglianze in fatto.
Considerato, inoltre, che tali doglianze sono meramente riproduttive di profili di censura già adeguatamente vagliati dall’ordinanza impugnata. In essa, invero, si evidenzia che: – a carico di NOME sono annotate dieci condanne per reati poste in essere dal 1964 al 2006, tra i quali anche favoreggiamento personale con l’aggravante di cui all’art. 7 d. I. n. 152 del 1991 e associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti; – risultano, inoltre pendenti due procedimenti per ricettazione e violazione della legge sugli stupefacenti; – da informative delle forze dell’ordine emerge, tra l’altro, che più volte il soggetto si è reso irreperibile, da ultimo proprio in relazione all’ordine esecuzione della pena emesso il 22.11.2019, eseguito solo il 7.2.2020; – nel caso in esame, quindi, non emerge alcuna concreta condotta nel senso di un effettivo e irreversibile cambiamento espresso tramite la condanna totale del proprio passato criminoso e il conseguente profondo e sincero pentimento, da dimostrarsi con comportamenti rigorosamente coerenti, non disgiunti dalla dovuta attenzione alla necessità di lenire le conseguenze materiali e morali delle condotte delittuose nei confronti delle vittime, militando la recente sottrazione all’ordine di esecuzione nel senso dell’assenza di un processo di affrancamento e di recupero (non avendo invero il condannato dedotto alcunché sul punto, ma essendosi limitato ad invocare la concessione della liberazione condizionale alla luce della sua regolare condotta carceraria e in particolare della precedente concessione in suo favore della liberazione anticipata).
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen..
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2024.