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Liberazione condizionale: ravvedimento e vittime

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24150/2024, ha negato la liberazione condizionale a un detenuto in ergastolo. Nonostante la buona condotta e le attività di volontariato, la Corte ha stabilito che per un “sicuro ravvedimento” è indispensabile manifestare un concreto interesse verso le vittime dei propri reati, anche solo sul piano morale, come prova di una reale revisione critica del passato criminale.

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Pubblicato il 28 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Liberazione Condizionale: il Volontariato non Sostituisce l’Interesse per le Vittime

La liberazione condizionale rappresenta un traguardo fondamentale nel percorso di reinserimento di un condannato, ma la sua concessione è subordinata a requisiti rigorosi. Con la recente sentenza n. 24150 del 2024, la Corte di Cassazione ribadisce un principio cruciale: per dimostrare un “sicuro ravvedimento”, non basta una condotta carceraria esemplare o l’impegno in attività di volontariato generiche. È necessario un confronto diretto e sincero con il proprio passato criminale, che si manifesta attraverso un concreto interesse per le vittime.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un uomo condannato all’ergastolo per reati gravissimi, tra cui associazione di tipo mafioso e omicidio, commessi tra il 1981 e il 1997. Dopo aver scontato una lunga parte della pena, e già ammesso al beneficio della semilibertà, l’uomo ha richiesto la liberazione condizionale. Durante la detenzione, aveva mantenuto una condotta ineccepibile, conseguito diplomi, ottenuto permessi premio senza incidenti e svolto attività di volontariato presso una casa di riposo per anziani.

Tuttavia, il Tribunale di Sorveglianza di Bologna aveva respinto la sua istanza. La ragione principale del diniego risiedeva nella totale assenza di adempimento delle obbligazioni civili verso i familiari delle vittime e nella mancata dimostrazione di qualsiasi forma di interesse o pentimento nei loro confronti.

La Decisione sulla Liberazione Condizionale

Il condannato ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che la decisione del Tribunale fosse contraddittoria. La difesa ha evidenziato come il “sicuro ravvedimento” fosse già stato implicitamente riconosciuto con la concessione della semilibertà e fosse provato dai numerosi elementi positivi del percorso carcerario. Inoltre, si sottolineava l’impossibilità materiale di far fronte al risarcimento dei danni.

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando la decisione del Tribunale di Sorveglianza. Gli Ermellini hanno fornito un’importante chiave di lettura del concetto di ravvedimento, distinguendolo nettamente dalla semplice buona condotta.

Le Motivazioni della Corte

La Corte ha affermato che il “ravvedimento”, ai fini della liberazione condizionale, non è un mero automatismo derivante dal buon comportamento. Esso richiede una valutazione profonda e penetrante della personalità del condannato, finalizzata ad accertare un “effettivo e irreversibile mutamento” e un “profondo e sincero pentimento”.

Il punto centrale della motivazione risiede nella gestione del rapporto con le vittime. Sebbene l’impossibilità di adempiere alle obbligazioni civili (il risarcimento economico) non sia di per sé un ostacolo insormontabile, è fondamentale che il condannato manifesti un “concreto interesse” nei confronti di chi ha subito le conseguenze dei suoi reati. Questo interesse, che può essere anche solo morale, è un indicatore essenziale della serietà della revisione critica del proprio passato.

Nel caso specifico, l’attività di volontariato, pur lodevole, è stata ritenuta insufficiente. I giudici hanno spiegato che tali iniziative, per essere considerate prova di ravvedimento, devono comportare un confronto diretto con la tipologia di reati commessi. Aiutare degli anziani non è stato considerato un atto in grado di surrogare il necessario impegno riparatorio, morale o materiale, verso le vittime di omicidi e reati di mafia.

Conclusioni

La sentenza n. 24150/2024 della Corte di Cassazione delinea con chiarezza i contorni del “sicuro ravvedimento” necessario per la concessione della liberazione condizionale. La buona condotta, i progressi educativi e persino l’impegno sociale sono elementi importanti, ma non sufficienti. La vera cartina di tornasole di un cambiamento autentico è la capacità del condannato di confrontarsi con il dolore che ha causato, manifestando un sincero e concreto interesse per le proprie vittime. Senza questo passo, il percorso di reinserimento, per quanto positivo sotto altri aspetti, non può dirsi completo e la porta verso la libertà anticipata rimane chiusa.

La buona condotta in carcere è sufficiente per ottenere la liberazione condizionale?
No, la buona condotta è un presupposto necessario ma non sufficiente. La legge richiede la prova di un “sicuro ravvedimento”, che implica una profonda e sincera revisione critica del proprio passato criminale, da dimostrarsi con comportamenti coerenti nel tempo.

L’impossibilità di risarcire economicamente le vittime impedisce sempre la liberazione condizionale?
No, la dimostrata impossibilità di adempiere alle obbligazioni civili non è un ostacolo assoluto. Tuttavia, il condannato deve manifestare in altri modi un concreto interesse per la vittima e un intendimento riparatorio, almeno sul piano morale, come prova del suo cambiamento.

L’attività di volontariato può sostituire il risarcimento o l’interesse verso le vittime?
Secondo la sentenza, un’attività di volontariato di genere diverso rispetto ai reati commessi (come assistere anziani per un condannato per mafia e omicidio) non può surrogare il necessario impegno riparatorio verso le vittime. L’attività deve implicare un confronto diretto del condannato con le sue precedenti condotte criminose per essere considerata una reale manifestazione di ravvedimento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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